Tesi Online: DRUGS-ADDICTED – Carnefice e/o Vittima? Aspetti Criminologici e Vittimologici della Tossicodipendenza
A cura della Dott.ssa Glenda Lucato
Un estratto della tesi:
INTRODUZIONE
Oggi la cosiddetta “società liquida” è caratterizzata da rapidità dei cambiamenti, immediatezza della comunicazione tecnologica e mutazione ultrarapida dell’individuo. Nascono così nuovi e mutevoli stili di vita, di tendenza, talvolta con un potenziale patogeno. La dipendenza, che esiste in partenza come meccanismo fisiologico, viene spinta al limite del patologico. Tutti i comportamenti che mirano a poter cambiare rapidamente gli stati d’animo rinforzano le dipendenze.
Il consumo di droghe rappresenta un grave problema per gli individui, le famiglie e le comunità in tutto il mondo. L’uso e l’abuso di sostanze stupefacenti porta con sé diverse implicazioni negative per la salute e la società.
Ad oggi in Italia abbiamo una popolazione carceraria di circa 58.000 detenuti, di cui oltre la metà ha una storia pregressa o attuale di uso di alcol/sostanze (prevalentemente cocaina, crack, altri stimolanti, alcol ed eroina). Una quota di questa popolazione ha commesso i reati che hanno determinato la carcerazione per motivi correlati all’uso di sostanze psicoattive e alle sequele psicopatologiche di tale assunzione.
Questi numeri portano il senso comune ad applicare a priori al tossicodipendente l’etichetta del delinquente. Ma il tossicodipendente è prima di tutto un individuo malato di dipendenza, vittima della sua dipendenza. La relazione tra tossicodipendenza e criminalità è secondaria. Approfondire la prima questione per chiarire il suo rapporto con la seconda è un passaggio necessario per una visione completa del problema.
–
Quella che intendo proporre è una prassi criminologica svincolata dalla stretta aderenza ai principi popolari. Un intervento criminologico rivolto al tossicodipendente, centrato su un elemento ben preciso: permettergli di porsi in una posizione attiva rispetto a quanto gli sta accadendo, di interessarsi alla propria condotta tossicomanica, così come alle sue conseguenze sociali e giudiziarie. Una visione all’interno della quale il soggetto possa finalmente pensare la tossicodipendenza e sperimentarsi come interprete del proprio comportamento di assunzione di droga.
Non intendo eliminare la concezione del tossicodipendente come deviante. La tossicodipendenza rappresenta certamente uno dei terreni più fecondi per i processi psicosociali di formazione della devianza.
Propongo però di affiancare a questa concezione quella del tossicodipendente come vittima, non tanto di altri reati, quanto della sua stessa dipendenza.
Oggetto di questo lavoro sono i rapporti tra uso/abuso di sostanze stupefacenti e criminalità; più in particolare, come l’assunzione di droga possa indurre stili di vita criminogeni o vittimogeni.
CHI È IL TOSSICODIPENDENTE?
Cercare una risposta a questa domanda è forse la più gravosa sfida culturale dei nostri tempi, della nostra epoca. Un’epoca che possiamo definire delle “passioni tristi”. La crisi sociale e il disagio del nostro tempo, oramai globalizzati, premono sempre più l’individuo verso un allentamento della fiducia nel futuro.
Il passaggio da una rappresentazione del futuro come promessa a una percezione del futuro come minaccia, unito ad un affievolirsi del contatto con la realtà a favore della percezione di un presente vissuto in modo onnipotente e ipomaniacale, determinano inevitabilmente una caduta del principio di autorità e un dominio del no-limits.
Il presente non contiene più il seme di un futuro carico di aspettative. Il futuro oggi è sempre più percepito come la minaccia di un tempo incalzante, di fallimento, di sciagura e di stagnazione. Osserviamo dunque una distorsione nella prospettiva temporale, caratterizzata dalla fuga maniacale in un’eternalizzazione del presente, come luogo del trionfo, del successo, del godimento. È questa alterazione della prospettiva temporale il primo indizio di una crisi profonda.
In circostanze normali, infatti, la percezione soggettiva della prospettiva temporale dovrebbe caratterizzarsi per una più positiva ed equilibrata visione di passato, presente e futuro. Dovrebbe essere permeata da un solido e buon rapporto con il passato, come luogo di cui servare memoria, con il giusto senso di separatezza ma anche di riconoscenza, e da una sostanziale fiducia del futuro, come terra di promessa e di realizzazione di istanze di progresso. Assistiamo invece ad una deformazione di questo rapporto.
Il passato è disprezzato o reso insignificante, come dimenticato. Il presente è dilatato nella rappresentazione maniacale di una corsa verso il traguardo del successo. Il futuro è appiattito dall’aspettativa della vittoria, ma anche oscurato dall’angoscia e dal senso di minaccia. Si mettono allora in atto comportamenti irresponsabili, privi di ogni controllo, di ogni limite, in virtù di una sconsiderazione del rischio e del danno che potrebbe svilupparsi in quel futuro rimosso.
–
Un altro carattere attraverso cui si sostanzia la crisi di oggi è una grave deformazione dell’adolescenza come età del ciclo vitale. Essa è divenuta una fase della vita dalla quale non si esce più per tempo, sia perché la crisi dell’età adolescenziale viene a interagire e a scontrarsi drammaticamente con la crisi collettiva, sia perché mancano quei presupposti nell’età adulta di emancipazione sociale, di autonomia dalla famiglia, di raggiungimento di un’occupazione lavorativa che rendono virtualmente possibile entrare a pieno titolo nell’età adulta.
Nelle culture tradizionali, in molte tribù, l’adolescenza è condotta per mano, dall’infanzia all’età adulta, da potentissimi vincoli sociali che la fanno durare anche solo una settimana, dunque il cosiddetto processo del “diventare grande” è completamente diretto dalla società. Diventare grande in queste culture è poco complicato e molto repentino. Si transita dalla condizione di bambino a quella di adulto e la posizione/ruolo che la persona occuperà da adulta non si può scegliere, in quanto è completamente predeterminata dalla comunità. È richiesta poca originalità, poca individualità.
Nelle culture occidentali questo non avviene. L’adolescenza, infatti, è un’invenzione della tarda modernità. La durata dell’adolescenza recentemente si è espansa e ha confini poco definiti. È chiaro che esiste un’infanzia e tutti ne conosciamo bene le caratteristiche.
È invece poco chiaro che cosa ci sia dalla parte dell’adulto, le caratteristiche che definiscono la condizione di adulto, le sue fattezze. Mentre fino a poco tempo fa era definito dal trinomio casa-lavoro-famiglia, l’adulto è oggi poco riconoscibile. Non sappiamo esattamente che cosa lo definisce.
L’adolescenza è un periodo di cambiamento? Di transizione? Di sospensione tra due stati? Di crisi? Si abbandona l’infanzia, certo, ma l’adolescenza finisce per non concludersi mai.
Si assiste ad un perpetuo tentativo di formalizzare tale fase, ma alcuni elementi finiscono per ripresentarsi costantemente, per cui possiamo vedere l’adolescenza come una grande festa che inizia alla fine dell’infanzia e che finisce in un periodo indefinito, con la costante presenza degli elementi della festa.
Uno dei modi per cercare di dare significato al consumo di droghe può essere quello di concepire la persona in questo passaggio tipico dell’adolescenza. Questo passaggio è spesso sostenuto dal consumo di stupefacenti. In ogni rituale è presente un aspetto di alterazione della coscienza. L’elemento “droga” viene incapsulato tra gli elementi della festa ma dovrebbe durare soltanto nel momento della festa.
Questo elemento così tipico della festa iniziatica può però continuare ad essere presente nella vita dell’individuo, grazie al sollievo del passaggio della crisi tipico di quel momento. Può essere quindi che la modalità attraverso cui è stato gestito il rituale rimanga costante nella vita dell’individuo. L’elemento della festa è percepito come elemento in grado di governare il vuoto, l’assenza di ordine, il caos. Può dunque essere ripreso ed utilizzato dalla persona in modo costante. Da qui la dipendenza a quell’elemento.
All’interno di questa crisi si innescano allora quei meccanismi che sottostanno al fenomeno della dipendenza, intesa qui come mancanza di autonomia, per cui l’oggetto della dipendenza rappresenta il sostituto di quell’autonomia mancante.