Le applicazioni dell’apprendimento cooperativo tra scuola e società: l’esempio dei BES e dei NAI

A cura di: Elisa Gosso

INTRODUZIONE

Un insegnamento incentrato sull’approccio dell’apprendimento cooperativo prevede un lavoro di gruppo basato sul raggiungimento di un obiettivo comune e organizzato in maniera tale che ciascuno degli studenti che ne fanno parte, con il proprio ruolo specifico, contribuisca al funzionamento dell’impegno collettivo.

Gli studiosi che si sono occupati dell’argomento, anche mediante esperimenti e osservazioni concrete, convengono sui benefici che la cooperazione può apportare per contro a un insegnamento “tradizionale” strutturato su base competitiva o individualistica, come la positiva ricaduta del mutuo aiuto sugli studenti in difficoltà, ma anche la più alta motivazione e il più intenso sviluppo cognitivo e sociale che vanno ad incidere su tutti i membri del lavoro cooperativo (Johnson & Johnson, 1975; Johnson & Johnson, 2009).

L’ambiente scuola deve infatti rispondere alle esigenze educative di apprendimento, ma parallelamente si tratta anche di una delle istituzioni sociali che compongono la nostra società e in cui la persona apporta e sviluppa il proprio potenziale interazionale (Perucca, 2017), entrando nell’ambito delle relazioni extra-familiari, con gli insegnanti e nel gruppo dei pari. Da qui l’importanza dell’educazione alla cooperazione come base per una buona convivenza sociale.

1. Crisi delle relazioni nella società contemporanea: quali prospettive?

1.1. Difficoltà di socializzazione e socialità

Come si può intuire da quanto detto fino ad ora, l’uso dell’apprendimento cooperativo applicato nel contesto scolastico risulta significativo anche per l’agire sociale al di fuori di quest’ultimo. La filosofa Nussbaum (2011), in proposito, nota un tendenza molto diffusa nella scuola di oggi, i cui caratteri sono efficacemente espressi in queste sue considerazioni:

Oggi possiamo ancora dire che ci piacciono le democrazie e la partecipazione politica, e ci piacciono anche la libertà di parola, il rispetto della differenza e la comprensione dell’altro. Formalmente rispettiamo questi valori, ma non pensiamo abbastanza a ciò che dovremmo fare per trasmetterli alla generazione futura e per garantirne la sopravvivenza. Distratti dall’obiettivo del benessere, chiediamo sempre più alle nostre scuole di insegnare cose utili per diventare uomini d’affari piuttosto che cittadini responsabili. Sotto la pressione del taglio dei costi, sfoltiamo proprio quelle parti dello sforzo formativo che sono essenziali per una società sana” (p. 154)

È proprio sulla base di queste riflessioni che nella società moderna – a partire da quella che Comoglio e Cardoso (1996) definiscono una «crisi del processo di socializzazione» (p. 15) – si inizia a pensare ai benefici che il Cooperative Learning può apportare non solo nel contesto scolastico, ma anche nella vita sociale contemporanea.

Walter Heinz definisce “socializzazione” quel «complesso processo attraverso il quale l’individuo diventa un essere sociale, integrandosi in un gruppo sociale o in una comunità» (Heinz 1998). Come notano Comoglio e Cardoso (1996), è in particolare nella società post-industriale che si verificano una serie di eventi determinanti proprio un ripensamento dell’attività educativa tradizionale e le nuove proposte formative: i nuovi ritmi e aspetti della società contemporanea postmoderna e globalizzata, nella sua “liquidità” e “velocità”, fanno sì che si verifichi quello che gli autori definiscono un “vuoto nel processo di socializzazione” (ivi, p. 16). Si pensi, per esempio, che un’indagine condotta nel 2021 dal MOIGE, in collaborazione con l’Istituto Piepoli, ha rilevato un incremento del cosiddetto cyberbullismo nei giovani fra gli 11 e i 15 anni, correlandolo proprio con un forte senso di isolamento, nonché con una forma di iperconnessione ai social network (MOIGE & Istituto Piepoli, 2021). Non è probabilmente un caso che questi dati emergano nel contesto immediatamente post-pandemico, quando il principio di inclusività scolastica venne temporaneamente sospeso in conseguenza all’isolamento dettato dal covid.

1.2. Disuguaglianza sociale

Queste osservazioni trovano spazio anche nella riflessione che Sennett (2014) elabora a proposito delle competenze che rendono l’essere umano in grado di collaborare. Il sociologo statunitense osserva che, nonostante la collaborazione renda più semplice riuscire felicemente nella realizzazione di un compito e sia parte del nostro DNA, essa, in quanto “arte o mestiere” «che richiede alle persone l’abilità di comprendere e rispondere emotivamente agli altri allo scopo di agire insieme» (ivi, “Prefazione”), risulta comunque difficile da applicare nell’esperienza concreta, soprattutto quando si tratta di confrontarsi con qualcuno che ha un’idea diversa dalla nostra. In questa prospettiva, la difficoltà di collaborazione è incrementata soprattutto in epoca contemporanea: come nota infatti ancora Sennett «con tutto ciò, la società moderna ha indebolito la collaborazione in modi ben precisi. Il più diretto dei fattori di indebolimento riguarda la disuguaglianza» (ivi, “Introduzione”). Agli inizi del Duemila, il celebre sociologo Bauman pubblica una raccolta di articoli e lezioni dedicata al tema dei cosiddetti “danni collaterali” in interconnessione con il fenomeno della disuguaglianza sociale: Danni collaterali. Disuguaglianze sociali nell’età globale (2011). Nella società postmoderna, venuta meno l’idea della collettività e della collaborazione, simultaneamente scompare quella che Bauman definisce «un’assicurazione collettiva e sottoscritta dalla comunità contro le disgrazie individuali e le loro conseguenze» (ivi, p. 11). In questo contesto, dominato dall’incertezza e dall’insicurezza, chi è più fragile e svantaggiato rischia di soccombere e prevale la paura della diversità. Come osserva ancora Sennett (2014): “Il desiderio di neutralizzare la differenza, di addomesticarla, nasce […] dall’angoscia tutta moderna per la differenza, un’angoscia che si interseca con l’economia della cultura consumistica globalizzata. Uno dei suoi effetti è quello di indebolire l’impulso a collaborare con coloro che rimangono irriducibilmente Altro da noi” (“Introduzione”).

2. Socializzare, cooperare, includere

2.1. La categoria BES e l’approccio cooperativo

Nell’ambito della scuola, a proposito di questi temi, l’apprendimento cooperativo può rivelarsi un mezzo decisivo per realizzare l’auspicata inclusività scolastica di quegli alunni che necessitano di bisogni educativi particolari, rientranti nella categoria dei BES, definita per la prima volta dalla Direttiva ministeriale del 27 dicembre 2012 proprio per individuare quegli alunni con bisogni educativi speciali, a causa di diversa abilità psico-fisica, DSA (Disturbi Specifici dell’Apprendimento) o svantaggio socio-economico, linguistico e culturale –includendo dunque anche i NAI, gli alunni stranieri Neo Arrivati in Italia. Ianes (2005) ci offre la seguente definizione di BES: «Qualsiasi difficoltà evolutiva di funzionamento, permanente o transitoria, in ambito educativo e/o apprenditivo, dovuta all’interazione dei vari fattori di salute secondo il modello ICF dell’OMS, e che necessita di educazione speciale individualizzata» (p. 29).

Particolarmente rilevante nell’approccio cooperativo rivolto all’inclusività dei BES, soprattutto in determinati casi (per esempio in presenza di alunni con BES temporanei), si rivela la dimensione del contesto, concettualizzata in particolare dallo psicologo e pedagogista russo Vygotsky (Vygotskij) tra gli anni Venti e Trenta del Novecento. Vygotsky, analizzando i processi di apprendimento, pone in evidenza il passaggio fondamentale dei contenuti psichici ed esperienziali dal sociale all’individuale: l’apprendimento da parte dei bambini avviene, cioè, in funzione del loro essere socializzati, dell’interazione sociale e linguistica, le cui caratteristiche comuni vengono apprese e interiorizzate dal singolo soggetto. In questo processo è centrale il concetto vygotskiano di “zona di sviluppo prossimale”, quella distanza o differenza che si manifesta nell’attività di collaborazione e intercorre fra ciò che una persona, o più specificamente un alunno, è in grado di fare da sola e ciò che diventa in grado di fare (sviluppo del proprio potenziale) se supportata da qualcuno più competente, come l’insegnante oppure anche un pari (Vygotsky, 1978, cit. in Podolskiy, 2012, p. 3485). Citando un esempio a conferma di quanto tali caratteri insiti nell’apprendimento cooperativo possano costituire strumento di inclusività, Malusà (2014) – presentando i risultati di uno studio di caso effettuato in una scuola primaria del Trentino –, osserva significativamente che «molte sono state le ricorrenze trasversali che hanno confermato l’acquisizione da parte degli alunni/e di competenze sociali utili alle relazioni interculturali e alla mediazione dei conflitti […]. In particolare gli alunni/e hanno identificato nella capacità di sapersi aiutare e di collaborare i parametri migliorativi dello stare insieme» (p. 103).

2.2. Il caso dei NAI

Un discorso a parte merita probabilmente proprio il caso dei NAI, in quanto nozione specifica e valevole di un ripensamento critico (cfr. Downes et al., 2024). Innanzitutto, va notato che, parlando di migrazione, nel senso comune il dato linguistico è sovente confuso con il dato socio-culturale: la circolare ministeriale del 2010 (Ministero dell’Istruzione, 2010) indica che la soglia degli alunni cosiddetti stranieri in una classe dovrebbe attestarsi al 30%. In molte scuole italiane questo livello soglia parrebbe superato. Le disposizioni però specificano che la limitazione del numero di studenti di cittadinanza non italiana potenzialmente presenti in una classe è correlata alle “ridotte conoscenze della lingua italiana” di questi ultimi. La soglia del 30% è dunque riferita, ovviamente, a chi non conosce l’italiano, non a eventuali “seconde generazioni” – figli e figlie di immigrati nati e scolarizzati in Italia. È in tal senso che l’alunno NAI si presenta come BES. Come rilevano Downes et al. (2024), i figli dei migranti sono una categoria estremamente eterogenea rispetto a diversi fattori – a partire dal luogo di origine – e la nozione stessa di migrante ricopre un vasto insieme di caratteristiche e bisogni (p. 3). Questo dato, proseguono gli autori, va tenuto in considerazione quando si definiscono le politiche educative e sociali in generale (ivi, p. 4). D’altra parte, come osserva Ianes (2013), la stessa nozione di BES racchiude situazioni molto diverse fra loro e «la percezione di difficoltà da parte degli insegnanti deve essere letta anche sullo sfondo di una sempre crescente consapevolezza dell’eterogeneità delle classi» (p. 298). L’autore pone in luce il fatto che esattamente la presa di coscienza dell’eterogeneità – tramite la definizione di BES – ha costituito un passo in avanti verso una didattica inclusiva (ibid.).

CONCLUSIONI

Uno tra i principi fondanti della costituzione dei gruppi cooperativi è proprio l’eterogeneità: nell’applicazione dell’apprendimento cooperativo, infatti, l’ideale è il lavoro in gruppi piccoli ed eterogenei, con membri, cioè, diversi fra loro per caratteristiche, intelligenze, modi di apprendere, risorse, ecc. L’eterogeneità del gruppo cooperativo dovrebbe portare a un maggiore confronto, scambio di punti di vista e favorire dunque, anche, l’acquisizione di abilità sociali fondamentali, come la capacità di negoziazione, ma anche l’empatia, nonché l’integrazione. Come nota La Prova (2013), il Cooperative Learning può rappresentare una modalità didattica capace di creare inclusività proprio perché «[…] il principio è quello per cui ciascun componente di un gruppo, con le sue caratteristiche peculiari e speciali, può contribuire all’apprendimento di tutti e ognuno può divenire risorsa (e strumento compensativo) per gli altri» (p. 272).

Su questo piano, l’apprendimento cooperativo può dunque rivelarsi determinante in due direzioni: da un lato, nella sua generale vocazione all’inclusione e al lavoro collaborativo, può favorire l’integrazione di quegli alunni più fragili, perché in condizione di disabilità o BES, senza penalizzazioni e valorizzando le loro risorse personali; dall’altro lato, permetterà a tutti di acquisire quelle abilità sociali e interpersonali utili a gestire la complessità e la differenza. Lee Manning e Lucking (2010) notano, per esempio, che l’apprendimento cooperativo, spingendo gli studenti a comunicare e collaborare realmente fra loro, consente di riconoscere la differenza come ricchezza anziché come deficit, poiché nella differenziazione dei ruoli ciascuno apporterà il proprio contributo nei termini di ciò che è o di ciò che sa fare meglio, risultando indispensabile al raggiungimento del fine comune (p. 12). In questo senso, l’inclusività realizzata in ambito scolastico grazie alle tecniche di Cooperative Learning potrà rivelarsi funzionale anche nel contesto della società più ampia e, in generale, nell’agire sociale del mondo contemporaneo.

BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA

  1. Bauman, Z. (2011). Danni collaterali. Disuguaglianze sociali nell’età globale. Laterza.
  2. Comoglio, M., & Cardoso, M. A. (1996). Insegnare e apprendere in gruppo. Il Cooperative Learning. LAS.
  3. Downes, P., Bethoui, A., Van Praag, L., & Anderson, J. (2024). Editors’ Introduction. Promoting Inclusive Systems for Migrants in Education. In Id. (Eds.). Promoting Inclusive Systems for Migrants in Education (pp. 3-20). Routledge.
  4. Ianes, D. (2005). Bisogni educative speciali e inclusione: valutare le reali necessità e attivare tutte le risorse. Erickson.
  5. Johnson, D. W., & Johnson, R. (2009). An Educational Psychology Success Story: Social Interdependence Theory and Cooperative Learning. Educational Researcher, 38(5), 365-379.
  6. Johnson, D. W., & Johnson, R. T. (1975). Learning Together and Alone: Cooperation, Competition and Individualization. Prentice-Hall.
  7. La Prova, A. (2013). L’apprendimento cooperativo come strategia compensativa per i BES. In D. Ianes, & S. Cramerotti (A cura di), Alunni con BES, Bisogni Educativi Speciali. Indicazioni operative per promuovere l’inclusione scolastica sulla base della DM 27/12/2012 e della CM n. 8 6/3/2013. Erickson.
  8. Lee Manning, M., & Lucking, R. (1993). Cooperative Learning and Multicultural Classrooms. The Clearing House: A Journal of Educational Strategies, 67(1), 12-16.
  9. Malusà G. (2014). Processi efficaci di apprendimento cooperativo in contesti multiculturali della scuola primaria. Encyclopaideia, XVIII (38), 92-112.
  10. Nussbaum, M. C. (2011). Non per profitto. Perché le democrazie hanno bisogno della cultura umanistica. Il Mulino.
  11. Perucca, A. (2017). Pedagogia interculturale. Libellula Edizioni.
  12. Podolskiy, A. (2012). Zone of Proximal Development. In N. M. Seel (Ed.), Encyclopedia of the Sciences of Learning (pp. 3485-3487). Springer.
  13. Sennett, R. (2014). Insieme. Rituali, piaceri, politiche della collaborazione [Versione Kindle]. Feltrinelli (ed. or. Together: The Rituals, Pleasures and Politics of Cooperation, 2012).
  14. Vygotsky, L. S. (1978). Mind in society. MIT Press.