Tesi Online: La Gamification e la Didattica
A cura del dott. Gennaro Iossa
Un estratto della tesi su Gamification e Didattica:
INTRODUZIONE
1. Gioco ed educazione
Il rapporto tra gioco ed insegnamento è questione antica e risalente.
Sbaglierebbe, quindi, chi pensasse che migliorare l’apprendimento attraverso forme ludiche sia conquista recente della dottrina pedagogica.
La tematica del gioco è infatti intrecciata alla storia del pensiero occidentale, sia filosofico che pedagogico.
La trasmissione della cultura occidentale ha spesso eliso questo profondo senso della dimensione educativa dell’antica Grecia, tramandando solo la rigida educazione filosofico- scientifica, senza la sua forma essenziale: quella del gioco esperienziale, ossia del gioco non solo come simulazione della realtà, ma come mezzo per la trasmissione e l’acquisizione di competenze.
A ben pensare, che cosa sono gli esercizi di retorica su temi assegnati, se non finzione, se non simulazione di una possibile realtà, eseguiti proprio in vista dell’incontro di quella o di realtà consimili?
La tradizione giuridica romanistica si tramanda l’espressione “docendi vel iocandi causa” quale caso di mancanza di volontà in un negozio giuridico (trattasi di frasi, espressioni di volontà non rilevanti giuridicamente, come nel caso di insegnamento o dette per scherzo), accostando nella stessa espressione gioco ed insegnamento.
Ma gli stessi giochi olimpici (tanto quelli antichi, quanto quelli moderni di Le Coubertin) sono espressione di attività tutt’altro che ludiche, quali le discipline olimpioniche, ma che vengono espresse in forma di gioco, di competizione al loro livello più alto.
In psicologia i giochi di simulazione spontanei o i giochi di imitazione sociale rappresentano una caratteristica propria dello sviluppo della persona e la loro mancanza è un indice, peraltro specificamente elencato dal DSM V, dei disturbi dello spettro autistico, all’interno del secondo gruppo di sintomi (Di Tommaso, slides, 2023).
Invece, una dedizione assorbente e ripetitiva a giochi stereotipati ed anormali sia per intensità che per focalizzazione, una persistenza ed ossessività dell’attenzione al gioco, e magari ad un gioco particolare, elencato all’interno del terzo gruppo di sintomi, è sintomo anch’esso, in concorrenza con altri, s’intende, di disturbo dello spettro autistico (ibidem)
Per converso, un corretto sviluppo della persona passa obbligatoriamente attraverso il gioco, inteso come strumento naturale, spontaneo, immediato di sviluppo delle capacità apprenditive.
Da rimarcare, a titolo esemplificativo di ciò che andiamo dicendo, il ruolo che il gioco e la naturale propensione alle attività ludiche hanno nel moderno “Metodo Analogico Bortolato”.
“Questa alternativa alla didattica tradizionale si basa sulla naturale capacità di apprendimento dei più piccoli: giocano, comunicano e imparano a usare i dispositivi tecnologici lasciandosi guidare dall’istinto, dalla percezione istintiva”(geniusuite.com).
Se il metodo tende all’apprendimento attraverso le analogie, lasciando spazio alla naturale propensione dei ragazzi alla conoscenza, proprio l’attitudine al divertimento ed al gioco deve essere incoraggiata e perseguita come naturale via della conoscenza e dell’apprendimento; anche i supporti del metodo Bortolato (riga del 20, ecc…) sono chiaramente ispirati a giocattoli o a strumenti ludici.
2. Il gioco nella storia del pensiero
Il gioco è appartenuto a tutta la storia del pensiero occidentale (Abbagnano, 1994), si diceva, e i primi dati certi sul rapporto tra pedagogia, filosofia e gioco possiamo farli risalire alla Grecia classica.
Per i Greci, infatti, il gioco non è solamente l’attività frivola e fine a se stessa dei più giovani, bensì può ricoprire il ruolo di attività propedeutica ed educativa tanto per bambini quanto per adulti.
In questo senso, il gioco si colloca ai confini fra il serio e il ludico e fra l’intelligenza e la leggerezza, rivelandosi utile sia per sviluppare e curare il fisico, sia per socializzare, sia per imparare il rispetto delle regole.
Platone, nelle Leggi, afferma che “il punto essenziale dell’educazione consiste in un corretto allevamento che, tramite il gioco, diriga il più possibile l’anima del fanciullo ad amare quello che, divenuto uomo, dovrà renderlo perfetto nella virtù propria della sua professione” (Platone, 2009, Leggi, 643c-643d).
E ancora, sempre nelle Leggi: “Io dico che dobbiamo occuparci di ciò che è serio, e non di ciò che serio non è: e per natura ciò che è divino è degno di ogni interesse, come un essere beato, mentre l’uomo, come dicevamo prima, è soltanto un giocattolo fabbricato dagli dèi, ed in effetti questa è la sua parte migliore. In conseguenza di questa concezione, ogni uomo e ogni donna devono vivere giocando al meglio possibile questo gioco, pensando il contrario di ciò che oggi si pensa” (Platone, 2009, Leggi, 803c).
Con ancor maggior forza Platone sostiene che la dimensione del gioco è la parte migliore dell’uomo, e forse quella più vera.
Se Platone è forse l’esempio più fulgido di tale concezione, nel corso della storia del pensiero troviamo altrettanti illustri pensatori che hanno ribadito l’importanza del gioco.
Il suo epigono morale, Nietzsche, nella sua teorizzazione di apollineo e dionisiaco quali forze plasmatrici del mondo, richiama espressamente Eraclito (Nietzsche, Opere, 1964, p.182) nella Nascita della tragedia; in Così parlò Zarathustra il gioco diviene la precisa volontà dionisiaca di distruzione e creazione senza un razionale perché: “Sì, per il giuoco della creazione, fratelli, occorre un sacro dire sì: ora lo spirito vuole la sua volontà, il perduto per il mondo conquista per sé il suo mondo” (Nietzsche, Così parlò Zarathustra, 2000, p.25)
Nella storia recente, ad esempio, Johan Huizinga può essere considerato come uno dei maggiori teorici del gioco, tema al centro della sua opera Homo ludens (Huizinga, 1979) che assegna all’attività ludica dell’uomo il motore propulsore dell’arte, della letteratura, del teatro, del diritto, della scienza, della religione, della filosofia.
Così Umberto Eco: “La cultura sorge in forma ludica, la cultura è dapprima giocata… Ciò non significa che il gioco muta o si converte in cultura, ma piuttosto che la cultura, nelle sue fasi originarie, porta il carattere di un gioco, viene rappresentata in forme e stati d’animo ludici…Nei giochi e con i giochi la vita sociale si riveste di forme sovrabiologiche che le conferiscono maggior valore”(Eco, 1988).
Dalla teorizzazione generale huizingiana discende la teorizzazione del gioco di Roger Caillois, il quale propone i quattro ludemi: agon, alea, mimicry e ilinx (Caillois, 1981).
Proprio la mimicry, ossia l’imitazione, quando il gioco si basa su una falsa immagine di sé stessi assunta con un’identità fittizia, è terribilmente attuale, ove estendessimo questa classificazione non solo ai giochi dell’infanzia, ma anche a quelli dell’età adulta.
Ludwig Wittgenstein affina il discorso proponendo la questione del gioco linguistico:
“[Esistono] innumerevoli tipi differenti d’impiego di tutto ciò che chiamiamo segni, parole, proposizioni. E questa molteplicità non è qualcosa di fisso, di dato una volta per tutte; ma nuovi tipi di linguaggio, nuovi giochi linguistici, come potremmo dire, sorgono e altri invecchiano e vengono dimenticati” (Wittgenstein, 2009, par. 23).
Moltman, infine, insiste sulla forza sociale e liberatrice del gioco, che va tutelato, come momento non solo di svago, ma catartico e liberatorio, dai tentativi del potere di privarlo di questa sua essenziale funzione (Moltmann, 1971).
Addirittura Moltman elabora una nuova teologia dove assegna alla creazione la funzione del gioco. Secondo la sua teologia infatti la creazione è un atto libero di Dio: “Per questo la creazione è un gioco di Dio, un gioco della sua sapienza senza fondo e origine. Essa è lo spazio per il dispiegamento della magnificenza di Dio” (ibidem, p.16).
Come non notare un richiamo a Platone nelle sue Leggi e all’uomo giocattolo di Dio (v. nota 6).
In conclusione, probabilmente la scuola ha espunto per molto tempo il concetto di gioco dalla sua attività primaria, nonostante le teorizzazioni di tanti pedagogisti (Montessori docet).
Come abbiamo visto, vi sono solidissime basi scientifiche ed epistemologiche per ribadire efficacemente e stabilmente il gioco come strumento per la didattica e, soprattutto, per la didattica speciale, e non solo quale momento di svago per potenziare il successivo apprendimento, ma come strumento apprenditivo esso stesso, come via per la conoscenza.
Occorre adeguare ai tempi, alla società ed ai suoi strumenti il concetto di gioco come strumento didattico, ma le funzioni e le dinamiche restano le stesse (Scognamiglio).