Musica e neurodivergenza: un “armonico” connubio

A cura di M.Rebecca Farsi

La musica rappresenta un attivatore di emozioni, motivazioni e spinte propulsive che non si possono apprendere né categorizzare, poiché vengono sperimentate di volta in volta, ad ogni ascolto, con stupefacente diversità e potenzialità creativa. È proprio questa dote di non ripetibilità a rendere la musica un prezioso strumento educativo, il cui effetto terapeutico è stato validato nel trattamento di numerose patologie, sindromi e svantaggi cognitivi: ad esempio i casi di neurodivergenza autistica, ove il fattore musicale viene impiegato come prezioso appiglio relazionale, oltre che come proficuo stimolo cognitivo. 

E le motivazioni non sono poche:

  • La musica viene compresa da chiunque e in qualsiasi contesto culturale. Il suo universale potere espressivo consente di instaurare opportunità comunicative piacevoli ed immediate, anche con quei soggetti che presentano una padronanza deficitaria dello strumento linguistico, un difficile accesso alla comunicazione emotiva e una capacità relazionale limitata;

  • La musica è un facilitatore di processi emotivi rivolti dall’interno all’esterno: un semplice ascolto è sufficiente a veicolare significati affettivi che favoriscono l’espressione del Sé individuale, la percezione empatica, la costruzione intersoggettiva, debilitando la tendenza all’isolamento tipica della sindrome autistica;

  • Lo stato di rilassamento indotto dalla musica agevola la produzione di dopamina, neurotrasmettitore la cui presenza consente un maggior controllo delle funzioni cognitive, fa aumentare la concentrazione e migliora l’umore ( Chabin, Gabriel et al., 2020);

  • Le note vengono percepite come uno stimolo regolare che, nella sua ripetitività, può essere controllato e previsto. Effetto ben in linea con l’esigenza di controllo e strutturazione tipica del soggetto neurodivergente il quale, in un contesto di assoluta distensione e piacevolezza, riesce ad utilizzare la melodia come stimolo familiare, attraverso il quale esprimersi e lasciarsi comprendere (Venuti, P., 2010).

I NEURODIVERGENTI E L’INTESA MUSICALE

È nota la propensione che i soggetti autistici mostrano verso lo stimolo musicale; molti di loro sono dotati di orecchio assoluto (absolute pitch), dote che li rende in grado di discriminare un suono rispetto ad un altro pur in assenza di un tono specifico di paragone. Ciò in contrasto con la maggior parte degli individui che, per definire la frequenza e l’intensità di un tono acustico, deve confrontarlo con un modello di riferimento ( Bonnel, et al, 2010-; Stanutz et al., 2014).

I soggetti autistici sono inoltre dotati di un sensibile intuito musicale, che li rende in grado di discriminare il tono emotivo delle varie melodie, distinguendo le tristi dalle allegre, le drammatiche dalle pacifiche. Il tutto utilizzando le medesime risorse neurocerebrali di cui si avvalgono i normotipici (Allen et al. 2009).

Studi di neuroimaging effettuati con la FMRI supportano questa ipotesi, dimostrando come, durante la riproduzione dei brani, autistici e normotipici attivino le stesse aree cerebrali, oltre a mostrare un analogo coinvolgimento del sistema limbico, che testimonia la presenza di una stimolazione emotiva indotta dall’ascolto ( Allen et al., 2009).

Anche nei casi di neurodivergenza l’ascolto musicale determina la messa in movimento di ambedue gli emisferi cerebrali: quello sinistro, deputato alla comprensione e all’interpretazione del linguaggio, e quello destro, maggiormente attento alla melodia, al ritmo e al vissuto emotivo sollecitato dalla musica. Questa attivazione sinergica favorisce un aumento interconnettivo tra gli emisferi, creando punti di contatto e neuroconvergenze in grado di sviluppare la dimensione empatica, emotiva, cognitiva ( Lai et al, 2012).

Dai dati raccolti con le scansioni MRI è specificamente emerso che l’ascolto musicale provoca un maggiore contatto tra la regione uditiva e quella motoria, oltre che una maggiore reattività emotiva nel sistema limbico, favorendo la regolazione emotiva anche sotto un aspetto comunicativo (Caria et al., 2011).

Sono in realtà numerose le connettività ottimali che, nella dimensione cerebrale, fanno seguito all’ascolto musicale, il cui esito principale sembra proprio quello volto a favorire l’aumento di processi di neuro plasticità e potenziamento sinaptico, creando una sorta di rete multimodale che favorisce l’integrazione e la sintesi dei dati, evitando la compartimentazione tipica della sindrome autistica (Habibi et al., 2017).

Effetti della musicoterapia

“Attraverso una costante rilettura in chiave “musicale” del comportamento, l’approccio musicoterapico propone all’autistico una continua interrelazione che attribuisce senso e significato alle sue condotte” ( De Marchi et al., 2009, p. 1). Se ne origina l’approccio sintonizzato con un’altra mente, oltre ad una più chiara gestione e comprensione della propria.

Questo l’effetto e l’obiettivo principale della musicoterapia, i cui risultati vanno ad avvantaggiare numerose competenze, sviluppandone risorse e potenzialità.

Vediamo tra queste:

  • Propriocezione: ascoltando musica il soggetto apprende a mettere in relazione uno stimolo interiore con uno esterno, impiegando modalità comunicative che si avvalgono soprattutto dello strumento corporale: gestualità, mimica facciale, espressività somatica, ma anche interazioni aptiche e gestione dello spazio, sono solo alcune delle dimensioni che lo stimolo musicale contribuisce a rafforzare, consentendo un contatto più diretto col Sé corporeo, da cui una più facile lettura di sintomi e messaggi somatici prima considerati inaccessibili ( De Falco, Venuti, 2006);

  • Attenzione: nei casi di neurodivergenza l’ascolto della melodia favorisce uno stato di attenzione sostenuta che, lungi dal risultare un fattore di distacco dalla realtà, preserva il contatto con la stessa (Wigram, 1995);

  • Capacità cognitiva: l’ascolto musicale può potenziare il pensiero astratto e simbolico, consentendo lo stabilirsi di connessioni informative, sensoriali e di ragionamento in grado di sviluppare competenze prospettiche e retrospettive, immaginazione, accesso mnestico, ragionamento logico (Vivanti, 2021);

  • Competenza regolativa: l’ascolto musicale favorisce la lettura dell’universo interiore, agevolando la regolazione di quegli stati emotivi che potrebbero interferire con l’adattamento sociale, il benessere, la funzionalità psicofisica; soprattutto nei casi di autismo, la musica aiuta nella gestione dei vissuti endogeni che, non potendo essere verbalmente espressi, vengono controllati attraverso strategie regolative inadeguate – stereotipie e comportamenti problema su tutti (De Falco, Venuti, 2006; Robarts et al. 1996);

  • Competenza relazionale: grazie alla presenza del terapeuta, il soggetto autistico riesce ad associare la presenza dell’altro a stati d’animo positivi, rassicuranti e familiari. Questo gli consente di apprezzare, gradualmente, gli aspetti della relazionalità e del contatto sociale, debilitando le condotte di isolamento spesso favorite dal disturbo;

  • Autostima ed autoefficacia: riuscendo a raggiungere gli obiettivi posti dalla terapia, il soggetto aumenta la fiducia in se stesso e nelle proprie possibilità, apprendendo a gestire sensazioni di aggressività e impotenza dalle quali, in precedenza, si lasciava completamente agire.

Come procedere: il programma terapeutico nel dettaglio

La musica, strumento simbolico per eccellenza, è in grado di ricoprire un ampio e variegato spettro di emozioni: dalla gioia al divertimento, dalla tristezza fino al dolore e alla noia.

Ma è sempre il soggetto a costituire il fattore differenziante. La parola d’ordine è non standardizzare.

Sta al terapeuta osservare attentamente le singole reazioni di fronte all’ascolto, cercando di cogliere ed interpretare i feedback attraverso la mimica facciale, la direzionalità dello sguardo, le espressioni vocali e prosodiche. Ed è sulla base di queste valutazioni che verrà impostata la terapia, i cui ritmi operativi non potranno non tener conto dei punti di forza, delle esigenze e delle criticità individuali.

In genere il programma di musicoterapia ha una durata di 6- 12 mesi. La sedute possono svolgersi sia in piccoli gruppi, sia con un soggetto alla volta. Tecnica, quest’ultima, utilizzata soprattutto nell’autismo a basso funzionamento, ove la presenza di altri soggetti potrebbe rendere più difficoltoso l’accesso alla dimensione individuale, attivando strategie di difesa e di isolamento.

Il primo obiettivo è volto a stabilire una buona alleanza terapeutica, indispensabile all’impostazione del lavoro. Guadagnare la fiducia dell’utente sarà inoltre indispensabile allo sviluppo di quell’intersoggettività che costituisce uno degli obiettivi primari della terapia.

È tuttavia necessario andare per gradi. Come?

L’interazione si sviluppa attraverso micro condivisioni e comportamenti imitativi svolti a turno da paziente e terapeuta, in una prospettiva di insegnamento dimostrativo in cui l’uno si adatta gradualmente ai ritmi dell’altro. In un primo momento è il terapeuta ad imitare il paziente e ad adeguarsi ai suoi ritmi. Secondariamente, sarà lo stesso paziente ad imitare le mimiche e le condotte del terapeuta, cercando di accompagnare la riproduzione gestuale ad uno stato emotivo sintonizzato e coerente con il suo (Holck, 2004).

Il modello di musicoterapia teorizzato da Alvin (1978), ad esempio, si basa fondamentalmente sull’improvvisazione empatica realizzata attraverso l’impiego di uno strumento musicale- generalmente quello verso cui l’utente mostra una preferenza – posto come intermediario operativo, ma soprattutto come elemento relazionale all’interno di un contesto che, da imitativo- didattico, si prefigge finalità socio- affettive. È infatti grazie all’impiego dello strumento che il soggetto riesce a mettere in contatto i propri vissuti emotivi con quelli del terapeuta, e apprende ad interpretare le emozioni in una tonalità sintonizzante e partecipata, utile alla costruzione di un vero e proprio “legame”.

Le tecniche di somministrazione possono variare da un ascolto passivo- recettivo- finalizzate ad elicitare stati d’animo di autoesplorazione e contatto con il Sé, ad un ascolto attivo-reattivo, in cui la melodia viene imitata, trasformata o interpretata come veicolo di messaggi di interesse didattico, cognitivo e sociale, da analizzare e apprendere singolarmente o nel contesto di gruppo.

L’idea fondamentale della musicoterapia è che ogni individuo sia in grado di rispondere alla musica in maniera innata, e che, proprio grazie a questa reazione naturale e non appresa, possa sviluppare le proprie potenzialità in una direzione positiva.

Si cerca quindi di privilegiare il canale espressivo, mettendo a disposizione qualsiasi strumento possa aiutarlo ad esplicitare le emozioni indotte dall’ascolto. Soprattutto nelle fase iniziali viene fatto largo uso del c.d lettino sonoro, un vero e proprio letto sul quale l’utente viene fatto distendere per facilitare, attraverso l’ausilio della posizione orizzontale, un’amplificazione percettiva dei canali sensoriali, utile a massimizzare il contatto psicofisico con le vibrazioni armoniche generate dalle corde stesse del lettino.

Il corpo si ritrova improvvisamente immerso in una sorta di campo di risonanza, pacifico e rilassante, da cui si origina uno stato di calma interiore che abbatte le difese, aggira le resistenze e contamina la psiche con stati di positività e buona disposizione. Il soggetto comincia a fidarsi della musica e dei suoi gradevoli effetti …

… Pian piano si procede

Nelle fasi più avanzate del percorso è prevista l’introduzione dello strumentario ORFF, che vede l’impiego di una serie di strumenti con cui il paziente può scomporre la musica in senso elementare, leggendone gli elementi fondamentali: la ritmicità e il senso armonico.

Come?

Una volta individuato il ritmo di una melodia, qualunque sia quella proposta all’interno della sessione, il soggetto potrà seguirne fedelmente lo stile attraverso l’impiego degli strumenti che meglio glielo consentiranno: si va dagli strumenti a percussione ritmici (piatti, tamburi, campanacci, triangoli, legnetti, ec.) a quelli a percussione melodici (xilofono), fino all’impiego di strumenti popolari, etnici e culturali, che contribuiscono a personalizzare il contesto di lavoro, consentono un approccio più diretto alla melodia e stimolano maggiormente la componente immaginativa.

I soggetti che riescono a prendere maggiore confidenza con lo strumento musicale possono addirittura iniziare a suonarlo, limitandosi ad eseguire gli stessi pezzi che hanno ascoltato o provando a reinterpretare il brano, attraverso quell’elemento di creatività che la musicoterapia si premura di valorizzare in ogni sua parte. Soprattutto perché, studi alla mano, proprio l’improvvisazione e la creazione individuale sembrano costituire l’autentico punto di forza della terapia, utile ad ottenere buoni risultati specie con quei soggetti che presentano disturbi autistici in comorbilità con ritardo intellettivo ( Gold et al., 2006).

Ma ovviamente, occhio al timing: l’apprendimento avviene per piccoli passi, e sono i pazienti a dettare i tempi. Senza forzature di sorta. La musicoterapia procede attraverso una serie di step posti in difficoltà crescente: soltanto al raggiungimento di un obiettivo, considerato propedeutico, sarà possibile passare ad un livello prestazionale superiore.

E SUL LUNGO TERMINE?

Gli effetti della musicoterapia applicata sui soggetti autistici, da tempo oggetto dell’osservazione clinica, presentano risultati via via più solidi e incoraggianti.

  • Due Cochrane Review focalizzati sull’argomento hanno specificamente evidenziato come la musicoterapia sia in grado di stimolare pulsioni affettive anche in quei soggetti che, sotto questo punto di vista, presentano svantaggi più o meno marcati ( Gold et al. 2006; Geretsseger et al. 2014);

  • La musicoterapia agevola i processi di integrazione sul piano psico-fisico e sociale, facilitando le doti di comunicazione verbale e non verbale, le competenze di propriocezione e contatto con il Sé (Marconcini, 2017);

  • Sedute di musicoterapia continuata sono in grado di favorire stabili miglioramenti in termini di regolazione emotiva, gestione degli stati problematici, inserimento sociale. La condivisione di esperienze musicali comuni allevia infatti la tensione e lo stress, migliora l’empatia e la prosocialità, favorendo l’esperienza collaborativa e di interazione nel gruppo dei pari (Schellenberg et al., 2015). È stato dimostrato a tal proposito come, autistici coinvolti nel processo evolutivo (soggettidi 6-7 anni), abbiano maggiori probabilità di giocare con un altro bambino se il momento ludico è accompagnato da un’esperienza musicale condivisa ( Sacks, 2007; Robarts, 1996).

  • Sedute terapiche organizzate singolarmente ( uno ad uno) hanno accresciuto la frequenza e l’intensità del contatto oculare con il musicoterapeuta, favorendo la costruzione di un legame più stretto e personale (De Marchi et al., 2009);

  • La musicoterapia estende i propri effetti benefici al rapporto con i genitori i quali, grazie ad una maggiore gestibilità e capacità interpretativa dei comportamenti del figlio, vedono neutralizzati i consueti vissuti di impotenza e frustrazione che impediscono la realizzazione del rapporto a due ( Geretesseger et al., 2014). È per questo importante che la partecipazione alle sedute di musicoterapia venga estesa- nei casi previsti- anche ai genitori, agli educatori e ai docenti, al fine di generalizzare i risultati ottenuti a tutti i contesti di vita.

In definitiva

L’ascolto musicale genera un’esperienza continuativa, familiare e facilmente gestibile, che consente di integrare nuove sensazioni con quelle familiari, in una prospettiva di assimilazione duratura e generalizzabile nei più vari contesti. Con notevole beneficio nella gestione delle autonomie personali e nella qualità della vita.

Per tutti questi motivi l’utilizzo della musicoterapia sta conoscendo una crescente diffusione terapeutica. E se ne auspica un impiego sempre maggiore, messo a punto attraverso tecniche e strategie via via più evolute, in grado di adattarsi alle esigenze individuali in una modalità adesiva e puntuale, senza tuttavia perdere quell’essenziale spunto didattico volto ad ottenere, tramite l’apprendimento, la trasformazione, il cambiamento, la crescita individuale. In una prospettiva quanto più possibile autogestita.

“La musica offre un mezzo di espressione, comunicazione e interazione di forte impatto e immediatezza, e nei bambini autistici può essere più facilmente assimilabile come metodologia di apprendimento rispetto ad altri mezzi”.

Riferimenti bibliografici

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