L’assertività può esprimersi a livello comportamentale lungo un continuum che vede ai suoi due estremi la passività e l’aggressività. I comportamenti che sono situati agli estremi di questo continuum risultano “disfunzionali” dal punto di vista relazionale e non permettono di esprimere un comportamento assertivo. Sono degli stili comportamentali che impediscono l’assertività e che non permettono di mettere in atto un comportamento assertivo, proprio per questo vengono definiti stili an-assertivi. E’ importante immaginare l’assertività proprio come uno stile comportamentale che si trova al centro tra altre due modalità che abbiamo definito an-assertive e disfunzionali: l’aggressività, da un lato, e la passività, dall’altro. L’assertività si esprime nell’area intermedia e corrisponde ad un comportamento socialmente funzionale ed efficace. La differenza principale tra gli stili assertivi e gli stili an-assertivi sta nel fatto che i primi sono basati su alcuni principi tra cui rispetto ed auto-responsabilità. Quando mancano dei fattori principali e fondamentali per un comportamento sano e funzionale, quindi, quando mancano la fiducia in sé e negli altri e il rispetto nei propri confronti e nei confronti degli altri, è molto più probabile che le persone reagiscano a determinate situazioni e a determinati contesti ed eventi con modalità non assertive.
Abbiamo visto che sono proprio le convinzioni riguardanti il valore personale e l’autostima che determinano e permettono un comportamento assertivo. L’autostima, infatti, sembra essere direttamente proporzionale al livello di assertività e quindi più alta è l’autostima, più sarò capace di mostrarmi assertivo; più bassa è, invece, la mia convinzione di stima, più difficilmente metterò in atto un comportamento assertivo. Inoltre, è stato osservato che, mettere in pratica un comportamento assertivo, stimola l’assertività dell’interlocutore perché promuove un feedback relazionale positivo che è molto importante per la propria autostima e che è utile a migliorare la percezione dell’immagine di sé.
Per riassumere, quindi, quanto detto finora, possiamo affermare che gli stili di comportamento possono essere definiti, a grandi linee, assertivo, aggressivo o passivo.
Chi si situa verso l’estremo aggressivo sembra essere una persona che, solitamente, si mostra concentrata, esclusivamente, sui propri desideri e che ha la tendenza a dominare. E’ un individuo, quindi, dominante nei confronti degli altri e l’unico obiettivo solitamente riguarda il potere personale e sociale. Chiaramente, lo stile espressivo e comunicativo di una persona aggressiva è uno stile autoritario con una tendenza a sovrapporsi all’interlocutore e che tende alle accuse e alle domande cangianti.
Chi si situa, invece, all’estremo passivo è una persona che, generalmente, cerca di assecondare gli altri e lo fa, in un certo senso, per evitare il conflitto perché lo teme e non vuole, in nessun modo e per nessun motivo, entrare in conflitto. E’ una persona che, spesso, subisce le situazioni. In questo caso, abbiamo uno stile comunicativo ricco di affermazioni vaghe e di frasi incompiute; sono molto frequenti, inoltre, i richiami ai propri doveri e frasi di giustificazione e di auto commiserazione.
Sembrerebbe che entrambi gli atteggiamenti, passivo e aggressivo, abbiano, però, un elemento in comune che è la paura che il proprio pensiero o i propri bisogni non vengano riconosciuti e accolti e che la propria persona non venga, in qualche modo, approvata, valorizzata e accettata. I comportamenti che mettono in atto, come abbiamo visto, sono chiaramente diversi e opposti però presentano un elemento o scopo comune che è quello di andare a compensare qualcosa. Vengono, quindi, definiti comportamenti compensatori. La persona aggressiva si mostra ostinata e giudicante, mentre la passiva appare dipendente da quello che è il giudizio degli altri e compiacente. In entrambe queste persone, questi comportamenti sono messi in atto per paura di non essere accettati di non essere apprezzati e valorizzati.
Esiste, inoltre, un quarto stile comunicativo che è definito stile manipolatorio. Esso rappresenta una variante non assertiva che mescola entrambi i comportamenti, passivo e aggressivo, che si trovano lungo il continuum. E’ uno stile caratterizzato da modalità di tipo passivo-aggressivo. Lo stile manipolativo si riscontra, spesso, in persone che hanno una bassa autostima, persone poco espansive e che solitamente hanno delle forti emozioni, soprattutto, per quanto riguarda la rabbia che viene tenuta dentro e che non viene espressa. In questi casi, l’obiettivo non è mai reso noto e non è mai esplicitato o condiviso con l’altro ma è ottenuto e perseguito attraverso strategie subdole e nascoste che la persona manipolativa, appunto, mette in atto. E’ importante però dire che le persone non sono mai sempre e solo assertive, passive, aggressive o manipolative ma ciascuno di noi protende verso un determinato stile relazionale o comunque, in particolari situazioni di vita, tende ad adottare un comportamento piuttosto che un altro. Una stessa persona può, infatti, essere passiva con i propri genitori ma aggressiva con il compagno o con i propri figli. Quindi, gli stili comunicativi si riferiscono a dei comportamenti e non a delle strutture di personalità e, quindi, essendo gli stili comunicativi dei comportamenti, possono essere appresi, ristrutturati e modificati.
Andando a vedere nello specifico lo stile comportamentale passivo notiamo che questo comportamento porta le persone ad arrendersi molto facilmente a quello che è il volere degli altri e, in un certo senso, a reprimere i propri desideri e i propri bisogni compiacendo l’altro proprio perché in cerca di approvazione e di riconoscimento. Il meccanismo che mantiene questo comportamento è uno schema disfunzionale che porta ad avere paura di dar fastidio e di irritare gli altri e ad avere paura di essere rifiutati o di sentirsi colpevoli e responsabili delle sofferenze altrui; in un certo senso, si ha timore di ferire l’interlocutore con le proprie parole o per non aver ricambiato i sentimenti o per aver disatteso quelle che erano le sue aspettative. Le motivazioni che sostengono il comportamento passivo sono, come abbiamo visto, quelle di essere accettati e giudicati in modo positivo dagli altri, di evitare assolutamente i conflitti ma di evitare anche gli abbandoni. I pensieri che troviamo alla base di una persona con un comportamento tipicamente passivo sono solitamente i seguenti: “ Non sono in grado di ottenere dei risultati ”; “ I desideri degli altri sono prioritari rispetto ai miei ”; “ Sono colpevole di aver commesso questa cosa ”; “ E’ colpa mia se l’altra persona soffre ”. A lungo termine, chiaramente, questo comportamento può portare alla perdita della stima di sé e del senso di autoefficacia dovuto appunto ad una rinuncia prolungata a sé stessi in favore dei bisogni altrui.
E’ importante dire, però, che, in rari casi, anche il comportamento passivo può essere considerato assertivo soltanto quando utile e necessario e, quindi, quando scelto dalla persona che lo mette in atto e non quando si presenta automaticamente o appunto derivante da emozioni incontrollate e non gestite.
Passiamo all’altro estremo e, quindi, al comportamento aggressivo. Il comportamento che troviamo sull’altro estremo del continuum si realizza nel momento in cui la persona, per raggiungere i propri obiettivi e ottenere la propria gratificazione, si afferma con violenza e con dominanza nei confronti degli altri minimizzando, svalorizzando e calpestando il vero valore altrui. Sono quelle persone che tendono a mettere in atto la svalorizzazione e l’umiliazione delle altre persone. E’ presente una difficoltà nel considerare i punti di vista diversi dai propri e si ha una percezione di non essere mai in errore. Vi è, quindi, un fortissimo locus of control esterno che si esprime nella tendenza a colpevolizzare sempre gli altri o le situazioni ma mai sé stessi; in loro non è mai presente l’errore ma è sempre di altri. Anche i fallimenti vengono sempre, chiaramente, attribuiti all’esterno, alle circostanze o alle altre persone. Vi è una forte svalutazione dell’altro, una rigidità rispetto alle proprie posizioni e un’incapacità nel distinguere quelle che sono le opinioni di realtà oggettiva proprio perché soltanto il loro pensiero e il loro punto di vista è quello vero e giusto. Emerge una difficoltà nel vedere l’oggettività delle cose sempre a favore della propria realtà. I pensieri che sostengono il comportamento aggressivo sono i seguenti: “ Gli altri devono adeguarsi alla mia volontà ”; “ Io sono nel giusto ”; “ Con le maniere dure si ottengono più risultati o le maniere dure sono le uniche che mi permettono di ottenere i miei obiettivi ”. Le motivazioni che portano a mettere in atto un comportamento simile sono quelle del dominare gli altri che vengono, chiaramente, giudicati inferiori rispetto a sé stessi e quelle di essere riconosciuti come esseri unici e speciali che appunto devono avere dei trattamenti di favore. E’ fondamentale, per queste persone, evitare sempre di apparire fragili e vulnerabili; l’obiettivo è quello di mostrarsi sempre e comunque invulnerabili, perfetti e forti. Se dovessimo fare un rapporto con i disturbi di personalità, potremmo collocare lo stile aggressivo all’interno del cluster B, particolarmente nel Disturbo Narcisistico di Personalità. Anche il comportamento aggressivo, in alcune circostanze, può essere considerato assertivo. Un comportamento aggressivo si dice utile, sano e funzionale quando vengono infrante delle regole oppure quando si ha a che fare con delle persone ostili ed esigenti.
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