Test del Marshmallow: implicazioni scientifiche
Test del Marshmallow: implicazioni scientifiche
Oscar Wilde sosteneva di poter resistere a tutto tranne che alle tentazioni. Proprio le tentazioni sono al centro di una serie di esperimenti passati alla storia col nome di “test del marshmallow”, iniziati dallo psicologo austriaco Walter Mischel tra la fine degli anni ’60 e l’inizio degli anni ‘70 presso l’Università di Stanford, in California.
L’originale esperimento del marshmallow aveva come oggetto di studio bambini in età prescolare (dai 4 ai 6 anni) che venivano condotti in una stanza videosorvegliata, fatti sedere ad un tavolo e messi di fronte ad una difficile scelta: mangiare un marshmallow – o un’altra leccornia (ad esempio un biscotto Oreo o un pretzel) – subito oppure aspettare 15 interminabili minuti per poterne mangiare due.
Lasciati soli dallo sperimentatore, seduti al tavolo con l’invitante dolcetto sotto gli occhi, alcuni bambini mangiavano subito il marshmallow, altri (la maggioranza) adottavano strategie per non cedere alla zuccherosa tentazione. All’esaurirsi del quarto d’ora di attesa, circa un terzo dei bambini era riuscito a resistere ed era libero di mangiare anche il secondo marshmallow.
Come documentato dalle registrazioni presenti su Internet, le strategie adottate dalle piccole cavie per resistere alla gratificazione immediata erano – e sono, dato che l’esperimento è stato replicato molte volte – diverse: c’è chi si tiene occupato giocherellando, chi allontana il piattino, chi rivolge lo sguardo altrove o si copre gli occhi, chi si limita a tastare, annusare o leccare il marshmallow.
Quindi, ci sono bambini capaci di resistere seppur con difficoltà (come dimostrato dalla loro espressione sofferente) ed altri che invece non riescono a frenare l’impulso di mangiare il marshmallow che hanno davanti – che, in altre parole, non riescono a tollerare la frustrazione di non poterlo mangiare subito –, nonostante la prospettiva di poterne mangiare due qualora resistano. I primi (gli high-delayer) sono capaci di ritardare un piacere per ottenere un premio successivo ma più gratificante (gratificazione differita), i secondi (low-delayers) optano per il soddisfacimento immediato del bisogno esperito (gratificazione immediata), mostrando un diverso livello di adattamento/opposizione alla situazione.
Inoltre, il test rileva differenze significative relative all’età (la capacità di resistenza risulta direttamente proporzionale all’età).
Se l’esperimento si fosse fermato alla constatazione delle differenze individuali relative alla capacità di autocontrollarsi, di gestire gli impulsi e di tollerare la frustrazione, nonché alla disposizione a rinunciare ad un premio (reward) piccolo ma immediato per ottenere premio futuro ma più grande (rinunciare all’uovo oggi per la gallina domani), forse non sarebbe riportato su tutti i manuali di psicologia. L’intento di Mischel era molto più ambizioso: egli non si era prefissato soltanto di studiare la forza di volontà (e, in particolare, la gratificazione differita) ma anche di valutarne le conseguenze nel tempo, sulla vita dei soggetti presi in esame.
Il “sadico” dilemma del marshmallow, infatti, fu solo l’inizio di una delle indagini più importanti nella storia della psicologia comportamentale, un esperimento che dura da quasi 50 anni e che è destinato a continuare: gran parte dei 600 bambini del campione originale è stata sottoposta a studi di follow up che proseguono ancora oggi. Sono state la lungimiranza di monitorare nel tempo quei bambini e la decisione di trasformare il test del marshmallow in un imponente esperimento longitudinale a far ottenere agli sperimentatori i risultati più rilevanti.
A quale futuro erano destinati i bambini che furono messi davanti a quei dolcetti bianchi e spugnosi? C’era una correlazione tra il comportamento che avevano tenuto nell’esperimento del marshmallow ed il loro autocontrollo, le loro caratteristiche di personalità ed il loro successo da adulti?
Diventati adolescenti, i bambini che all’epoca avevano saputo resistere alla tentazione di mangiare subito il dolcetto vantavano dei risultati scolastici molto migliori degli altri, erano più sicuri di sé, erano in grado di pianificare il loro tempo, erano capaci di autocontrollarsi, di concentrarsi, di gestire lo stress, di tollerare meglio le frustrazioni e di riuscire a mantenere le amicizie, venivano considerati più responsabili dai genitori ed avevano probabilità inferiori di sviluppare problemi comportamentali. Qualche tempo dopo, gli stessi bambini ottenevano punteggi maggiori al SAT, ovvero il test per l’ammissione al college (vi era una correlazione positiva tra i minuti attesi prima di mangiare il marshmallow ed il punteggio conseguito).
Il follow-up successivo riesaminò il campione quando i soggetti avevano raggiunto i 25-30 anni. Coloro che avevano resistito di più nel test del marshmallow avevano raggiunto i traguardi accademici più alti, erano stati capaci di realizzare obiettivi a lungo termine e di mantenere delle relazioni soddisfacenti, usavano meno droghe e avevano un indice di massa corporea più basso; inoltre, questi avevano maggiori capacità di adattamento e di far fronte ad eventi negativi (resilienza). Insomma, i bambini più capaci di controllarsi avevano avuto più successo nella vita rispetto agli altri.
Nel follow up più recente (2009) gli ex bambini, ormai quarantenni, furono sottoposti ad un esperimento analogo a quello del marshmallow ed a procedure di imaging cerebrale.
Il nuovo esperimento poneva i quarantenni di fronte ad un schermo ed inizialmente richiedeva loro di schiacciare un pulsante quando compariva una faccia di uomo o di donna, dopo qualche minuto di premere quando compariva una faccia sorridente o triste e nella terza fase di non premere quando comparivano le facce sorridenti. È nella fase finale del test che occorrevano un istante di riflessione ed un certo controllo cognitivo per resistere all’impulso di schiacciare il tasto alla vista di qualcosa di piacevole (un sorriso). Ebbene, coloro che da bambini resistevano meno alla vista del marshmallow commettevano più errori rispetto agli altri soggetti, a dimostrazione che la capacità di dominare gli impulsi è una caratteristica individuale relativamente stabile nel tempo.
Grazie alla risonanza magnetica funzionale sono stati individuati i correlati neurali della capacità di controllo degli impulsi in gioco nell’esperimento: lo striato ventrale (un nucleo sottocorticale appartenente al sistema dei nuclei della base) e il giro frontale inferiore del lobo frontale; il primo è il centro della ricompensa che “intercetta” ciò che dà istantaneamente piacere e che è coinvolto nel gioco d’azzardo patologico ed in tutte le dipendenze, il secondo è invece implicato nell’inibizione di comportamenti indesiderabili. I quarantenni la cui performance in termini di autocontrollo era peggiore mostravano un’attivazione esagerata dello striato ventrale ed un’attivazione insufficiente del giro frontale inferiore.
Quale conclusione possiamo trarre da questo lungo esperimento iniziato con dei bambini messi di fronte a delle esche dolci e gommose? I bambini dotati di un maggiore autocontrollo, capaci di gestire cognitivamente gli impulsi, tendono ad avere più successo nella vita rispetto agli altri (l’autocontrollo è un indice predittivo di successo addirittura due volte più affidabile del QI!); del resto, è abbastanza evidente come l’incapacità di rinunciare ad un marshmallow subito a discapito della possibilità di averne due in un secondo momento sia analoga, ad esempio, alla tendenza dello studente a preferire l’immediato piacere di utilizzare i social o di vagare in Rete senza una meta piuttosto che studiare per un esame imminente.
Il dover trovare nella propria mente una soluzione ad un problema (cedere o non cedere alla tentazione) aiuta il bambino prima e l’adulto dopo ad agire adottando strategie ed infine a raggiungere il traguardo.
Uno dei corollari di queste considerazioni è che possiamo aiutare i nostri figli ad avere successo negli studi e nella vita insegnando loro l’autocontrollo.
Bibliografia
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Altre risorse:
– Come Fare il Test del Marshmallows, in WikiHow
A cura della dott.ssa Ester Belfatto