Le soft skills dell’educatore di asilo nido e la comunicazione
A cura di: Francesca Satragno
DEFINIZIONE DI SOFT SKILLS
Durante una sua conferenza James Heckman- premio Nobel, ha definito le soft skills come “competenze predittive in molti esiti della vita”(Merrell Tuck-Primdahl, 2011).
Tali abilità sono competenze trasversali, che si costruiscono durante diverse esperienze di vita e che vengono messe in atto primariamente, in ambito scolastico dagli alunni in preparazione allo studio e successivamente nel lavoro. Questo passaggio di visione lavorativa ha scaturito la nascita e la definizione di nuove soft skills, come ad esempio il team work, accountability, apertura mentale.
Un elemento centrale che rende il compito educativo complesso – è la ‘compresenza’ di competenze specifiche – come quelle educative e metodologie, insieme a quelle trasversali.( quelle relazionali, comunicative e organizzative.) Prendendo in riferimento una lista creata dal WEF (Word Economic Forum) e dal John Reacher Centre della Commissione Europea le soft skills per citarne alcune sono : pensiero critico, intelligenza emotiva, empatia, creatività, collaborazione, capacità di comunicazione interpersonale, adattabilità, flessibilità, problem solving intelligenza culturale e coscienza della diversità, consapevolezza etica e gestione del tempo. (Rossini Manuela,2020)
FIGURA DELL’EDUCATORE
Per avere un quadro generale del discorso può essere utile partire dall’ analisi della figura dell’educatore di prima infanzia.
La figura professionale dell’educatore sintetizza una serie di capacità e competenze diverse poiché si caratterizza per la complessità dei momenti che riguardano la relazione con il bambino.
“La professione dell’educatore di asilo nido si può configurare come un ruolo culturale ed educativo dinamico e complesso, che si propone come interlocutore privilegiato della famiglia e di altre agenzie educative del territorio in cui opera e con esse cresce contribuendo a costruire una cultura dell’infanzia in grado di contestualizzarsi e storicizzarsi” (Morsiani, B. Orsoni in P. Bertolini,1997).
Emma Rossi, in “Un nido per volare” 2002 delinea alcuni punti che caratterizzano il lavoro dell’educatore:
- l’attenzione riposta durante l’inserimento graduale del bambino;
- la riflessione sul rispetto condivisione di cura fra famiglia e nido, nel rispetto della centralità della famiglia e della storia personale di ogni bambino;
- l’osservazione del bambino per accompagnarlo durante il sup percorso di crescita individuale, favorendo il consolidarsi della sua identità ed espressione del sé, mediante il gioco e attività educative;
- predisposizione verso un’articolazione del proprio lavoro capace di tenere conto dei bisogni dei bambini ,dei genitori e validando le loro emozioni a volte contraddittorie che accompagnano il primo processo di autonomia e distacco fra bambini e genitori.
Il decreto legislativo 65/2017 che ha istituito il sistema integrato sei educazione ed istruzione
dai 0/6 anni, ha previsto ( art 4 comma 1, lett. e) la qualificazione universitaria per gli
educatori che lavorano in strutture per l’infanzia :
- laurea in scienze dell’educazione (L19) con indirizzo specifico per educatori dei
servizi educativi per l’infanzia
- laurea in scienze della formazione primaria integrata da un corso di specializzazione
per complessivi 50 crediti formativi universitari.
Lo stesso decreto nell’articolo 1 delinea i compiti di tale figura:
“[…] A tale fine L’educatore per i servizi educativi per l’infanzia deve possedere:
a) conoscenze teoriche relative allo sviluppo del bambino dai 0-3 anni nelle sue diverse
dimensioni fisico, psico-motorio emotivo relazionale
b) Capacità di riconoscere promuovere competenze emotive cognitive densò motorie
relazionali […]
c) conoscenze teoriche e pratiche relative alla cura, educazione e socializzazione delle
bambine e dei bambini dai zero a tre anni
d) Conoscenza dei diversi contesti di vita culture pratiche e scelte di cura e di
educazione delle famiglie
e) Competenze relazionali e comunicative
f) Conoscenze e competenze relative al sostegno ala genitorialità e alla promozione
delle relazioni con le famiglie
g) Conoscenze e competenze relative alla promozione del benessere psico-fisico e
dell’identificazione di condizioni di rischio, ritardo, disagio e disturbo nello sviluppo
delle bambine dai zero ai tre anni
h) conoscenze relative al pensiero, storia, normativa, organizzazione e funzionamento
delle istituzioni educative per la prima infanzia in Italia e altri Paesi
i) conoscenze e competenze relative alla progettazione, organizzazione e valutazione
dei contesti e delle attività educative per l’infanzia
j) conoscenze relative su contenuti e alle proposte alla metodologie educative nella
prima infanzia, con particolare attenzione all’esperienza del gioco e delle diverse
modalità d espressione
k) conoscenze e competenze relative all osservazione, valutazione e documentazione
dei comportamenti delle bambine e dei bambini da zero a tre anni di età nei contesti
educativi”
Egli lavora in contesti educativi della prima infanzia, strutture educative dedicate alla cura
alla promozione dell’identità, autonomia e della socialità tra bambini dai 0-3 anni di età.
Dagli orientamenti nazionali per i sevizi educativi per l’infanzia è espresso che per creare un
sistema di relazioni positive e ricche, gli educatori, devono acquisire attraverso la formazione
e l’esperienza, la consapevolezza del proprio ruolo e del significato che ricoprono nella vita
dei bambini e delle loro famiglie.
Tali conoscenze e competenze sono richieste al personale educativo oggi, per essere al
passo con i tempi e creare un’alleanza educativa con il territorio circostante tramite
formazione continua in servizio, che rappresenta lo sviluppo professionale ( ricerca azione,
discussione di gruppo di protocolli, supervisioni, ricerca e pratica, webinar),al fine di creare
opportunità di valore ed esperienziale ai bambini e alla famiglie.
La formazione in questo lavoro è un elemento cardine, in quanto il saper e voler sviluppare
competenze professionali, la cultura educativa e pedagogica sono componenti chiave per
fare vivere ai bambini esperienze di totale qualità.
Chi educa ha un ruolo molto complesso oltre che nell’apparecchiamento del contesto, si
focalizza nella capacità di sguardo, su ciò che accade: azioni, desideri attitudini e azioni. Ed
è nella capacità di scelta tra le diverse possibili esperienze in divenire, nell’assumersi
responsabilità nel porre domande coerenti e orientate verso un agire educativo che
nell’organizzazione che si va costruendo. (Guerra,2019)
AGIRE EDUCATIVO
L’agire educativo di un educatore è caratterizzato da una molteplicità di conoscenze e
competenze specifiche quali pedagogiche, psicologiche e metodologie e didattiche.
Le prime sono essenziali in quanto mettono in pratica aspetti teorici in vari ambiti, quello
organizzativo ad esempio, che a seconda dell’attività svolta si intreccia alla didattica.
Le seconde riguardano le competenze psicologiche: conoscere gli aspetti psicologici
dell’età evolutiva, è importante per comprendere gli aspetti evolutivi e le difficoltà del
bambino, della crescita a cui può andate incontro.
Le terze invece, sono le competenze didattiche e metodologie: esse permettono
all’educatore di lavorare seconda un’ottica progettuale e programmata, mediante uno studio
dettagliato delle varie attività che si snodano all’interno di una struttura educativa. ( Manuale
Simone, 2021)
L’agire educativo è basato su un’ottica mentale che lavora per progetti, un approccio che
assume la ricerca come orientamento e metodo.
Fabbri e Munari sostenendo che il soggetto che conosce, i continua relazione con gli altri e
con il contesto è co-costruttore dei propri saperi e si assume la responsabilità del suo stesso
apprendimento:
“All’interno delle strategie del sapere dell’uomo contemporaneo sono presenti […] le nozioni
di limitatezza, di provvisorietà, di instabilità che lo autorizzano a ritenere il proprio pensiero
non più forte e capace di sole certezze ma debole, imperfetto, fondato da modelli ancora da
costruire.” (Fabbri, Munari, 2005)
LA COMUNICAZIONE
Come sosteneva lo psicologo e austriaco, esponente della Scuola Palo Alto, Paul
Watzlawick in uno degli assiomi della comunicazione è:
“dato che tutti i nostri comportamenti sono comunicazione, non possiamo non comunicare”.
Prendendo come riferimento tale principio, tutto comunica di noi, anche restare in silenzio,
tutto scaturisce da un rapporto tra il soeggetto e l’ambiente circostante.
(Pragmatica della comunicazione umana, 1967)
Dal punto di vista terminologico, la parola latina communicatio, deriva da (cum, «con»,) e
munus, «dono»: il tutto si può sintetizzare come una “donazione o “condividere” con altri di
qualcosa che si ha.
La comunicazione è caratterizzata da tre livelli: verbale, paraverbale e non verbale.
-comunicazione verbale : rappresenta il “COSA viene detto”, la parte iniziale costituita da
parole che diciamo o che scriviamo.
-comunicazione paraverbale: rappresenta il MODO in cui viene detto un determinato
concetto. Il timbro. la velocità, il volume.
Essa permette di dare profondità al discorso, valorizzando parole e concetti principali:
-comunicazione non verbale: riguarda tutti quei canali quali chimica olfattivo, motorio, tattile
e visivo cinetico ed il linguaggio del corpo.
Rientrano in questa categoria, lo spazio, la postura, il corpo nella sua globalità.
Durante l’attività comunicativa sono presenti delle norme di base che regolano gli scambi di
informazioni.
Ci sono dei principi fondamentali, che riguardando la conversazione:
- avvicendamento dei turni: gli interlocutori prendono la parola a turno. In un lavoro di
relazione, il caregiver è di straordinaria rilevanza, che educhi a rispettare i turni
comunicativi. - sequenze complementari: quando si comunica non esiste regola fissa, ma solo ed
esclusivamente il piacere di interloquire con l’altro, attraverso domande e risposte
stimolo. - il controllo dell’efficacia: mentre si dialoga ci si concentra se il messaggio è stato
trasmesso efficacemente senza aver generato dei fraintendimenti. - adattamento reciproco: spesso gli interlocutori si adattano l’uno all’altro in base alla
conversazione. - la cortesia: rispettare l’altro durante una conversazione, durante il dialogo. Ad
esempio l’adulto può spiegare al bambino di rispettare cosa gli altri comunicano e di
ascoltarli con rispetto e attenzione. (Psicologia oggi, 2005)
Lo stile comunicativo che il caregiver adotterà è positivo, in quanto contribuisce a
determinare le modalità di crescita affettiva, sociale e cognitiva del bambino.
Gli strumenti che utilizzerà per instaurare un legame di fiducia per contribuire alla
comunicazione sono :
- sguardo : mezzo importante che fa sentire il bambino visto e accudito
- gesti di routine di cura: momento delicato del cambio che crea un legame e sicurezza
- contatto corporeo (dialogo tonico) : il corpo dell’adulto che rappresenta il senso di
protezione.( Manuale Simone, 2023)
La relazione tra educatore ed educando per far sì che si tramuti in comunicazione è
importante che si esplichi principalmente attraverso l’ascolto.
Il professionista dell’educazione per poter comunicare deve anzitutto “ascoltarsi dentro”,
ovvero deve avere una consapevolezza emozionale, dopo aver compiuto tale lavoro sarà
pronto per ascoltare e comunicare empaticamente con l’altro.
Tra le diverse metodologie pratiche che sviluppano l’ascolto e la comunicazione figurano:
-l’intervista: attraverso domande-stimolo si sollecita il bambino a raccontarsi.
-il diario d’ascolto : trascrizione casuale delle “parole dei bambini”
-conversazione in circle time: gruppo di bambini seduti in cerchio con un adulto di
riferimento, dove ognuno può raccontare le proprie storie ed i propri vissuti.
L’educatore è il punto di riferimento per i bambini all’Interno del nido, per cui quando si
relaziona ad essi, è importante che lo faccia attraverso una comunicazione efficace
adoperando diverse abilità, al fine di entrare in empatia profonda con i piccoli interlocutori.
Egli adotta diverse tecniche pratiche quali :
-ascolto attivo : l’educatore ascolta attentamente e realmente i bisogni dei bambini
concentrandosi totalmente su di loro e ACCOGLIE le loro emozioni
- sviluppare empatia: L’educatore si immedesima nei panni dei bambini e vive le emozioni
dei bambini senza sminuirle e dandogli il giusto valore
- controllo e gestione delle emozioni: L’educatore attraverso il “modeling” permette al
bambino di gestire il comportamento seguendo l’esempio della figura di riferimento
- scaffolder: impalcatura, figura di riferimento entro cui il bambino può “aggrapparsi”,
“appoggiarsi”
- dialogo efficace ed assertivo: l’adulto ha il compito di comunicare efficacemente con il
bambino
- dialogo non verbale : come sosteneva Albert Mehrabian in quanto la comunicazione interpersonale fosse caratterizzata maggiormente da una comunicazione NON verbale (precisamente per il 93%) piuttosto che da quella paraverbale e verbale.
Prendendo in esame gli Orientamenti nazionali per i servizi dell’infanzia del 2017 “Il lavoro
educativo con i bambini piccoli richiede la capacità di dare risposte non standardizzate e di
fare interventi connessi alla situazione specifica. L’osservazione è l’ascolto orientano
L’educatore a comprendere a modulare l’intervento per accompagnare i bambini nelle loro e
esperienze nelle loro dinamiche di interazione e sostenerli nell’acquisizione di nuove abilità e
competenze […]
DIALOGO TONICO
Una caratteristica principale nella comunicazione oltre all’ascolto è il dialogo tonico.
Si tratta di uno scambio dialettico non verbale tra adulto e il bambino che getta basi solide,
per creare una relazione di fiducia, permettendo ai corpi di comunicare e di sintonizzarsi
sulla stessa frequenza emotiva e affettiva.
Come sostiene Vecchiato : “Il dialogo tonico e la forma più arcaica della comunicazione
umana le modalità attraverso il quale il bambino un’agrduadata relazione con i genitori e a
soddisfare i propri fantasmi di fusione e di diffusione e porre basi della struttura psichiche.” Il
dialogo tonico come per il psicomotricità ma anche per L’educatore rappresenta la
prerogativa di formazione, nel quale ha sviluppato una sensibilità e capacità di lettura
corpore e comportamentale da poter interagire adeguatamente con il piccolo e sostenerlo
nel suo percorso maturativo. (Vecchiato, 2007)
L’esplorazione che il piccolo fa del mondo, avviene attraverso il corpo e per formare la sua
identità, fare esperienza attraverso una dimensione corporea.
Durante questo momento delicato l’accoglienza e la cura rappresentano nei contesti
educativi di prima infanzia, non solo una metodologia ma l’idea fondante degli obiettivi del
nido.
Accogliere ed esaudire le sue richieste è un’azione che L’educatore sostiene veicolando il
piccolo ad avere e a definire l’immagine di Sè e prestare attenzione nella totalità del
bambino.
Prendendo spunto dalle parole scritte da Cristina Palmieri:
“La cura è tutto questo: è quell essere nel mondo essendo se stessi che comporta il
prendersi cura del mondo e avere cura degli altri nei loro reciproci rimandi e in tutta la
problematicità che, come si è visto, in tale relazione ci dà. La Cura è la condizione che dà
vita al prendersi cura e dell’aver cura di: è l’essere dell’Esserci, la struttura esistenziale
sottesa ad ogni modo di essere dell’Esserci” (Palmieri Cristina, 2021)
Grazie a tale dialogo tonico L’educatore si pone come “specchio” da cui il bambino impara e
si rispecchia nel conoscersi e riconoscersi e comunicare con il mondo esterno e gli altri
mediante il linguaggio del corpo.
CONCLUSIONE
Ispirandosi a Vygotskij, psicologo russo, si può affermare che il compito fondamentale per
un educatore è quello di potenziare l’apprendimento nel bambino, linguistico e non solo,
attraverso utilizzo di “impalcature” che sostengono il bambino a creare il suo senso di
identità.
Comunicazione verbale, relazione a livello psico-corporeo scaturite da un ottimo linguaggio
tonico sono ingredienti fondamentali che permettono al bambino di auto-formarsi e di auto
realizzarsi grazie all’ausilio di un caregiver presente e attento ai loro bisogni.
—-nota a piè pagina—
1 scaffolder: termine coniato dallo psicologo russo Vygotskij, il quale sosteneva che le
strutture mentali del bambino in quanto acerbe e in continua crescita avesse bisogno di un
soggetto adulto o un pari più competente e capace che gli permettesse di acquisire nuove
abilità grazie al sostegno di questa impalcatura (scaffolder) che rappresenta qualcosa di
temporaneo.
BIBLIOGRAFIA
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Vecchiato M.(2007) “Il gioco psicomotorio Psicomotricità psicodinamica. Roma: Armando
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Educatore Asilo Nido istruttore servizi educativi,(2018)
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Milano: FrancoAngeli