Teatro e Fiabe
A cura di Laura Musso
Nei precedenti articoli Libri per crescere (Libri per crescere – 1, Libri per crescere – 2 e Libri per crescere 3) abbiamo analizzato alcune ricerche e studi scientifici che confermano il ruolo fondamentale della lettura condivisa della fiaba nella crescita del bambino, nonché l’importanza della presenza e coinvolgimento dei genitori.
Vorremmo dedicare gli ultimi due articoli del nostro percorso Libri per crescere, a due fiabe scritte dal drammaturgo veneziano Carlo Gozzi (1720-1806), alla loro peculiare interpretazione e messa in scena. Il presente articolo, è dedicato a La donna serpente. Fiaba Teatrale Tragicomica in tre atti (1762); in Libri per crescere – 5 analizzeremo L’Amore delle tre melarance (1760).
Fiabe antiche, ma che a tutt’oggi, hanno ancora insegnamenti e valori da trasmettere. Potremmo considerare questi due articoli come esempio di realizzazione concreta di progetti a conferma delle teorie che abbiamo precedentemente analizzato: soprattutto riguardo al valore delle fiabe oltre al contesto famigliare e scolastico, ovvero in ambienti di cura, nel sociale, in situazioni complesse, come aiuto all’accoglienza e all’integrazione della diversità.
Narra, che in un bosco […] trovarono una cerva bianca come la neve
La fiaba originale narra la complessa vicenda d’amore tra Farruscad re di Teflis e Cherestanì, figlia di Abzdelazim re di Eldorado, un uomo mortale, e della fata Zebdon.
Farruscad, durante una battuta di caccia insieme al seguito di cortigiani, giunge in un bosco lontano dalla città di Teflis, capitale del regno, dove incontra una bellissima cerva bianca: alla sola vista, se ne innamora perdutamente e la insegue. La cerva giunge sulla riva di un fiume e, con un balzo, scompare nelle acque. Farruscad e il suo seguito la cercano ma invano. Improvvisamente una dolcissima voce dal fiume chiama Farruscad che, senza esitare, si tuffa seguito dal suo fedele precettore. Con stupore e meraviglia sul fondo del fiume scoprono che la cerva si era trasformata in una principessa.
Farruscad non desidera altro che sposare Cherestanì, la misteriosa e splendida fanciulla che vive nel fiume, anche se ella non gli vuole rivelare le sue vere origini. Cherestanì lo ammonisce che verrà il momento giusto e solo allora si rivelerà: ma ella sa che sarà un momento doloroso perché, sposando un uomo mortale, infrange le regole del mondo fatato a cui appartiene, ciò nonostante, si celebra il matrimonio in un sontuoso palazzo.
Sono trascorsi otto anni e sono nati due gemelli, Rezia e Bedredino. Farruscad ha ceduto alla curiosità, ha forzato uno scrittoio di Cherestanì con la speranza di trovare qualche indizio rivelatore delle origini della consorte. Ella lo coglie sul fatto, è furiosa, piangendo lo rimprovera aspramente e con un grido sparisce insieme ai figli e al palazzo incantato in cui vivevano. Ha così inizio la complessa e tormentata storia del loro amore, che pare non avere soluzione.
Farruscad per rivedere la sua sposa deve affrontare tre prove: combattere contro un toro che sputa fuoco e contro un gigante; infine dovrà baciare qualunque essere – sia esso animale, mostro o altro – fuoriesca dal sepolcro che gli sarà indicato. Farruscad lotta per vincere la sensazione di ribrezzo, terrore e l’impulso di uccidere che prova quando si trova di fronte ad un mostruoso serpente. Il giovane vince ogni incertezza e bacia l’orrida creatura: subito il sepolcro si trasforma in un carro trionfale sopra al quale è Cherestanì. La principessa ora è mortale come il suo sposo e insieme ai figli partiranno per regnare sull’Eldorado.
Ricchezza della diversità
Nell’ambito dei progetti CARIS (Commissione dell’Ateneo di Roma “Tor Vergata” per l’inclusione degli Studenti con disabilità e DSA – Università di Roma Tor Vergata) è nato nel 2015 il Laboratorio Teatrale Integrato “Cerchio Teatro”, pensato come punto d’incontro e di scambio aperto a persone con e senza disabilità all’interno dell’Università di Roma “Tor Vergata”. Per la terza edizione del laboratorio teatrale è stata allestita la fiaba La donna serpente di Carlo Gozzi, messa in scena il 31 maggio 2018 al Teatro Tor Bella Monaca in Romail cui adattamento, testo e regia sono stati curati da Roberto Baldassari dell’Associazione Teatro Dieghesis.
La Commissione CARIS coordina, monitora e sostiene tutte le attività volte a favorire l’integrazione nella vita universitaria degli studenti con disabilità, con disturbi specifici dell’apprendimento (dislessia, disgrafia, disortografia, discalculia) o difficoltà temporanee.
La Commissione è stata costituita nel gennaio del 2000 e ad oggi il suo impegno si è concretizzato in una serie di azioni integrate, mirate al superamento delle barriere di natura organizzativa e gestionale, nonché all’analisi e alla promozione di interventi tesi al superamento delle barriere architettoniche. L’obiettivo finale è quello di contribuire a realizzare un Campus che garantisca il diritto allo studio di tutti gli studenti.
Ancora La Donna serpente di Gozzi è scelta da Roberto Baldassari come messa in scena a conclusione del “Laboratorio teatrale integrato persona”, un progetto della ASL Roma2 U.O.C. (Unità Operativa Complessa) disabili adulti, la cui finalità non è unicamente quella di dare aiuto a persone con disabilità di varia natura, ma favorire anche l’integrazione attraverso l’apertura a nuove relazioni tra soggetti con e senza disabilità. La pièce è stata allestita al Teatro Biblioteca Quarticciolo in Roma il 31 gennaio 2019 con il titolo Cercando Cherestanì.
Gli intrecci de La donna serpente e di Cercando Cherestanì, anche se in modo completamente diverso,si sviluppano intorno alla quête del principe Farruscad, come la fiaba originale di Gozzi. Apparentemente sono versioni libere e differenti della fiaba del conte veneziano, ma ad una attenta analisi il viaggio di ricerca è emozionale.
I personaggi compiono un percorso intimo, lavorando intensamente su se stessi e sui propri sentimenti ed emozioni: è la ricerca del valore della diversità dietro la quale si celano inaspettate abilità che possono emergere, se tale diversità è accolta e integrata con la normalità. I personaggi non fanno parte del mondo fiabesco, ma sono reali e gli attori interpretano se stessi. (Il video de La donna serpente è disponibile online).
Per un teatro emozionale e inclusivo
Le due versioni sono molto diverse per allestimento scenografico, costumi, intreccio, recitazione e formazione del gruppo.
Gli attori de La donna serpente sono giovanidisabili e normodotati che hanno seguito il progetto Laboratorio Teatrale Integrato “Cerchio Teatro”. La scenografia consiste in pochi, essenziali arredi che, insieme alla musica, effetti eco delle voci e a luci intense o fioche, fanno da sfondo all’azione. I costumi sono semplici ma richiamano i modelli settecenteschi. Gli attori che rappresentano i personaggi della Commedia dell’arte portano una maschera nera, uguale per tutti, che però non tengono sempre calata sul volto. Il testo della fiaba di Gozzi è stato semplificato e adattato, rispettando l’intreccio e la sequenza della vicenda. La narrazione inizia con il prologo delle fate Farzana e Zemina, il cui ruolo è stato affidato a due giovani sedute sulle loro sedie a rotelle.Anche i ruoli del Ministro Togrul e di Morgone, re del mondo delle fate, sono interpretati da attori che si muovono in scena sulle loro sedie a rotelle: ognuno di essi ha uno o più accompagnatori che rimangono sempre accanto a loro come una corte reale al seguito di principesse e principi.
Il racconto termina, come la fiaba gozziana, con la scena del bacio e la felicità della coppia di innamorati di poter iniziare una nuova vita insieme.
I ragazzi hanno portato in scena con successo il risultato di un lavoro lungo e complesso svolto durante i mesi del laboratorio teatrale: hanno imparato a conoscersi, ad accettarsi e a creare unione e complicità. Molte sono le scene corali con tutti gli attori sulla scena a rappresentare l’unità e la forza del gruppo, dove chi è in difficoltà non è abbandonato bensì è circondato e tenuto vicino agli altri. Significativo è anche il gesto del mettersi e togliersi la maschera: sottolinea il momento della recitazione o del volersi nascondere, distinto dal momento in cui la persona è a volto scoperto perché vuole rivelarsi e mostrare se stessa. L’obiettivo non è quello di realizzare uno spettacolo bello e perfetto, bensì raggiungere l’inclusione, dove le differenze e le diverse abilità portano alla luce capacità nascoste e rappresentano un valore aggiunto.
Gli attori di Cercando Cherestanì sono per la maggior parte adulti, alcuni con varie tipologie di disabilità, altri normodotati. Sul palcoscenico pochi arredi teatrali che sono scomposti e ricomposti per creare le ambientazioni secondo lo sviluppo dell’azione.
Gli attori non portano maschere, i costumi sono normali abiti di uso quotidiano, sopra ai quali talvolta indossano giacche di diversa foggia o semplici scampoli di stoffe di vario colore per identificare il personaggio interpretato. Musica e suoni di sottofondo sottolineano e enfatizzano i momenti particolarmente intensi e importanti della vicenda.
Il testo è liberamente tratto da quello di Gozzi: i personaggi narrano quanto è accaduto nel passato e cosa sta accadendo al momento presente, talvolta dialogando tra di loro o commentando singolarmente i fatti.
La peculiarità dell’allestimento è l’azione corale per tutta la durata dello spettacolo. Tutti gli attori sono sempre presenti sul palcoscenico, chi recita prende posto in primo piano, gli altri rimangono nell’ombra in silenzio. Ogni attore non ha un ruolo fisso, gli attori si scambiano nell’interpretazione di uno stesso personaggio: è la dimostrazione che anche una persona con disabilità – ovviamente se il grado di disabilità lo permette – se non è considerato l’altro, il diverso, guardato con compassione, può riuscire a agire, far emergere le medesime capacità di un normodotato e ricoprire un uguale ruolo non solo sul palcoscenico ma soprattutto nella vita reale.
L’azione corale è importante perché mette in evidenza il legame forte che si è creato tra gli attori, l’aiuto reciproco, l’integrazione delle disabilità con la normalità. Infatti guardando lo spettacolo l’attenzione dello spettatore non si focalizza su quel determinato attore e sulla sua disabilità – che scompare come assorbita dal gruppo – bensì si concentra sulla narrazione e sull’azione scenica.
La scena si apre sul palcoscenico vuoto dove in pochi istanti prendono posto tutti gli attori. Discutono animatamente tra di loro perché il regista, che doveva allestire lo spettacolo Cercando Cherestanì, è misteriosamente scomparso. Il gruppo è allo sbaraglio, senza guida, alcuni propongono di rinunciare a portare in scena lo spettacolo, altri vogliono andare avanti ma si pongono il problema dell’impossibilità di allestire la commedia senza provare.
Uno degli attori impersona il mago Geonca e con voce grave esorta e sprona il gruppo a proseguire: narreranno le vicende tragicomiche del principe Farruscad alla disperata ricerca della bella Cherestanì. Non hanno le indicazioni del regista ma sarà Geonca che con un soffio magico darà vita a tutti i personaggi. Il mago, con tono serio, inizia la narrazione e affida alle fate il racconto dell’antefatto. Il racconto prosegue e segue l’intreccio del testo di Gozzi. Durante la descrizione dell’assedio alla città di Teflis la recitazione si interrompe all’improvviso: è sera e dopo tutto il pomeriggio passato a provare gli attori hanno fame e alcuni decidono di andare a mangiare una pizza. Altri rimangono sul palcoscenico e iniziano a leggere il testo di Gozzi per poter proseguire la recitazione. L’azione riprende e, scena dopo scena, si arriva al momento della maledizione di Farruscad contro Cherestanì che si trasforma in un repellente serpente. La tensione della narrazione viene spezzata da una nuova interruzione della recitazione perché gli attori discutono come proseguire per portare a termine il racconto.
É introdotto in scena il serpente e si prepara il suggestivo e intenso finale. Le luci si abbassano, prevale il colore rosso, tutti gli attori formano un cerchio intorno al serpente e a Farruscad. La danza del serpente e i movimenti di Farruscad sono ritmati da una musica tribale e dal battito delle mani degli attori cadenzato a tempo. Con una danza rituale iniziatica dal ritmo sempre più serrato e incalzante, Farruscad è esortato e incitato a superare la prova finale, la più importante: dovrà dimostrare di avere il coraggio di andare oltre alle apparenze. La danza si fa sempre più frenetica e si ferma non appena Farruscad bacia il serpente.
Il racconto termina così, gli attori commentano il finale, esprimono entusiasmo e soddisfazione per il risultato ottenuto e per festeggiare andranno tutti insieme a cena.
Coup de théâtre finale: fa la sua entrata in scena il regista misteriosamente scomparso, si scusa per essere in ritardo a causa dell’intenso traffico in Roma e si prepara ad iniziare le prove. Nessuno lo considera e mentre lasciano il palcoscenico lo ringraziano per l’interessamento, ormai hanno risolto tutto da soli, hanno lavorato insieme, hanno provato, sono pronti per lo spettacolo e nonostante le sue proteste lo lasciano da solo sulla scena.
Cercando Cherestanì è anche metateatro: la compagnia di attori deve allestire la fiaba tragicomica che narra la storia del principe Farruscad alla ricerca della sua sposa Cherestanì, ma l’intreccio della fiaba è di secondaria importanza. Lo spettatore vive soprattutto il processo che ha portato a creare lo spettacolo, perché l’obiettivo è quello di evidenziare il difficile cammino da percorrere per raggiungere la conoscenza di se stessi e degli altri . Un percorso di formazione che si completa attraverso la creazione di un gruppo dove diversità e normalità si integrano, si fondono e dove non si notano più le differenze.
L’unità e la coesione del gruppo emerge proprio nell’ultima scena: un corpo può presentare difetti fisici, la parola a volte è incomprensibile, problemi e danni neurologici rendono una persona l’altro, il diverso. Se riusciamo a guardare oltre, se superiamo la paura di avvicinarci scopriamo la ricchezza della diversità, il valore della persona e la sua creatività individuale. L’accettazione e l’integrazione nel gruppo accresce la fiducia in se stessi e negli altri; significa un’occasione di incontro per combattere i rischi di isolamento a cui spesso le persone con handicap sono destinate, rendendoli, agli occhi degli altri, non più oggetti di cure, ma soggetti attivi; valorizzare le loro diverse modalità di espressione, movimento e comunicazione vuol dire avvicinarsi in modo più spontaneo alla diversità.
Siamo di fronte a due spettacoli che mettono al centro dell’attenzione la persona con le sue fragilità, paure e difficoltà da superare. Il loro valore e ricchezza sono rappresentati proprio dalla diversità, da quelle voci non impostate, da quei movimenti non armonici e scoordinati, da quelle sedie a rotelle portate sul palcoscenico come protagoniste. Due rappresentazioni equiparabili a quelle con attori professionisti normodotati, realizzate non malgrado le difficoltà, ma proprio grazie a queste.
Tali ‘riletture’ trascendono intenzioni e finalità della fiaba teatrale di Carlo Gozzi, ma mostrano come una chiave di lettura focalizzata sulla diversità, l’avvicinarsi ad essa e accettarla, permette di reinventare la pièce originale con l’obiettivo di mettere in evidenza non l’intreccio fiabesco, la recitazione e l’allestimento, ma il lungo percorso da compiere per costruire lo spettacolo.
BIBLIOGRAFIA
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- La donna serpente di Carlo Gozzi con saggi critici sul teatro di Gozzi (1979), Edizioni del Teatro Stabile di Genova, Genova.
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