In questa unità illustreremo i principi base della stimolazione cognitiva. Partiamo dai principali pregiudizi che hanno portato un ritardo nell’avvento di queste terapie non farmacologiche per la demenza: l’idea che ogni tipo di intervento comporta uno spreco di tempo e di energie, dato che la demenza annullerà ogni beneficio, dall’altro canto invece il fatto che per definizione la demenza si caratterizza per un deficit di apprendimento e di memoria, per cui è impossibile e inutile stimolare e allenare mentalmente queste persone dato che loro non impareranno e non ricorderanno nulla di quanto fatto.
Andiamo ad illustrare nello specifico la stimolazione cognitiva. Nel corso di una malattia neurodegenerativa come la demenza, la perdita delle facoltà cognitive (in primis la memoria) non è un fenomeno tutto nulla, ovverossia non è che la persona ricorda tutto e da ricordare tutto non ricorda più nulla, ma avviene un processo graduale che lascia spazio ad un intervento come la stimolazione cognitiva che consiste proprio nell’allenamento mentale con esercizi tesi a riattivare e potenziare le abilità ancora presenti, ancora preservate e non ancora intaccate dalla neurodegenerazione.
La stimolazione cognitiva non è l’unica possibilità di intervento, è sicuramente da integrare con le altre, come dicevamo in precedenza, ed è raccomandata nelle fasi lievi e moderate di demenza, non nelle fasi severe.
Facciamo un po’ di chiarezza: che cosa intendiamo per riabilitazione? Che cosa per stimolazione? Che cosa per training cognitivo?
La riabilitazione è un concetto diffuso, ovverosia è un programma di intervento multidisciplinare; andando invece più nello specifico parliamo di stimolazione, un termine che è più adatto per la demenza ed è anche quello utilizzato nel titolo del corso che stiamo seguendo, nel senso che è una parte del programma di intervento dove la persona viene coinvolta in compiti che riguardano la quotidianità e che hanno l’intento di stimolare genericamente l’attività mentale (questo lo vedremo bene nel protocollo ROT nel programma CST); andando più nel nello specifico utilizziamo invece la parola training, il training cognitivo è un ciclo di sessioni mirate esclusivamente all’esercizio delle funzioni cognitive, quindi è qualcosa di più centrato, ci sono solo esercizi che propongono compiti specifici che possono essere svolti su carta e matita, oppure con software (pc o tablet) e si basano sul concetto di ripetizione di questi esercizi e di gradualità, ovverosia si inizia prima dai compiti che la persona è in grado di svolgere per poi via via semplificarli.
Ora andiamo a vedere quali sono gli obiettivi generali dell’intervento di stimolazione cognitiva: il primo è favorire l’uso e il mantenimento temporaneo delle funzioni cognitive preservate, non ancora intaccate dalla malattia dementigena, dunque una sorta di potenziamento cognitivo; l’altro aspetto è quello di promuovere esperienze gratificanti, non fallimentari per la persona, attraverso una partecipazione, uno scambio, della
sfera emotiva cognitivo influisce anche sull’emotività della persona, andando ad ottenere nell’insieme un intervento di stimolazione cognitiva.
Dopo gli obiettivi ora andiamo adillustrare quali sono i principi base della stimolazione cognitiva. In questaslide ve li propongo in un elenco tra cui citiamo il rispetto del setting, la disabilità in eccesso, fino al concetto di neuroplasticità cerebrale e riserva cognitiva.
Partiamo dal rispetto del setting, che cosa si intende per rispetto del setting? Significa avere una stanza dedicata alle attività di stimolazione cognitiva, dunque una camera riservata, sicura, illuminata, arieggiata, poco rumorosa, a questo dobbiamo sicuramente aggiungere il fatto che ci debba essere una sorta di calendarizzazione degli incontri, perciò una puntualità e una regolarità che tornano utili alla persona affetta da demenza proprio perché consente nella prevedibilità di dare un senso di efficienza e anche un senso di appartenenza all’intervento stesso; dunque la pone al centro come persona.
Un altro aspetto da considerare è il fatto che il focus della stimolazione cognitiva debba puntare sulle abilità super apprese, ovvero su quelle capacità ripetute così tantevolte dalla persona che è quasi impossibile che il paziente le abbia perse, per esempio attività che vengono messe in atto in maniera automatica, queste abilità attivano un sistema di memoria che, come dicevamo, è un sistema di memoria implicito, non consapevole e quindi alla persona con demenza richiede poco sforzo.
La disabilità in eccesso è una perdita precoce delle abilità super apprese, ossia una perdita non dovuta al processo neurodegenerativo, ma secondaria per esempio ad una eccessiva assistenza, ovvero un intervento del familiare, del caregiver che si sostituisce all’esecuzione di queste abilità (esempio la persona che è in grado di mangiare da sola viene imboccata, quindi si viene a creare una finta disabilità che si può ripristinare intervenendo e in qualche modo impedendo al caregiver di sostituirsi nell’eseguire queste abilità).
Un aspetto da non sottovalutare nell’intervento di stimolazione cognitiva è l’alleanza terapeutica che troppo spesso viene fatta solo con il familiare anche nella comunicazione della diagnosi e nel corso della malattia, invece bisogna centrarla sul paziente stesso che è il primo destinatario dell’intervento di stimolazione cognitiva che intende promuovere il benessere del paziente, oltre che a quello della famiglia.
Un altro principio è quello della protesicità limitata, ciò significa che l’intervento di stimolazione cognitiva è finalizzato a massimizzare il funzionamento residuo della persona in maniera protesica, ovverossia lo spazio fisico (il setting) e le persone che entrano in relazione con la persona affetta da demenza diventano una protesi solo per le funzioni gravemente compromesse non più eseguibili, quindi è come se l’ambiente esterno, le persone, ma anche il tipo di attività, debbano essere programmate in maniera da colmare solo le funzioni che non possono più essere svolte dalla persona, senza sostituirsi.
Un errore troppo spesso commesso, nel proporre le attività di stimolazione cognitiva, è quello di infantilizzare le persone anziane, cioè trattarle, nonostante la loro età, nonostante i capelli bianchi, come dei bambini e quindi infantilizzare non solo la comunicazione nei loro confronti, ma anche il tipo di attività proposte (esempio proporre di colorare il libro dei nipoti); questo è un errore troppo spesso commesso che risulta essere fonte di umiliazione e va a sottolineare ancora di più le incapacità acquisite della persona affetta da demenza.
Un ulteriore aspetto da tenere in considerazione nel proporre la stimolazione cognitiva è relativo ad attività senza sconfitta, ciò significa che l’attività viene proposta, ma non si giudica la correttezza della risposta, nel senso che non occorre sottolineare l’errore che indubbiamente con le persone con demenza è come dire inevitabile; quindi le attività che vengono proposte devono essere tarate a tal punto da evitare il più possibile che la persona sbagli, ma di fronte all’errore non bisogna sottolineare lo sbaglio, questa è proprio la definizione del senza sconfitta.
L’intervento di stimolazione si dice valido in senso ecologico quando è ben inseritonel contesto di vita della personaa tal punto da essere scambiato come una normale attività necessaria per l’andamento delle cose, ciò significa che per lapersona questo tipo di attività è così integratanel quotidiano da avere effetti positivi, ancor di più se questa attività viene proposta rispettando quello che è per esempio il gusto della persona, quello che è il livello, quello che è l’interesse della persona con demenza. Per avviare la motivazione potrebbe essere utile eventualmente utilizzare dolci e bevande per avviare attività di gruppo proprio come rinforzi primari alla partecipazione a questo tipo di attività.
Nella stimolazione cognitiva la forma di apprendimento più utile è sicuramente quella di tipo implicito, utilizzarla nella demenza significa dare, anche nel rispetto del setting, una regolarità, cioè intraprendere delle attività di routine in modo da instaurare nei pazienti un’abitudine a svolgere una certa attività, dunque un consiglio che spesso si fornisce anche ai familiari è quello di fare insieme in modo regolare e prevedibile; basti anche pensare a comesono strutturate le sessioni della terapia di stimolazione cognitiva e della ROT che vedremo in seguito.
I vantaggi nell’utilizzare questa modalità implicita di apprendimento risultano essere: una maggiore partecipazione alle attività, un maggior gradimento, un migliore orientamento della persona e quindi una riduzione dell’ansia della stessa a partecipare alla stimolazione cognitiva.
Nel proporre le attivitàoccorre non solo utilizzare una modalità implicita, ma consentire un ragionamento concreto, magari attraverso la manipolazione degli stimoli, quindi far fare esperienza diretta con oggetti, frutta, verdura in maniera tale da stimolare i sensi piuttosto che richiedere un ragionamento troppo astratto e logicoche risulterebbe difficile per la persona con demenza.
Stiamo parlando di stimolazione cognitiva quindi di attività di allenamento mentale, ma quale dovrebbe essere il livello di stimolazione?
La regola aurea ci consiglia di stimolare la persona con demenza un po’ di più di quanto riesca a svolgere per mantenere il più attivo possibile le varie funzioni cognitive senza sovraccaricare, quindi è un livello che si calibra su quella persona, proprio perché è vero che non ci sono effetti collaterali, ma a volte la persona potrebbe avere delle reazioni comportamentali; per esempio se stimolata troppo potrebbe andare incontro a confusione, ad agitazione psicomotoria, oppure al contrario se stimolata troppo poco potrebbe accelerare la neurodegenerazione e portare per esempio ad un’apatia, ad un ritiro, a non voler partecipare a questo tipo di attività.
Se il livello di stimolazione non è adeguato alla persona e dunque vengono proposte delle attivitàinadeguate, l’anziano potrebbe avere delle reazioni quali chiudersi in un’apatia e quindi in un apparente disinteresse, oppure rifiutarsi di intraprendere queste attività, oppure avere un’irritazione quando le vengono fatte delle richieste per esempio di partecipare a queste attività di allenamento mentale.
Bisogna valutare la presenza diqueste reazioni e da lì modificare il livello di stimolazione, perché la persona ci sta comunicando che quella stimolazione non la sente adeguata, non la sente utile, non fa per lei, non è calibrata sulla sua persona.
Alla base della stimolazione cognitiva occorre far riferimento alla neuroplasticità o plasticità cerebrale, ovvero la capacità riorganizzativa del cervello in seguito a un danno.
Le basi teoriche infatti sostengono che la mancanza di attività cognitiva accelera il declino cognitivo nell’invecchiamento fisiologico e ancor di più nella demenza, mentre l’attivazione mentale, quindi l’attivazione cognitiva attraverso degli esercizi strutturati, migliora le funzioni cognitive generali.
Alcune evidenze empiriche dimostrano proprio l’esistenza di questi meccanismi riorganizzativi anche nella demenza grazie alla stimolazione cognitiva, proprio perché la stimolazione diventa una sorta di freno alla neurodegenerazione; per cui proponendo una stimolazione cognitiva ad una persona con demenza si può indurre una sinaptogenesi, ovvero la produzione di nuove sinapsi.
Strettamente collegata alla neuroplasticità è la riserva cognitiva, un concetto di cui si sente parlare sempre più spesso ed è un aspetto che dicevamo essere un fattore protettivo dell’invecchiamento mentale.
Che cos’è la riserva cognitiva? È tutto quanto abbiamo acquisito nell’arco di vita in base alle esperienze vissute e deriva da quello che è il livello di scolarità, dall’attività svolta, dal quoziente intellettivo premorboso e dalle attività, ossia i cosiddetti passatempi che la persona ha, è un aspetto da considerare soprattutto quando proponiamo delle attività di stimolazione cognitiva individuali.
Per la misurazione della riserva cognitiva vi indico il questionario utile alla misurazione dell’indice di riserva cognitiva e nella slide vi indico il sito da cui poter lo scaricare gratuitamente.
Per concludere questa unità vorrei sintetizzare il significato di stimolare una persona affetta da demenza.
Cosa significa stimolare? Significa scegliere delle attività cherispondono alle predisposizioni, abitudini, attitudini, gusti, passioni che la persona possedeva prima della diagnosi, prima dell’esordio della malattia; dilatare il tempo, cioè calibrare il ritmo sulla base del tempo necessario alla persona, che sicuramente è un tempo di elaborazione più lento e difficoltoso rispetto al nostro; non obbligare il malato a seguire le nostre richieste, ma trovare il modo e il tempo per agganciarlo nell’attività; non preoccuparsi del risultato finale, ma del clima creato (non siamo insegnanti, ma compagni di viaggio); non dedicare troppo tempo alla stimolazione perché la tensione è molto labile; elogiare sempre ciò che viene fatto insieme senza rimarcare gli errori che inevitabilmente verranno commessi.
Nel caso delle demenze anche un non progresso è un progresso proprio perché è un obiettivo anche ilfatto di stabilizzare il profilocognitivo, quindi senzaaspettarsi dei miglioramenti, ma avere una stabilità dei sintomi.
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