Ragazzi fragili che uccidono le identità
Oggi possiamo parlare di ragazzi fragili visto che sta prendendo sempre più piede la tendenza a prendersi cura di sé, con modi che ricordano quelli legati all’immaginario femminile: radersi le gambe, il petto, le braccia, ritoccarsi le sopracciglia, sino a farle sembrare le famose “ali di gabbiano”, sottilissime e perfette, in una parola femminili, secondo molti.
Ma è solo la punta dell’iceberg e non è solo una questione di peli e ciglia folte, purtroppo. Questi sono modelli di estetica che impongono alcuni ma che rappresentano la parte più superficiale di una questione molto più seria.
Le donne oggi hanno difficoltà a trovare, pare, quella mascolinità e virilità in uomini che culturalmente definiamo “all’antica”, tradizionali, rappresentati non soltanto da sopracciglia folte e petti villosi, ma anche da atteggiamenti da conquistatore, da uomo avventuroso, dotato di ottimo senso di iniziativa e coraggio.
Un prototipo di uomo che ancora possiede desiderio di stupire e conquistare una donna senza lasciarsi scoraggiare dai possibili “no” che incontrerà, che non si lascia ferire dai rifiuti. Un uomo che sia sufficientemente forte da reggere le ritrosie o le incoerenze di una ragazza e non lasciarsi schiacciare, annichilire. Che sopporta i rifiuti, sino ad arrivare ad una possibile separazione ma non sentirsi annullare, distruggere fin nel profondo. Un uomo che non sia così fragile da andare in frantumi di fronte allo scenario (anche solo fantasticato) di un abbandono.
Quello che si incontra oggi tra i giovani sono paure, ritrosie, inibizioni e timori di fallire al primo rifiuto, alla prima riluttanza dell’altro sesso, fattori confermati negli atteggiamenti sempre più narcisistici e solitari di alcuni.
Tali paure a volte superano i limiti della cosiddetta “normalità” fino a sfociare in un acuto senso del possesso verso una ragazza che ormai si considera una “proprietà”, un bene conquistato e dato per assodato.
Quasi ossessivi, tendono verso la forma fisica perfetta, vogliono un corpo da modellare e costruire dalla testa ai piedi ma in concomitanza non portano quella stessa perfezione nel nucleo più profondo della loro identità: esiste lì invece un vero e proprio terrore di lasciarsi andare ad una relazione matura, o anche solo di iniziare una frequentazione, bloccata già negli esordi. Quel terrore che poi si rivelerà quando la relazione su cui investono ogni certezza e ogni desiderio di stabilità viene a mancare, a vacillare. E con essa tutta la loro identità.
La cultura dominante, in questo senso ha creato dei veri e propri mostri, e finché continuerà a proporre come modelli vincenti e sensuali uomini femminei, dalle labbra imbronciate con un velo di lucidalabbra e dalle sopracciglia sottili e al contempo però disattenti alla relazione, alla ragazza o ragazzo che hanno di fronte, per molte donne (e uomini) sarà dura trovare l’uomo ideale e per gli stessi uomini sarà dura non essere soli, o con la donna sbagliata a fianco. Tanto più quando la donna, ora più determinata, sa con più lucidità ciò che cerca e non ha problemi (o ne ha molti meno) ad esplicitarlo mettendolo in chiaro.
Oggi le donne non hanno problemi a lasciare una persona quando non si sta più bene insieme, i nuovi modelli culturalmente trasmessi ci inviano messaggi chiari: le ragazze sono più brave a stare da sole, a fare scudo di fronte alle avversità, a risollevarsi dopo una caduta.
Questa disattenzione all’altro che si ha di fronte va di pari passo, inoltre, nel sesso maschile, con una incapacità a tollerare i rifiuti, i no, a concepire di essere abbandonati, lasciati, di poter essere oggetto d’amore di qualcun altro. I ragazzi di oggi si mostrano sempre più incapaci a riprendersi dopo una separazione, tendono a chiudersi a riccio o ad essere gelosi e possessivi fino a livelli patologici quando poi incontrano quella che per loro è la ragazza giusta. Che deve essere loro, o di nessun altro.
E se la cultura dominante vuole imporre certi modelli (solitari e feriti narcisisticamente), il mix micidiale si ha quando questi modelli incontrano la poca curiosità e la poca voglia, presenti in alcuni uomini, di ricercare e approfondirne altri, appartenenti ad altri mondi, di chiedere “metaforicamente” alle donne cosa vogliono, ascoltarle, cercare di capire da loro cosa piace, nel saper cogliere segnali di disgusto o apprezzamento, e saperli interpretare, in uno scambio che sia vero, caldo, sentito, spontaneo. E il triste connubio si ha quando tale atteggiamento si unisce ad una immaturità emotiva, una personalità che non concepisce la frustrazione, il rifiuto, che prende come ferita mortale la critica, il non essere “scelti”. L’essere, al contrario, ignorati, scartati.
Ma il problema non è solo nelle cure eccessive che possono riflettere modelli sbagliati o insicurezza (spesso l’unione di entrambi), ma anche nel fatto che esiste una certa dose di pigrizia mentale, molto diffusa, che porta ad adeguarsi passivamente e senza spirito critico a dei modelli precostituiti ed indotti dai media, che fanno dimenticare chi abbiamo di fronte – oltre che i nostri veri desideri -, fanno dimenticare la relazione con l’altro perché si è troppo presi da se stessi e dalla bramosia di essere accettati.
Dimentichiamo così che l’altro è lì, di fronte a noi, in attesa che lo guardiamo e la smettiamo di trovarci imperfezioni addosso. Quello che si osserva è la tendenza allo stare bene nel qui ed ora, nell’immediato presente e a non crearsi ansie per l’immediato futuro, ansie che sembrano non gestibili e sopportabili. I ragazzi non sanno più creare o immaginare una realtà concreta al di là dell’oggi in cui sono felici, al di là dell’appagamento momentaneo.
Sono concentrati sulla loro felicità provvisoria tanto da perdere di vista l’altro e la possibilità di creare situazioni anche solo minimamente durature ed empatiche con i sentimenti di chi hanno di fronte.
Se ci fosse più spontaneità, maggiore voglia di incontrare l’altro, ci sarebbe più spazio per “incrociare davvero il suo sguardo”, capire cosa piace o non piace, a se stessi innanzitutto, fattore che ci permetterebbe di misurarci con i nostri gusti, di crescere, diventare più sicuri e infine costruire qualcosa che possa durare seguendo la volontà di due individui che diventano una coppia, e non solo due enti singoli messi insieme.
La grande responsabilità di tutta questa fragilità diffusa va necessariamente attribuita al genitore che non sa più educare, che ha perso o che non ha mai avuto veramente voglia di impegnarsi nel processo educativo con dei figli che ha amato e accettato, ma che spesso sono stati scomodi, d’ingombro. È il genitore stesso la persona che non sopporta la frustrazione, la rinuncia, il sacrificio, la scomodità di alcuni posizioni, e per questo non le ha neanche sapute trasmettere ai figli.
Il tutto e subito, da ottenere senza inutili attese logoranti e frustranti, altrimenti scatta l’ansia, la noia, il fastidio non gestibili.
Genitori che non sanno più imporre dei no decisi e fermi, sicuri, che al primo capriccio accorrono a consolare il bambino non lasciandogli il giusto spazio di elaborazione personale, di auto consolazione. Che puniscono per poi pentirsi immediatamente dopo, scusandosi a volte, per la loro severità e tornando (miseramente agli occhi dei figli) sui loro passi.
Genitori che purtroppo così facendo hanno viziato alcuni atteggiamenti, hanno reso fragili i loro figli e incapaci a tollerare i rifiuti e i sogni che la realtà invece spesso delude e disattende.
A cura della dottoressa Federica Giromella