Sono Neuropsicologo, punto
Il mio non è uno di quei mestieri il cui nome è, per così dire, “autoesplicativo”: l’insegnante insegna, il muratore costruisce, l’architetto progetta mentre io…io sono un neuropsicologo, più esattamente, specialista in neuropsicologia, riferendomi con questo alla categoria di psicologi che hanno frequentato una scuola di specializzazione universitaria.
“Che lavoro fai?”, “Di che ti occupi?” Sono domande come queste, pur così estremamente banali e frequenti, a mettermi in crisi nelle situazioni di comune conversazione poiché la risposta, ahimè, genera non pochi fraintendimenti.
E cosa fa il neuropsicologo? Pensare che chi è dall’altra parte, fatta eccezione ovviamente per chi è addentro all’argomento, ben conosca la risposta è a dir poco pretenzioso.
Ancora oggi tra i miei familiari c’è chi mi confida mestamente: “Ma lo sai che non ho ancora capito cosa fai tu?”
Alla risposta “Sono neuropsicologo”, le reazioni sono tra le più disparate e catalogabili in prevedibili clichè. Per di più c’è chi, sogghignando, fa seguire frasi del tipo: “Ah di quelli come voi c’è ne è proprio bisogno!” oppure “Di matti in giro ce ne è proprio tanti!” Vano è il mio sforzo di replicare: “Beh in realtà io non mi occupo dei matti tradizionalmente intesi, ma di coloro che…” vano perché spesso lo stesso interlocutore insiste: “Da quando hanno chiuso i manicomi poi…”, capisco che conviene lasciar perdere.
Poi ci sono coloro che sembrano recepire solo il prefisso “neuro” così prima ancora che io abbia potuto spiegare, continuano: “Davvero? Sai che anche mia nipote si sta specializzando in neurologia, la conosci?” Altro buco nell’acqua.
C’è ancora chi rimane in silenzio per qualche istante, mi guarda interrogativo, poi prende coraggio e chiede: “Posso farti una domanda?” Io annuisco ed intimamente esulto credendo di aver finalmente incontrato uno che quantomeno si è fatto venire il dubbio ed a cui non vedo l’ora di raccontare qualcosa di più del mio lavoro, quando: “Da un po’ di tempo sogno di precipitare, che significa?” Mi cadono letteralmente le braccia. Tra il dirgli che non ho proprio nulla a che vedere con l’interpretazione dell’onirico, sapendo di deludere amaramente le sue aspettative, e il balbettare qualche vaga risposta per poi dirottare veloce su un altro argomento, di solito scelgo la seconda e penso: “La prossima volta taglio corto e dico di essere uno psicologo!”
Non c’è da stupirsi se la neuropsicologia sia ancora così poco conosciuta, sebbene stia sollevando un interesse che cresce esponenzialmente di anno in anno. Si, perchè la neuropsicologia è una scienza recente, trae le sue origini nella seconda metà dell’800 in ambito medico, per poi evolversi in una crasi perfetta tra neurologia e psicologia.
Essa studia le alterazioni delle funzioni cognitive superiori, conseguenti ad una lesione o ad una disfunzione, acquisita o congenita, del nostro sistema nervoso centrale; sono funzioni cognitive superiori il linguaggio, la memoria, l’attenzione, la percezione, la motivazione, la capacità di ragionamento, la capacità di regolare il nostro comportamento, ecc.
Solo per fare qualche esempio,un ictus cerebrale può compromettere la capacità di usare il linguaggio, alcune forme di demenza intaccano pesantemente la memoria, sindromi genetiche infantili si accompagnano spesso a ritardo mentale, ecc. In casi come questi l’esame neuropsicologico permette di quantificare l’entità del disturbo cognitivo e la riabilitazione neuropsicologica serve a recuperare l’abilità cognitiva e/o comportamentale compromessa.
Eppure nonostante queste straordinarie potenzialità, la neuropsicologia è ancora troppo poco o mal rappresentata nella realtà del nostro sistema sanitario nazionale.
I servizi di neuropsicologia per l’età adulta e per i bambini si incontrano quasi esclusivamente nei grandi centri o in qualche struttura privata, ma la stragrande maggioranza degli ospedali italiani ne è sprovvista.
Così, se un giovane di un paesino di provincia ha la sfortuna di subire un trauma cranico probabilmente nessuno gli parlerà, oltre che di una fisioterapia per rimettersi in piedi, anche della possibilità di una terapia cognitiva per recuperare memoria o attenzione.
I concorsi pubblici per specialisti in neuropsicologia riempiono a malapena le dita di una mano. Ecco che talvolta, per sopperire alla mancanza di personale specializzato e nel tentativo di rispondere alle esigenze di una cospicua fetta di utenza, quella dei pazienti con cerebrolesione e dei loro familiari, gli ospedali, i centri di riabilitazione, i servizi territoriali si arrangiano, affidando mansioni da neuropsicologo a personale preparato per altro.
Nel frattempo l’interesse per la neuropsicologia incalza su più fronti, arrivando ad investire non solo l’ambito clinico-riabilitativo, ma anche quello sperimentale di ricerca e quello giuridico-legale.
Tuttavia, poiché anche da un punto di vista legislativo c’è qualcosa di contraddittorio, per cui esistono scuole di specializzazione riconosciute che formano una figura professionale ancora di fatto non riconosciuta. Accade che molte figure di confine, purtroppo, a volte, pur in mancanza di un’adeguata preparazione, si improvvisano neuropsicologi, a grosso svantaggio dei malcapitati pazienti.
Insomma un vero caos! Allo stato attuale essere neuropsicologo risulta difficile sia a dirsi che a farsi!
Finalmente proprio di recente, e dopo non poche battaglie, alcune tra le più importanti associazioni e società scientifiche nazionali stanno provando a fare un po’ d’ordine, stabilendo quali sono i requisiti che definiscono un neuropsicologo in termini di formazione, di esperienza clinica e di competenza.
Penso a questo e vedo uno spiraglio in fondo al tunnel.
Forse, in un tempo non troppo lontano, anche l’ospedale della mia città godrà di un servizio di neuropsicologia, la terapia cognitiva sarà di prassi per i pazienti con disfunzione cerebrale ed io potrò rispondere fiero e senza timore di essere frainteso: “Sono neuropsicologo, punto”.
A cura della Dott.ssa Anna De Nigris (Psicologa e Psicoterapeuta, specializzata in Neuropsicologia)