Da quando si è iniziato a parlare di assertività fino ad oggi, questo tema ha spaziato molto nei vari ambiti di vita della persona, passando da quello propriamente personale e antropologico a quello professionale e aziendale e a quello relazionale. Oggi, sono molto comuni e frequenti, in vari ambiti sociali e terapeutici, dei veri e propri training che hanno l’obiettivo di allenare e stimolare l’assertività. Nel 1974 due studiosi, Emmons e Alberti, idearono quello che fu definito il primo training sull’assertività. Il loro obiettivo, però, non era quello di trattare i disturbi psichiatrici o psicopatologici ma quello di andare ad attivare determinate risorse che sono presenti in tutti gli esseri umani ma che non sempre vengono attivate. Questi due studiosi crearono, quindi, un training che aveva come obiettivo quello di andare a sviluppare, acquisire ed attivare determinate risorse presenti negli esseri umani. Il principale scopo era quello di aiutare le persone e stimolarle ad agire sulla base di quelli che erano i propri diritti personali. L’idea di questi due studiosi era un pò quella di aiutare le persone ad agire pienamente sulla base dei diritti umani. Lo sviluppo dell’autostima e di un comportamento assertivo non erano considerati soltanto dei comportamenti e delle caratteristiche desiderabili ma erano, già allora, considerate necessarie per tutti e per ogni tipo di relazione umana, da quelle affettive, relazionali e familiari fino a quelle professionali. Andando più avanti e arrivando agli anni ottanta del Novecento, Arnold Goldstein sviluppò una serie di esercizi e di compiti volti ad acquisire delle specifiche competenze personali e sociali. Questi esercizi riguardavano, per esempio, il provare ad esprimere disaccordo quando una persona diceva una cosa per la quale non si era d’accordo oppure osservare attentamente l’interlocutore; ma anche provare a fare delle richieste sulla base dei propri bisogni e dei propri desideri e rispondere in modo non agonista alle critiche; parlare davanti a un pubblico e relazionarsi con delle persone inesistenti. Questi compiti avevano come obiettivo quello di andare a simulare delle risorse fondamentali per le relazioni sociali e sono molto simili a quelli che vengono oggi proposti negli attuali training sull’assertività.
Oggi, il training di assertività nasce, soprattutto, in ambito terapeutico, come metodo per andare a trattare quelli che sono i sintomi dell’ansia sociale. Gli esercizi pensati da Goldstein nel 1981, vengono ampiamente utilizzati dai clinici per intervenire su persone particolarmente ansiose. Chiaramente il training, oltre all’ambito specificatamente clinico e terapeutico, viene esteso anche ad altri contesti e ad altre situazioni che non vengono definite patologiche. Molte persone, inoltre, dicono di essere timide o ansiose e credono che queste loro difficoltà dipendano dal loro carattere e dalla loro personalità. In realtà, queste problematiche sono molto influenzate da elementi di apprendimento o di interazione con l’ambiente, quindi, da quelle che sono state le esperienze infantili e quelle che poi sono state tutte le esperienze che l’individuo ha vissuto nel corso della propria vita. Tutte queste esperienze potrebbero portare la persona ad avere delle convinzioni erronee su sé stessa tra cui quella di essere timidi, di essere ansiosi e di doversi sentire, in un certo senso, costretti ad evitare determinate situazioni. Chi ha questo tipo di difficoltà, probabilmente, non ha potuto sviluppare delle abilità e delle risposte adattive all’ambiente nelle relazioni sociali; quindi, evita, appunto, le situazioni che teme e ha un basso livello di quella che viene definita competenza sociale.
Chiaramente, queste convinzioni vengono definite distorsioni poiché, nella maggior parte dei casi, non sono aderenti alla realtà dei fatti ma dipendono soltanto da come l’individuo vede la realtà; l’individuo vede, quindi, la realtà in base a quello che ha vissuto nel corso della sua vita e non per forza in base a quella che è la realtà oggettiva. Queste distorsioni portano, poi, a tutta una serie di cambiamenti e di risposte comportamentali poco funzionali e poco utili per la persona. Lo scopo, quindi, di apprendere uno stile assertivo attraverso uno specifico training non è quello di farsi valere o di riuscire, in ogni situazione, a esprimere la propria opinione e le proprie emozioni; l’obiettivo fondamentale è quello di stare bene con gli altri e di riuscire a relazionarsi come meglio si crede sentendosi però liberi di poter esprimere e di poter manifestare i propri pensieri e le proprie emozioni e tenendo conto dei diritti altrui. Nell’applicazione clinica, quando parliamo di un training, questo si traduce in una situazione strutturata che può essere individuale o di gruppo e che ha come obiettivo principale lo sviluppo graduale di un’abilità, l’assertività, in soggetti che presentano delle difficoltà nelle competenze sociali e relazionali.
Uscendo, invece, dall’ambito clinico è possibile pensare ad un training sull’assertività in moltissimi contesti come per esempio quello scolastico o quello aziendale. Molte aziende, da un pò di tempo, si avvalgono, per i propri dipendenti, di questi training che possono essere proposti in tutti i contesti in cui l’interazione sociale tra le persone è una caratteristica fondamentale.
Per quanto riguarda le caratteristiche del training, solitamente quello classico si svolge in gruppo proprio perché è importante mettersi in gioco davanti ad altre persone che probabilmente presentano tutte una stessa difficoltà. In alcuni casi può essere, invece, anche pensato individualmente. Per esempio, se una persona sta affrontando un percorso di terapia o un percorso di consulenza psicologica, il terapeuta o lo psicologo potrebbe pensare di fare un modulo proprio dedicato all’assertività con l’obiettivo di stimolarla. Il training classico di gruppo è composto da circa 10/15 sedute e ognuna ha una durata di circa due ore. Il training è strutturato con una prima parte teorica e una seconda, molto più lunga, prettamente pratica in cui vengono fatti vedere e poi fatti svolgere degli esercizi e delle simulazioni. Solitamente, il gruppo di training non supera le 10-12 persone. Nella prima parte teorica vengono illustrati i principi dell’assertività, i fattori che la favoriscono e i comportamenti che, invece, sono considerati alternativi all’assertività: l’aggressività e la passività. La parte pratica riguarda, invece, tutta una serie di esercizi, di giochi e di esposizioni con l’obiettivo di aiutare la persona, in un contesto protetto, ad applicare quanto appreso e a vincere quelle che sono, appunto, le situazioni temute. Chiaramente, il gruppo è guidato da uno o da due conduttori che sono delle persone esperte in questo campo. Nella maggior parte dei casi, si tratta di psicologi o psicoterapeuti nel cui campo principale di interessi c’è anche l’assertività. L’obiettivo principale del training riguarda, sicuramente, la modificazione del comportamento dell’individuo da an-assertivo, sia esso passivo o aggressivo, ad assertivo. Per fare in modo che ci sia una modificazione del comportamento, bisogna attraversare vari passaggi: il primo, riguarda la correzione dei comportamenti che conducono ad una condotta passiva o aggressiva. Il secondo passaggio riguarda, invece, la sensibilizzazione delle percezioni e l’educazione a quella che è la comunicazione assertiva. Quindi, l’esposizione di quelle che sono le regole della comunicazione assertiva e il provare a metterle in atto. Il terzo passaggio è focalizzato sul potenziamento delle facoltà di selezione e identificazione degli stimoli. Quindi, nel momento in cui si ha una conversazione, andare a selezionare quali sono i fattori di disturbo di conversazione e quali sono, invece, i fattori assertivi che fanno sì che quella comunicazioni conduca al raggiungimento di obiettivi positivi. Il quarto passaggio è il controllo dell’ansia che può essere svolto con vari esercizi di rilassamento o anche di immaginazione. Il quinto passaggio, infine, si concentra sull’apprendimento di nuove risposte più utili e più funzionali all’individuo che permettono, poi, di raggiungere gli obiettivi della comunicazione.
Come già accennato, il training è strutturato in modo da poter dedicare gran parte del tempo alla messa in atto di veri e propri esercizi con lo scopo di allenare l’arte dell’assertività. Gli esercizi riguardano, soprattutto, attività di esposizione in cui ad ognuno è richiesto, chiaramente rispettando pienamente la persona, di esporsi a determinate situazioni che ripropongono situazioni di vita sociale. Solitamente, nel primo incontro, ad ogni partecipante viene richiesto di presentarsi a tutto il gruppo e, ad uno ad uno, viene detto che è importante, nel momento in cui si scordano il nome di un partecipante, richiederlo una volta finita la presentazione. Se non si ricorda il nome di qualche partecipante, è richiesto ad ognuno di richiedere e di domandare il nome alla persona interessata. Un’attività che viene, spesso, proposta prevede la divisione in coppie e viene chiesto di descriversi al proprio compagno, reciprocamente. E’ molto importante sottolineare nella consegna che devono essere fornite anche notizie positive su di sé; questo perché, spesso, le persone tendono a dare perlopiù informazioni negative. Durante questo esercizio, l’interlocutore può fare domande. Conclusa questa parte di attività, ognuno dovrà riportare a tutto il gruppo quanto ascoltato dal compagno. Gli obiettivi di questo compito sono molti: imparare a pensarsi positivamente e, poi, a descriversi in modo positivo anche davanti agli altri; imparare a fare delle domande che riguardano la storia personale delle altre persone; imparare a sentir parlare di sé in modo positivo; imparare a prendere parola all’interno di un gruppo. Un altro esercizio che viene proposto, sempre in fase iniziale, consiste nell’auto descrizione: le persone si descrivono e provano a considerare quali situazioni nuove e quali nuovi incontri o contesti creano disagio cercando di capire perché quei contesti creano ansia e che cosa potrebbe essere d’aiuto in quelle specifiche circostanze. In seguito a questo compito, vengono dati degli homework: si chiede ad ogni partecipante di annotare giornalmente su un diario una cosa positiva di sé e della propria persona. Molto importanti durante i training sono anche gli esercizi che vengono definiti di problem solving, esercizi che riguardano la risoluzione di problemi nella vita di tutti i giorni. Un compito tipico è quello di proporre a tutto il gruppo una situazione problematica che necessita, però, di una risoluzione comune. Solo con l’aiuto del gruppo può essere risolto. Per svolgere questo compito bisogna, infatti, esprimere ed ascoltare diverse soluzioni, valorizzare quello che è il supporto e il valore aggiunto del gruppo e provare ad essere flessibili e a comprendere quelli che sono i ruoli all’interno del gruppo. Inoltre, è altrettanto importante provare ad esternare il proprio pensiero, chiedere dei chiarimenti quando qualcosa non è chiaro e provare ad ascoltare le idee e le proposte degli altri senza però sentirsi invalidati se viene messa in atto una proposta fatta da un’altra persona. Non bisogna sentirsi invalidati ma bisogna, appunto, comprendere la motivazione che ha portato a scegliere una cosa più adeguata in quello specifico contesto. L’homework che viene dato dopo avere svolto questo esercizio è quello di provare ad affrontare una situazione problematica insieme ad altre persone con le stesse modalità con le quali si è affrontata durante l’incontro. Un’altra tipologia di esercizi riguarda il fare e ricevere complimenti. Anche questa è un’abilità che, spesso, risulta molto complessa per alcune persone; può risultare, infatti, complesso soltanto fare dei complimenti ma non riceverli o viceversa o addirittura entrambe le cose. Con questo esercizio, ognuno, all’interno del gruppo, deve fare e ricevere un complimento. Chiaramente, gli obiettivi di questo compito riguardano il farli e riceverli in maniera assertiva, creare delle relazioni positive all’interno dei partecipanti del gruppo e cercare di analizzare quelli che sono i collegamenti tra i pensieri, le emozioni e i conseguenti comportamenti; cercare, cioè, di capire perché mi comporto in un determinato modo e perché provo una determinata emozione e andare a vedere perché mi sento e mi comporto in questo modo. Durante il compito è importante soffermarsi su come ci si è sentiti nel fare i complimenti perché, spesso, tante persone si sentono a disagio non riuscendo ad essere, così, dirette. Come compito a casa, si chiede ai partecipanti di fare dei complimenti a tre persone seguendo chiaramente le stesse modalità soffermandosi su quanto si è stati diretti e come ci si è sentiti nel fare il complimento. Arrivati a questa fase di training, si può passare alle attività che servono per far comprendere la distinzione tra i comportamenti assertivo, passivo e aggressivo. Il conduttore racconta al gruppo alcuni esempi di interazioni di comunicazione e, a coppie, chiede di discutere circa quello che è stato lo stile adottato dai protagonisti. Ogni coppia dovrà dire per ogni interazione qual è stato lo stile adottato dai protagonisti dell’interazione. Come homework, in questo caso, viene chiesto ai partecipanti di osservare le proprie interazioni e di provare a modificare i pensieri, in primis, e poi, conseguentemente, le emozioni sottostanti; provare, in un certo senso, a mettere in atto le regole di comunicazione assertiva. A conclusione del training si passa, invece, a quelle che sono le attività sui diritti assertivi. Vengono esposti i seguenti diritti: dire di no senza sentirsi in colpa, decidere se occuparsi o meno dei problemi degli altri senza sentirsi in colpa, poter cambiare parere e opinione, poter commettere errori e poter sbagliare, poter dire “non so” quando è richiesta una competenza che si pensa di non avere, poter dire “non mi interessa” quando un argomento non suscita la nostra attenzione o non siamo intenzionati a fare qualcosa e il diritto di dire “non capisco”. Rispetto a questo elenco, ogni partecipante dovrà trovare il diritto più difficile da riconoscere come proprio, quello in cui fa più fatica e si discuterà sui motivi di tale difficoltà. Inoltre, rispetto a ogni diritto, ogni partecipante dovrà riflettere sull’idea di possedere o meno quella caratteristica e, su una scala da 0 a 10, provare a posizionare quello specifico diritto rispetto a sé. Come compito a casa viene chiesto di allenarsi a vivere il diritto che si sente più difficile e viene chiesto anche di provare a discutere rispetto a ciò con qualcuno che invece vive assolutamente bene questo e che non ha, appunto, alcuna difficoltà nell’esprimere quel particolare diritto. Inoltre, durante un training di assertività, il conduttore potrà anche proporre degli esercizi di immaginazione in cui viene chiesto di immaginare delle situazioni in cui devono essere messi in atto determinati diritti e vedere come si reagisce e come ci si comporta in quella specifica situazione. L’obiettivo è quello di comprendere quali sono realmente le difficoltà e provare a metterle in atto, prima, in immaginazione e, poi, una volta che ci si è allenati, provare ad esporsi in vivo nelle situazioni di vita reale.
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