Psicologia dello sport: il contributo della psicologia nello sport
La Psicologia dello sport è una disciplina che si è sviluppata in Europa, nella seconda metà degli anni ’60 e largamente diffusa negli ultimi 30 anni.
Le prime indagini scientifiche risalgono alla fine dell’800 con lo studio di Norman Triplett sull’analisi degli effetti della presenza di altri concorrenti nella prestazione ciclistica del singolo atleta.
L’introduzione della definizione di “Psicologia dello sport” si deve, invece a Pierre de Coubertin, fondatore dei Giochi Olimpionici e che tenne, nel 1913 a Losanna, il primo convegno internazionale dedicato agli aspetti psicologici e psicofisiologici della pratica sportiva.
Dalla metà degli anni ’70, si ebbe un continuo sviluppo della psicologia dello sport sia in Nord America che a livello internazionale, tanto da essere considerata un’area specializzata sia per la ricerca, sia per i professionisti che se ne occupavano.
Gli psicologi dello sport cominciarono a studiare come alcuni fattori quali l’ansia, l’autostima e la personalità, influenzavano la prestazione sportiva, così come è necessario considerare tanti aspetti per capire i fenomeni che lo sport, sia individuale che di gruppo, scatena.
I significati personali, la ricerca dell’eccellenza, la stima di sé, la volontà, sono tutti elementi che accompagnano l’atleta nella sua attività sportiva.
La comprensione dei processi motivazionali, ha suscitato interesse negli studiosi di psicologia dello sport.
L’approccio maggiormente utilizzato fa riferimento alla Teoria dell’orientamento motivazionale (Nicholls, 1992) che postula che dal punto di vista delle caratteristiche individuali, una persona può essere orientata sul compito o sull’Io: quando una persona è orientata sul compito, la percezione di competenza è autoriferita ed i criteri che definiscono il successo personale, sono l’esperienza soggettiva di miglioramento della prestazione. Quando una persona è orientata sull’Io, la percezione di competenza deriva dal confronto con gli altri, per cui gli obiettivi principali diventano superare gli altri e vincere.
La prevalenza di una o l’altra dimensione, determina processi motivazionali differenti.
Un’altra teoria largamente utilizzata in questa disciplina, è la Teoria dell’autodeterminazione (Deci e Ryan, 2002), che parte dal presupposto che gli esseri umani sono organismi attivi e orientati alla crescita. Impegnarsi in attività interessanti, voler esercitare le proprie capacità, perseguire l’integrazione in gruppi sociali, fanno parte dell’evoluzione adattiva dell’organismo umano.
Per realizzare questi bisogni naturali in maniera ottimale, è necessario un ambiente supportivo dove possono essere soddisfatti al meglio tre bisogni psicologici fondamentali: competenza, relazionalità e autonomia.
La competenza costituisce un elemento fondamentale dell’adattamento evolutivo, poiché solo un organismo aperto ed interessato all’apprendimento, potrà affrontare in maniera adeguata le sfide dell’ambiente.
La relazionalità, invece riguarda l’esperienza di rapporti sociali intesi come relazioni profonde: si riferisce alla necessità di sentirsi sicuri e legati a qualcuno di significativo.
L’autonomia, infine, concerne l’esperienza di agire con un senso di scelta, volizione e auto-determinazione.
Il contributo che la Psicologia può offrire in questo settore, si definisce nella costruzione di programmi e progetti per facilitare l’accesso e il mantenimento dell’attività sportiva e per la promozione del benessere in tutti i praticanti mirando alla preparazione psicologica, sia degli atleti che delle squadre di alto livello e indagando il clima e i processi motivazionali legati allo sport.