Tendere l’orecchio ed ascoltare. Il fenomeno della musica tra musicoterapia e filosofia

A cura di: Damiano Milone

INTRODUZIONE

Indagare il fenomeno della musica e del rapporto tra interprete ed ascoltatore non è un fatto così semplice e riconducibile a semplici categorie euristiche e/o descrittive.

Narrare soltanto l’atto costitutivo di senso dell’interprete musicale, del compositore e la fruizione del consumatore, potrebbe tracciare soltanto un indicativo e possibile sentiero di riflessione e obliterare concetti ancor più universali e poliedrici di rappresentazione dell’estetica musicale.

Circoscrivere poi la musica ad un’estetica del senso e rintanarla in valori sociali, politici e culturali, ancor di più, limita maggiormente le caratterizzazioni esplicative che tale avvenimento designa.

1. Estetica, pragmatica e musicoterapia

La musica poi, in campo curativo si lega alle terapie di riabilitazione delle funzioni neuronali e, con l’andare avanti degli studi nel campo musicoterapeutico, a un più ampio spettro di campi applicativi. Per indagare il fatto musicale è bene riflettere in generale sul senso di ogni fare umano. Lo statuto epistemologico di ogni fare è, aristotelicamente parlando, connesso ad un sapere finalizzato e intimamente teleologico (Zanatta, 1997) e le stesse scienze pratiche scaturiscono da ragionamenti ipotetici e specifici legate a singole virtù pratiche che si rifanno poi alla virtus per eccellenza.

La stessa qualità del compositore e dell’esecutore sta proprio in questo habitus virtuoso, agire in virtù di un’azione bella e giusta nel quale tra i cinque stati di virtù, la technè musicale rientra nella saggezza pratica (Aristotele, trad. it. di Natali, 2010). Se la musica può essere annoverata uno “stato abituale produttivo unito a ragione” (ivi, p. 229), nel genio artistico musicale la disposizione innata fa sì che la natura dia regola all’evento artistico (Kant, trad. it. di Gargiulo, 2008) donandogli senso, valore e grado di accettazione del sentire percettivo.

La saggezza musicale, pertanto, orienta il procedere dell’interprete musicale manifestando in modo esemplificato lo stato dei fini immanenti all’interno della natura, così da legare l’elemento naturale a ciò che è intimamente artificiale e umano (Atri, 2008). Il giudizio artistico relativo all’arte musicale, non può essere considerato un mero asserto utilitaristico e pragmaticamente situato, anche se culturalmente, in realtà tale formulazione personale e la stessa fruizione di una melodia musicale, s’innestano potenzialmente nel modo di essere di quell’ente che è l’uomo, il suo situarsi esistenziale nella dinamica della vita quotidiana. Il «si dice» della musica, se da una parte è legata ad una logica fruitrice, il suo porsi in giudizi soggettivi intende, in realtà, una vera e propria rappresentazione collettiva naturalmente innata nell’uomo, immortale quasi, che si libra dal contesto della sua enunciazione e dai termini di “lettura-traccia-decifrazione-memoria” (Foucault, 1994, p. 165) per discendere nella vivacità e originarietà perduta dell’essere dell’uomo al mondo.

La musica, in conseguenza di quanto esposto sopra nei diversi rimandi, è lettura di senso innata dello spirito umano e, una critica od un pensiero intorno ad essa che la circoscriva in categorie ristrette, dimentica proprio la sua essenziale costituzione di dimensione innata.

La terapia riabilitativa che prevede l’utilizzo della musicoterapia in chiave fenomenologica, riflette sulla peculiarità focale dell’evento musicale così intimamente originario per l’uomo; ecco perché i trattamenti che vanno a utilizzare il panorama del mondo intrapsichico e la tecnica di approccio relazionale di tipo musicale, vanno a toccare dal di dentro il soggetto in riabilitazione (Borghesi et al., 2006). L’evento musicale è così democraticamente universale e così naturale, che tutti gli individui hanno avuto a che fare nella loro vita con un motivo, un jingle, una sigla o un tormentone; esperienza percettiva poliedrica ed estetica connaturata per ogni individuo (Matarelli et al., 2023).

Nella ricerca neuroestetica e nella conseguente percezione estetica dell’individuo, l’interessamento delle aree di Broca e Wernicke (Adornetti, 2019) vanno a correlare l’attitudine musicale e la stessa pratica nella capacità di promozione della neuroplasticità del cervello, andando ad implementare ed aumentare le fibre bianche presenti nella muscolatura. In tal modo, velocità e connettività neuronale si amplificano e possono essere risultare come fattori critici utili per diverse applicazioni riabilitative (Beatrici, (2024).

In conseguenza di ciò, l’impiego della musica in ambito medico, ricadendo effettivamente sulla specificità del cervello, può essere deliberatamente impiegato per trattare patologie come le sindromi di ansia e di depressione, i disordini cognitivi e del linguaggio, nonché i pazienti affetti da Parkinson (ivi, 2024). La caratteristica ancor maggiore della musica non si può fermare al fatto neurologico e fisico, ma deve toccare quella che è considerata una vera e propria teoria della mente, panorama di senso fondamentale per carpire il verso senso del fatto musicale.

2. In cammino verso una teoria estetica della musica

La direzionalità dell’orecchio nell’atto di ascoltare non rappresenta soltanto una normale componente meccanica del comportamento umano. In un’antropologia e psicologia del senso comune ascoltare, sentire e tendere l’organo di senso, traducono una considerazione prettamente tecnica e funzionale legata al lavoro che un apparato di senso normalmente compie. In realtà, come sopra già in parte subodorato, la nascita delle neuroscienze e la considerazione proprio della musica come indicatore d’intervento per l’implementazione della neuroplasticità del cervello (Pascual-Leone et al. 1995), abbisogna di una robusta teoria della mente e/o sintassi simbolica della mente. I percetti, legati a loro volta da intuizioni empiriche e quantitativamente significative, procedono dimostrativamente sottoforma di processo analogico di tipo simbolico.

Parafrasando, si può indicare che la nota musicale od il motivetto sentito di sfuggita alla radio, non rappresenta soltanto un qualia percettivo, perché il qualia è per il soggetto intuente. La considerazione kantiana espressa nella Critica del Giudizio come libertà dell’immaginazione nel quale il giudizio estetico si riallaccia al rapporto tra bello e legalità dell’intelletto (Kant, 2008), può essere qui utilizzata per poter conferire all’esperienza musicale tutta la sua fondamentale pregnanza. Il suono, qualia percettivo, s’incontra con la legalità dell’intelletto dando nella sua sintesi esplicativa, la sintassi dell’ascoltato e, pertanto, il riconoscimento di senso, il sorriso di un motivo musicale riconosciuto e caro all’ascoltatore. L’errore a volte declinato da una posizione riduttiva del fenomeno musicale, sta nel considerare la musica solo un prodotto ed una mera pratica del soggetto, diversamente, un modello diversificato dell’esperienza percettiva, va a rinominare la musica quale parte integrante dell’esperienza umana nella sua totalità.

Daniel Dennett prospettando un modello della mente come “Molteplici Versioni” (Dennett, 2009, p. 149), sfronda la concezione della teoria della mente come teatro cartesiano, difatti, ogni qualia percettivo e del resto la stessa musica, s’inserisce nella capacità del cervello di operare in diversi moduli e creare in modo retrospettivo lo stesso contenuto percettivo. Le stesse neuroscienze propendono per una posizione fisicalista del dato percettivo e della stessa capacità del cervello di rielaborare il contenuto per farlo apparire contenuto di senso. In questo modo una mente, esterna al cervello che interviene per agire da effettivo selettore, risulta quanto mai non auspicabile e una comprova sta proprio nella pratica musicoterapeutica.

Di certo, rimane il dibattito tra filosofi della mente e fisicalisti che adombrano rispetto ad una posizione simbolica di senso, la natura sequenziale e quasi epifenomenistica (Chalmers, 1996) del comportamento interamente guidato dal cervello e dalla sua struttura fisiologica. La teoria della mente, spesso citata dagli specialisti del settore in modo improprio ed unitario, potrebbe a questo punto essere interamente naturalizzata e con essa lo stesso concetto di coscienza da cui poi discendono le nozioni di verità e di senso dei qualia percettivi (Nannini, 2020), ma come lo stesso Dennett (Dennett, 2009) denunciava a suo tempo: quali qualia? Quali elementi connotativi fungono da riflettore nel cervello per giungere ad una posizione sensata tra uno stimolo ed una risposta?

Una risposta biologicista ed eliminativista, potrebbe duplicare il soggetto percipiente nei tanti sé percettivi e dimenticare, invece, che ogni individuo è lì inserito nel mondo e, anzitutto, in un mondo di senso e altamente significativo ed interattivo. Già Bruner aveva sottolineato come ad esempio la “dysnarrativia” (Bruner, 2006, p. 99) risulterebbe mortale per un soggetto, specialmente in considerazione dello sviluppo del proprio Sé individuale. Ogni Sé, difatti, non reagisce ai qualia percettivi perché soltanto stimolato e reagente, ma perché conferisce in modo peculiare un senso interpretativo a quanto sta vivendo. A tal riguardo, l’atto di riconversione del discorso sulla focalità della mente non come mero coccige del cervello, consta innanzitutto sul riferimento di un soggetto percipiente posto all’interno di una cultura. La totalità delle percezioni, dei qualia e della sintassi percettiva, non può rispondere solo a un naturalismo meccanicamente qualificato, ma ad una ricomprensione essenziale del percepire umano. Rilevare la cultura come panorama di senso ed amplificatore dialettico e dinamico dei dati percettivi, significa riscrivere il Sé come narratore significativo del proprio esserci.

A questo punto l’esperienza musicale ed una teoria estetica musicale di rimando, può essere molto utile per comprendere quanto sopra prospettato: l’essere umano è un quel particolare ente che si situa nel mondo come un narratore di senso ed interprete. Rispetto ad un naturalismo proiettante poco sopra menzionato, che vede nel cervello l’unico regista del teatro cartesiano della coscienza, la narrazione anche musicale di un soggetto che ascolta o produce musica, ha bisogno di erigersi ad organo di senso del proprio Sé e, in questa stessa ordinarietà così ricca di suoni, silenzi e di motivi, fa scattare un fattore notevole, forse dimenticato in una teoria ermeneutica del gioco di senso di un soggetto: la frattura.

3. L’esperienza della musica: squarcio e frattura

In questo sentiero tracciato fino ad ora, si è partiti in modo diretto sul fare umano per passare poi a vagliare la dimensione originaria del fenomeno musicale. Ci si è mossi sulla via delle neuroscienze con le sue interne specializzazioni (Beatrici, 2024), che mostrano il campo applicativo nell’ambito riabilitativo e terapeutico, nonché preventivo. Infine, si è passati per la filosofia della mente sottolineando tra le diverse correnti la posizione naturalistica e fisicalista dei dati percettivi notandone, però, la sua rinunciarietà ad una determinazione più profonda del complesso percettivo e la sua molteplicità proiettiva negli elementi di stimolo sensoriale.

Il soggetto percependo i dati sensorialI proietta davanti a sé il senso dello stimolo e, facendolo, iscrive la grammatica percettiva per le opportune risposte comportamentali. Così facendo in una posizione naturalistica, nondimeno, il soggetto percipiente si ritrova costantemente al di là da sé, perdendo il fondo del suo essere ente interpretante. Da un lato, altresì, ultima attestazione poco sopra riferita, l’individuo che narra il proprio Sé nel continuum dei qualia percettivi, squarcio il velo del reale amorfo per sintetizzare unità di senso. Nel fare tale operazione, il soggetto percipiente, può utilizzare le unità percettive anche in modo diversificato, per fini diversi per quale erano originariamente nati. Proprio il fenomeno musicale, può aiutare in modo tipico tale transizione perché va ad esibire in modo sia dialettico sia formale e chiuso, la sua “rigorosa immanenza” (Petrucciani, 2007, p. 28). La musica, sia prodotta che fruita, non rimane esperienza inerte nel soggetto percipiente, ma fa letteralmente esplodere mondi di senso e, proprio perché non è soltanto un qualia funzionale, può diventare espressione di problemi sociali. Quest’ultima affermazione, che risente della grande teorizzazione di Adorno (ivi, 2007), fa intuire che il qualia percettivo non rimane lettera morta, pagina accantonata in una serie sterminata di tomi, ma essa stessa contiene dentro le sue fibre le caratteristiche della tecnica e del fare umano.

Quando Adorno indica nell’opera di Strawinsky una falsa coscienza musicale, vuole evidenziare il carattere comune della musica con la società e la tecnica (Adorno, 1959), tanto da indicarne la capitolazione stessa della musica. Tali giudizi critici, derivano dal fatto che il fenomeno musicale deve affermare in modo resoluto la frattura dell’immanenza rispetto ai meccanismi di potere e di dominio che caratterizzano la società e che vogliono costituire il sociale come monolite acritico. La Scuola di Francoforte con Adorno, difatti, carica la teoria estetica musicale come prassi rivoluzionaria rispetto al suo uso puramente strumentale. Tale uso non emerge in modo neutro, ma dimostra al suo interno la sua valenza politica e di dominio sociale. Pertanto, l’articolazione dei qualia percettivi musicali, si caricano di significato politico oltre che, oggi più che mai, di mercificazione (Fornero, 2013) ad uso e consumo per la folla dei consumatori ricercanti.

Sarebbe auspicabile una ricerca approfondita sul senso del misconoscimento del reale da parte dell’attuale arte musicale, ma ciò che qui si vuole dimostrare, è che il qualia percettivo musicale esibisce ed ostenta la dimensione interpretativo del reale e non soltanto la sua meccanica computazione secondo quanto descritto da una posizione naturalistica. Il segno musicale prodotto, fruito e utilizzato dal soggetto in riabilitazione, frattura il continuum della realtà indicando che cosa bisogna ascoltare, verso cosa tendere l’orecchio e scegliere. La posta in gioco dell’ascoltare non è il sentire frivolo dell’insignificante esistente, ma la rammemorazione di una risalita verso la vita del soggetto traboccante. Il qualia musicale percettivo, concludendo tale disamina, fa piangere, arrabbiare e sorridere e, intimamente, alleggerisce il peso dell’esistenza interumana fratturando il suo essere monolitico.

CONCLUSIONI

Il fenomeno della musica è, da quanto poco sopra approfondito, qualcosa di troppo elevato da poterlo circoscrivere in categorie ristrette e spesso ricorsive. La musica, chi opera nella musicoterapia lo avverte in modo chiaro ed inspiegabilmente prepotente, non si specifica nel suo essere puro strumento riabilitativo o uso estetico, ma apre spazi infiniti di espressione, di ammiccamento al reale colorando vite spesso intorbidite dal fluire così caotico della vita e dalla malattia. Barthes, sapeva quanto l’antinomia dell’“animato/inanimato” (Barthes, 1984, p. 68) potesse instradare la verità dell’unità organica del soggetto che come il Bankuro giapponese denota fragilità, ma al contempo discrezione e sontuosità. Come la marionetta/Bankuro non rappresenta soltanto un utilizzabile, ma un vero panorama di senso per una cultura di riferimento, così il fenomeno musicale apre al soggetto un’animazione sopra ciò che potrebbe scaturire come fattore inanimato e congedato soltanto al tempo dell’esecuzione strumentale.

Ad una posizione filosofica che considera la mente quale correlato integrato e computazionale dei semplici qualia oggettivi, comprovanti lo stimolo a cui rispondere, la nota musicale ed il motivo dischiudono, invece, quel senso dell’oltre che si potrebbe proprio compendiare con il non-so-che e il quasi-niente (Jankèlèvitch, 2011). La musica a ben ragione rappresenta una condizione essenziale e fondazionale dell’individuo: un non-so-che, che rinvia ad una quoddità però senza un qualia, un’esistenza che rammenta la possibilità della sua stessa esistenza. La nota e la partitura esistono come scritti, certo, ma rinviano ad una quoddità che rende effettivo tutto ciò che aleggia nel sonoro. Pertanto, il quasi-niente nell’evento musicale è come avvalorato il quasi-tutto, la quasi-totalità degli oltre qualia percettivi; ecco perché la musica diventa quel non-so-che di evento e caratteristica fondamentale dell’essere umano.

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