Il trattamento della discalculia tra vulnerabilità neurocerebrale ed esperienza appresa

A cura di: M. Rebecca Farsi

INTRODUZIONE

La discalculia definisce un disturbo che ostacola la padronanza dei concetti e delle strategie aritmetiche, da cui il consolidarsi di importanti difficoltà nell’apprendimento e nella messa in pratica di tutte le competenze che comportano l’utilizzo dell’entità numerica, sia in ambito didattico che nei vari contesti di vita quotidiana.

La discalculia, in particolare:

  • impedisce la memorizzazione e la rievocazione dei fatti aritmetici, intesi come quelle conoscenze matematiche di base indispensabili ad agevolare e velocizzare il calcolo, e il cui impiego dovrebbe risultare l’esito di un procedimento automatizzato (ad esempio l’impiego dei calcoli più rudimentali e la conoscenza delle tabelline);
  • comporta difficoltà nello stabilire rapporti posizionali tra le cifre e nel collocarle correttamente all’interno della stringa numerica. Criticità maggiori si riscontrano nel posizionamento dello zero, nello stabilimento dell’ordine di grandezza tra le cifre, nella messa in ordine di resti, riporti e numeri in colonna, nel riconoscimento dei segni delle operazioni (la c.d. discalculia sintattica);
  • può determinare difficoltà nell’attribuzione di un’etichetta verbale al numero, pur nel riconoscimento del suo valore quantitativo. Questo a causa di un deficit che va a colpire la capacità di traslare la cifra numerica da una dimensione analogica ad una tipicamente verbale (la c.d. discalculia lessicale);
  • rende impossibile l’acquisizione semantica del numero, ovvero la conoscibilità del suo stesso valore quantitativo. Il soggetto non riesce a maturare una competenza di numerosità, e non può egualmente accedere alla conoscenza dell’entità numerica come valore astratto (la c.d. discalculia semantica).

La Consensus Conference del 2011, che si è occupata di disciplinare il trattamento dei DSA dal punto di vista diagnostico, terapeutico e descrittivo, ha riconosciuto due tipologie di discalculia:

  • il primo (riguardante la discalculia semantica e sintattica) è caratterizzato da una debolezza di base nella manipolazione del concetto astratto di numero, oltre che di tutte quelle competenze necessarie allo sviluppo degli aspetti basali dell’intelligenza numerica, quali subitizing, meccanismi di comparazione, quantificazione, seriazione, strategie di calcolo mentale, etichettamento verbale;
  • il secondo, di carattere procedurale (più relativo alla discalculia sintattica), è relativo all’utilizzo di tecniche e strumenti operativi attraverso i quali eseguire operazioni di calcolo, manipolazione concrete sul numero, collocazione spaziale di cifre all’interno della stringa numerica e in colonna.

1. Il coinvolgimento neurocerebrale e i vari sotto tipi di discalculia

Studi di neuroimaging hanno evidenziato che ciascuna delle tipologie discalculiche è associata ad uno svantaggio cerebrale specifico; dato, quest’ultimo, in grado di consolidare la tesi circa un coinvolgimento neurocerebrale nell’eziopatologia del disturbo.

La discalculia lessicale comporta uno svantaggio biologico nell’area del giro angolare sinistro, deputato al controllo della via sublessicale utilizzata per la conversione grafema-fonema durante la lettura. Non a caso questo tipo di discalculia si mostra spesso in comorbilità con la dislessia fonologica, caratterizzata proprio da una difficoltà nell’utilizzo della via sublessicale, impiegata per la lettura delle parole irregolari e di quelle non familiari.

Risultati scientifici supportano tale ipotesi: uno studio condotto su un caso singolo – un bambino di 4 anni con una lesione delle aree parietali dell’emisfero dx – ha dimostrato che il soggetto, pur preservando un QI intellettivo nella norma, presentava un disturbo nell’apprendimento del numero e del calcolo, suggerendo il possibile coinvolgimento delle funzioni parietali destre in ambedue questi ambiti (Levy e al. 1996). Inoltre, i bambini che presentano combinazione dei due disturbi – dislessia e discalculia – mostrano soltanto difficoltà nella gestione delle procedure aritmetiche e nella lettura verbale del numero, non anche nella comprensione del concetto di grandezza e nella sintassi grammaticale delle cifre (Rourke e Conway, 1997).

L’ulteriore sottotipo di discalculia, la c.d. sintattica, potrebbe trovare spiegazione in un deficit delle funzioni visuopercettive gestite dal lobo parietale posteriore, soprattutto quello destro, specializzato nel’elaborazione delle funzioni visuo-spaziali e nell’orientamento dell’attenzione spazio-temporale (Corbetta e Shulmann, 2002). Si riscontra di fatto una frequente morbilità tra discalculia sintattica e disturbo visuo-spaziale, che implica uno svantaggio nell’elaborazione e nell’immagazzinamento di tutti quelle competenze di natura prassico-motoria, spaziale e percettiva.

La discalculia semantica sembra collegata ad un deficit neurocerebrale del solco intraparietale (Butterworth, 2005; Dehane et al., 2003), dato il coinvolgimento di questa zona nell’elaborazione di tutti quei compiti che prevedono competenze di riconoscimento e manipolazione di quantità numeriche, quali ad esempio stime di numerosità, comparazione numerica e subitizing (Dehane et al., 2003).

Ulteriori studi effettuati attraverso la risonanza magnetica morfometrica (finalizzata ad una misurazione specifica della struttura cerebrale) hanno dimostrato che i soggetti prematuri con discalculia semantica, rispetto ai prematuri privi del disturbo, presentano effettivamente una minor quantità di materia grigia all’interno del solco intraparietale sx (Isaacs et al. 2001).

2. Le conoscenze matematiche tra competenza innata ed esperienza appresa

2.1 L’ipotesi del Nucleo Matematico di base

Sembra che l’essere umano sia naturalmente predisposto all’apprendimento delle conoscenze aritmetiche. È Butterworth (1999) in particolare, ad ipotizzare l’esistenza di un nucleo matematico di base, specializzato nella categorizzazione del mondo in termini di numerosità. Sarebbe grazie a questo nucleo cerebrale che l’individuo è in grado di recepire informazioni numeriche sin dai primi mesi di vita, e di elaborare attivamente concetti di numerosità che consentiranno di imbastire conoscenze aritmetiche specifiche, acquisite grazie al processo evolutivo, al fattore esperienziale, all’apprendimento didattico.

Riscontri sperimentali rendono attendibile questa teoria. Ad esempio, nell’esperimento realizzato da Wynn (1992), alcuni neonati ai quali veniva rappresentato un cartoncino raffigurante due pallini, e subito dopo un ulteriore cartoncino che ne raffigurava tre, hanno mostrato maggiore attenzione nei confronti di quest’ultimo, dando testimonianza di un’avvenuta rilevazione circa la modifica della quantità numerica rappresentata. E teniamo a mente che si trattava di bambini di appena sei mesi. Questo a va a consolidare l’esistenza di un “intuito matematico”- il c.d. subitizing – presente sin dalle prime fasi della vita, e in grado di rendere il canale della conoscenza aritmetica disponibile all’apprendimento.

Secondo l’ipotesi di Butterworth (2021) la conoscenza numerica innata risiede all’interno di uno specifico dominio cerebrale, una sorta di kit di partenza che consente l’esistenza di un istinto percettivo del numero. Questo nucleo, denominato Modulo Numerico, si trova in corrispondenza del solco temporale, e costituisce la base indefettibile per la conoscenza semantica del concetto di quantità. È grazie all’attivazione di questa area che il cervello è capace di suddividere il mondo in termini di numerosità e di attribuire agli oggetti la connotazione di identità separate. Ovviamente si tratta solo di una base di partenza: la capacità di comprensione del modulo numerico non va oltre il numero 3; sarà attraverso l’esposizione a strategie didattiche e a stimoli esperienziali mirati che la capacità recettiva e produttiva del numero verrà ulteriormente potenziata.

Malgrado la matrice biologica, il nucleo matematico di base non costituisce infatti una struttura entitaria, destinata a rimanere invariata durante il processo evolutivo. Al contrario, le sue dimensioni e la sua funzionalità risultano collegate ad una più o meno intensa esposizione all’esperienza matematica, attuata attraverso la somministrazione di stimoli esperienziali specifici. Non meno di quanto avviene con un muscolo, il nucleo matematico di base necessita di un esercizio continuato in assenza del quale le stesse capacità innate subirebbero un’involuzione.

2.2 L’importanza dell’esercizio e della pratica esperienziale

Un incremento dell’esposizione ai concetti matematici, soprattutto quelli relativi al conteggio empirico e al calcolo mentale, può sviluppare una competenza numerica precoce anche in assenza di un insegnamento specifico in tal senso.

È quanto hanno stabilito gli studi effettuati da Carragher e colleghi (1985) su alcuni venditori ambulanti brasiliani di 9 e 15 anni che, pur non avendo ricevuto alcuna scolarizzazione, erano perfettamente in grado di effettuare calcoli mentali relativi ad attività di commercio e scambio praticate quotidianamente (ad esempio erano in grado di calcolare il prezzo di una noce di cocco, o il resto derivato dalla vendita di una determinata merce).

Stiamo ovviamente parlando di conoscenze contestualizzate, che perdevano consistenza non appena ne veniva richiesto lo svolgimento in un ambito diverso da quello in cui erano state apprese, o con una metodologia che comportasse l’utilizzo di un calcolo organizzato per fasi sequenziali. Questo perché non si trattava di competenze apprese secondo un iter di conoscenza strutturato, ma del frutto di una didattica esperienziale maturata attraverso l’impiego di canali empirici in un contesto in cui l’aritmetica costituisce un fattore di relazione più che di apprendimento.

Sembra comunque un dato sufficiente ad affermare l’importanza dello strumento esperienziale come canale di accesso all’informazione matematica. Conclusione che non intende certo inficiare la natura innata del modulo matematico. Tutt’altro, ne costituisce un suggello dimostrativo. Non sarebbe infatti possibile acquisire abilità di calcolo, oltretutto in assenza di una preparazione didattica specifica, se il cervello umano non fosse naturalmente predisposto all’apprendimento della grandezza numerica.

È necessario affermare che, esattamente come accade con il linguaggio verbale, il modulo numerico di base necessita di ricevere specifica formazione tramite l’arricchimento didattico- esperienziale, al fine di instaurare un processo virtuoso in cui le competenze biologiche innate vanno ad integrarsi a quelle esperienziali, creando un consolidamento reciproco che coniuga la teoria alla pratica e rende possibile il processo di apprendimento.

3. Gli svantaggi del nucleo di base e l’importanza dell’esercizio nella discalculia

3.1 Il modulo numerico

Affermare che l’essere umano nasca fornito di competenze matematiche significa accettare che possano esistere individui in cui queste capacità si mostrano biologicamente assenti o deficitarie. Soggetti in cui il modulo numerico appare refrattario all’acquisizione e all’automatizzazione di dati, proprio a causa della debolezza delle strutture cerebrali che dovrebbero supportarne l’esistenza e consentirne il potenziamento.

Nel caso della discalculia, in particolare, il modulo numerico può risultare svantaggiato da una serie di fattori: vulnerabilità genetica, sofferenza fetale, nascita prematura; ma anche comportamenti inadeguati della madre durante la gestazione, quali ad esempio stress perinatale, alimentazione insufficiente o sregolata, assunzione di fumo, alcool o psicofarmaci possono comportare, già nella vita intrauterina, uno svantaggio cerebrale che si consoliderà alla nascita (Isaacs et al., 2001).

Un esempio su tutti la FAS, sindrome generata dall’assunzione di alcolici durante la gravidanza, comporta un’esposizione al disturbo particolarmente elevata, data la disfunzionalità, causata dalla patologia, di quelle stesse aree cerebrali necessarie al processamento numerico, tra cui la sostanza bianca e i lobi parietali (Butterworth, 2021).

3.2 Il ruolo migliorativo dell’esperienza educativa

L’impiego di strategie educative mirate può migliorare l’accesso e il consolidamento di nuovi dati, limitando svantaggi determinabili anche sotto un punto di vista genetico, oltre che neurocerebrale, come nel caso dei DSA.

Ad esempio, studi specifici hanno evidenziato un netto miglioramento a seguito dell’applicazione di programmi didattici finalizzati ad implementare i processi matematici di natura semantica, lessicale e sintattica, ma anche a velocizzare le operazioni di calcolo on fingers, calcolo scritto e a mente, e a favorire il recupero dei fatti aritmetici, il consolidamento dei processi di memoria e la padronanza delle quattro operazioni (Vianello, 2020).

Fatte salve le differenze soggettive- ogni standardizzazione in questo caso equivarrebbe ad un’imprudenza – per ottenere un miglioramento stabile e duraturo sono necessari cicli di potenziamento svolti in modalità uno a uno, 2 o 3 volte la settimana, per un ciclo di almeno 3 mesi, e gestiti da un’equipe multidisciplinare. La durata di ogni singolo incontro può variare da mezz’ora fino al massimo di un’ora, dato come un periodo di tempo superiore potrebbe debilitare il già fragile impianto attentivo del discalculico.

CONCLUSIONI

Ai docenti la raccomandazione di svolgere attività di screening fin dalla scuola d’infanzia, al fine di identificare precocemente le difficoltà in vista di un trattamento potenziante preventivo e di una diagnosi precoce, che favorisca un’altrettanto tempestiva presa in carico. Utile da questo punto di vista la somministrazione di IPDA nell’ultimo anno della scuola d’infanzia (Tretti et al. 2002) e della Bin 4- 6 (Molin et al., 2007), strumento di valutazione dei prerequisiti dell’intelligenza numerica in bambini dai 4 ai 6 anni.

Gli stessi prerequisiti devono essere stimolati attraverso esercizi rivolti al potenziamento dei processi lessicali (aventi ad oggetto l’utilizzo della memoria uditiva e l’associazione tra la ritmicità del linguaggio e il ritmo dell’enumerazione), dei processi semantici (esercizi che stimolino i giudizi e le valutazioni di numerosità) e gli strumenti presintattici, fondamentali per regolare la sintassi di posizione all’interno del numerale (si può lavorare sulle collocazioni numeriche che consentono di distinguere decine e unità).

Affinché le abilità numeriche possano dirsi stabilizzate è fondamentale che il bambino abbia stabilito il principio di corrispondenza uno ad uno, in base al quale l’etichetta di un numero corrisponde a quel numero e a quello soltanto. L’acquisizione di questo principio, insieme a quelli di cardinalità e ordine stabile, consentirà un più agevole sviluppo delle competenza di conteggio mentale e scritto e favorirà, anche nel discalculico, il superamento delle criticità operative.

In ogni caso, ove il livello delle difficoltà dovesse richiedere il ricorso a strumenti compensativi, se ne deve consentire un utilizzo guidato, consapevole e soprattutto non stigmatizzante, volto a riconoscere negli stessi un valido strumento di aiuto per l’assimilazione, la rievocazione e l’impiego delle strategie numeriche specifiche.

In commercio esistono numerosi software, effettivamente ben strutturati, con cui il bambino può familiarizzare sin dai primi anni dell’inserimento scolastico, al fine di favorire, e per quanto possibile superare, la presenza di criticità operative legate al disturbo, garantendo un miglioramento nella prestazione scolastica, nel confronto coi pari e nel rapporto col Sé.

Largo dunque, all’utilizzo degli stimoli numerici. Anche – e soprattutto – in condizioni di svantaggio organico. Con buona pace del nucleo aritmetico di base, la matematica non si nega a nessuno.

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