La valutazione dell’attaccamento in età prescolare e l’utilizzo dei test semiproiettivi
a cura della dott.ssa M. Rebecca Farsi
La valutazione dello stile di attaccamento in età prescolare appare opportuna, soprattutto alla luce delle implicazioni emotigene connesse ad uno stadio evolutivo in cui il ricorso al caregiver come fattore di protezione, affetto e autoconservazione viene reso indispensabile dall’assenza di strategie regolative autonome.
Oltre a descrivere la reazione all’evento separativo dal caregiver, stabilire una differenza tra stili di attaccamento può inoltre offrire informazioni sulla capacità individuale di tolleranza dell’angoscia, sul coping di fronte alla frustrazione e sulla presenza di specifici tratti della personalità individuale (nevroticismo, pensiero negativo, estroversione, introversione).
In questa fase specifica l’utilizzo degli strumenti proiettivi si mostra in grado di compensare una non sufficiente padronanza dello strumento verbale e un livello di autoconsapevolezza non ancora raggiunto, fattori di per sé sufficienti ad escludere, con un target infantile, l’impiego di self report o di interviste strutturate. Non si trascuri come le qualità strutturali e funzionali del proiettivo agevolino un contesto di somministrazione affine alla dimensione ludica, che contribuisce ad immergere il bambino in una dimensione emotivamente contenuta, a sua volta in grado di aggirare le difese e di neutralizzare la presenza di eventuali stimoli stressogeni prima, durante o dopo la somministrazione.
La misurazione dell’attaccamento e la discussione sulla stabilità dei MOI
La misurazione del legame di attaccamento comporta la valutazione dei c.d. MOI, descritti da Bowlby (1969) come il retaggio mnestico delle prime esperienze affettive, il cui contenuto è destinato ad influenzare la natura dei legami affettivi che verranno costruiti per tutto l’arco dell’esistenza.
Considerare i MOI immutabili, alla stregua di un “dato acquisito”, è un’affermazione che non ha trovato tuttavia unanime condivisione. Dichiarare sin dall’infanzia l’immutabilità di un dato così rilevante appare infatti una pretesa scientificamente poco attendibile. In particolare da parte di quel versante della clinica e della ricerca che considera i MOI passibili di mutamenti, anche sostanziali, dovuti soprattutto all’insorgenza di fattori esogeni (eventi di natura ambientale o esperienziale significative) relazionali (la presenza di legami affettivi di rilievo, al di là di quelli genitoriali), evolutivi (ad esempio l’adolescenza, che determina un re- investimento globale in termini di identità, relazioni, contenuti psichici, ruolo sociale).
Un opposto orientamento considera invece i MOI esperienze affettive primordiali, il cui valore di imprinting non lascia spazio a significative possibilità di mutamento per tutto il corso dell’esistenza.
I risultati delle complesse ricerche effettuate in merito non hanno smentito nessuna delle due ipotesi, e questo non ha contribuito a dissipare un contesto di ambivalenza e dubbio scientifico che perdura allo stato attuale.
Rinviando ad altra sede per dati più specifici, si cita in particolare una ricerca condotta da Ammanniti (2000) da cui è emersa una certa stabilità dei modelli operativi interni, almeno nella fase della vita che va dall’infanzia alla prima età adulta (il 71% del campione analizzato non ha mostrato mutamenti significativi in questo senso).
Studi successivi hanno invece evidenziato che le rappresentazioni interne relative all’attaccamento possono risultare modificate da processi di riorganizzazione di sviluppo individuale, soprattutto in occasione di esperienze significative e inattese (vita di coppia, gravidanze, lutti, malattie, esperienze traumatiche, psicoterapie) (Crittenden 1999; Baldoni 2005).
In accordo con questo dato, l’unico studio longitudinale svolto da Grossmann e Zimmermann (1996) ha rilevato una sostanziale possibilità di cambiamento dei MOI, soprattutto in presenza di eventi stressanti e fattori di sollecitazione emotiva, il cui potere modificativo è maggiore rispetto a quella del fattore evolutivo. Si tratta comunque di dati bisognosi di approfondimenti, e per questo da interpretare con la dovuta cautela, soprattutto tenendo in considerazione che lo studio dei modelli operativi interni in risposta alla separazione dalle figure di attaccamento- o comunque in condizioni di stress- con l’aumentare dell’età può risultare falsato dall’utilizzo di mezzi difensivi più consolidati e controllati, rispetto a quanto accade nei bambini.
Alla luce degli ultimi studi, la continuità dell’attaccamento dall’infanzia all’età adulta sembra comunque minore di quanto ci si attendesse, mentre un ruolo più significativo appare assunto dal vissuto esperienziale, soprattutto a partire dall’adolescenza. Ciò a testimonianza di come i primi anni di vita non siano i soli a determinare la natura dell’attaccamento, ma costituiscano soltanto il punto di partenza di un dato probabilmente passibile di mutazioni, anche sul lungo termine (Baldoni, 2007).
Si dà adesso descrizione di alcuni tra i test semiproiettivi più utilizzati per la descrizione dell’attaccamento affettivo in età prescolare.
1) ASCT – ATTACHEMENT STORY COMPLETATION TASK
Uno tra i test maggiormente impiegati per misurare la capacità di tolleranza separativa in età prescolare è l’ATTACHMENT STORY COMPLETATION TASK (Bretherton, Ridgeway, Cassidy, 1990), basato sul completamento di storie effettuata mediante l’impiego di materiale in play mobil. Si tratta di uno strumento che non comporta un particolare stress, breve e di facile somministrazione; l’ausilio dei personaggi giocattolo contribuisce a neutralizzare possibili reazioni di disagio, mentre la manipolazione favorisce l’elicitazione dell’effetto proiettivo.
LA SOMMINISTRAZIONE: Utilizzabile già dai due anni e mezzi di età, questo test si compone di quattro storie – ognuna delle quali evoca specifiche situazioni di separazione dal caregiver- una storia introduttiva ed una finale.
Lo sperimentatore inizia la sessione specificando la posizione spaziale dei personaggi all’inizio di ogni storia, insieme alla trama da proporre e a una serie di stimolazioni contestuali; subito dopo invita il bambino a completare la narrazione nel modo in cui preferisce, chiedendogli di animare i personaggi a suo piacimento. Ogni storia -della durata di circa tre minuti- deve dar luogo ad una vera e propria narrazione animata della quale il bambino sarà l’indiscusso regista.
– Nella prima storia, mentre la famiglia è riunita a tavola per consumare la cena, il bambino fa cadere accidentalmente sulla tavola una bottiglia di succo di frutta, causando l’irritazione della mamma che lo sgrida. Il tema indagato è la tematica dell’autorità in relazione alla figura di attaccamento.
– Nella seconda storia, mentre la famiglia sta passeggiando nel parco, il bambino cade accidentalmente e si sbuccia un ginocchio. Il tema indagato è l’attivazione dell’attaccamento in situazioni di dolore e sofferenza.
– La terza storia raffigura una situazione di allarme: il bambino, dopo essere entrato in camera sua per coricarsi, inizia a piangere perché vede un mostro ai piedi del letto. Il tema indagato è il rapporto con la figura di attaccamento in situazioni di paura e pericolo.
– Nella quarta storia i genitori partono per una breve vacanza e lasciano il bambino da solo con la nonna. Il tema indagato è la tolleranza della separazione dal caregiver;
– Nella quinta storia la nonna, guardando dalla finestra, annuncia al bambino il ritorno dei genitori. Il tema indagato è lo stile di ricongiungimento dopo la separazione.
I coping reattivi delle storie, la cui narrazione viene videoregistrata, sono valutati sulla base di due parametri di giudizio: criterio di sicurezza e criterio di insicurezza. Nella prima dimensione (sicurezza) rientrano risposte di coping funzionali, indicative di adattamento e coerenza nel racconto, mentre nella seconda sono ricomprese risposte strane e incoerenti, reazioni disorganizzate, sintomatiche di stati di disagio, di allarme eccessivo durante la separazione o di evitamento delle tematiche separative. Il test è risultato in grado di discriminare i bambini insicuri da quelli sicuri, mostrando una certa validità di convergenza, soprattutto nei bambini minori di 9 anni. Meno elevata, invece, la capacità di differenziare le varie modalità di attaccamento insicuro (ansioso- ambivalente o ansioso-evitante), rispetto ad altri strumenti di valutazione (Bretherton, Ridgeway, Cassidy, 1990).
2) IL TEST MCAST: (Manchester Child Attachement Story Task)
Ulteriore strumento di misurazione dell’attaccamento in età prescolare è il MCAST (Manchester Child Attachement Story Task), la cui somministrazione mostra buoni dati di convergenza con gli altri strumenti di valutazione dell’attaccamento in età prescolare. La similitudine con l’ACST è evidente nei contenuti, nella somministrazione e nello scoring; anche in questo caso troviamo infatti:
– la somministrazione di sei storie – una introduttiva, quattro dal contenuto separativo stressante e una finale, che riconduce in un contesto di risoluzione dell’empasse e ripristino dell’equilibrio;
– la presenza di una bambola caregiver, identificata col genitore, e di una bambola baby che rappresenta il bambino;
– l’utilizzo di materiale play mobil, fornito sotto forma di una casetta arredata all’interno della quale si evolvono le storie.
La valutazione viene effettuata sulla base di quattro categorie aventi ad oggetto il comportamento tenuto dal bambino nel corso del gioco; la condotta tenuta durante la narrazione della storia; la qualità e l’orientamento affettivo contenuto narrativo; lo stile linguistico della narrazione.
Nel MCAST si rileva l’aggiunta di sottoscale aventi il compito di misurare la presenza di fenomeni disfunzionali legati principalmente alla presenza di disorganizzazione e di regolazione emotiva. Ulteriore differenza con l’ASCT è legata al fatto che le storie prevedono la presenza di una sola figura di attaccamento, senza l’aggiunta di altri componenti della famiglia; modifica indotta al fine di permettere una più focalizzata individuazione delle tematiche diadiche dell’attaccamento, favorendo al contempo una migliore identificazione del bambino con il protagonista delle storie (Goldwyn et al., 2000).
3) ATTACHEMENT Q SORT (AQS)
Deputato a valutare la qualità dell’attaccamento da 1 a 5 anni, l’Attachment Q-sort, prevede la somministrazione di 90 item descrittivi dei contesti infantili quotidiani più frequenti, rilevati attraverso una serie di osservazioni effettuabili dal genitore o da un soggetto esterno.
Gli item sono sottoposti al caregiver di riferimento, nella maggior parte dei casi il genitore, a quale si chiede di stabilire – come in ogni procedura Q SORT- il livello di somiglianza tra un particolare contesto e quello personale del somministrato, attraverso una scala valutativa in cui 9 rappresenta la massima somiglianza e 1 la minima. Nel caso in cui la valutazione sia affidata ad uno sperimentatore, al fine di ottenere risultati più attendibili è consigliabile effettuare 2- 3 visitazioni a domicilio della durata di 2 – 3 ore ciascuna.
Questo test è utile a stabilire la differenza di attaccamento tra figure primarie di riferimento, quali la madre e l’educatrice di asilo nido ( Cassibba, D’Odorico, 1999). Si tratta inoltre di uno strumento che può essere utilizzato in alternativa alla Strange Situation, dalla quale lo differenzia uno stile di somministrazione meno stressogeno e artefatto, in quanto le osservazioni dei comportamenti vengono effettuate all’interno di contesti domestici e non sperimentali ( Attili, 2001).
Unico punto debole: il fatto che le domande vengano poste direttamente al caregiver, e per questo filtrate dalle sue connotazioni emotive, mnestiche e cognitive- potrebbe comportare il rischio di una soggettività valutativa in grado di inficiare l’oggettività delle risposte.
SAT- SEPARATION ANXIETY TEST
Il SAT è un semiproiettivo originariamente sviluppato da Hansburg nel 1972 per valutare reazioni di adolescenti e preadolescenti di fronte alla separazione dal caregiver; rielaborato da Klansbrun e Bowlby (1976), è stato ulteriormente modificato da Main, Kaplan e Cassidy (1985) per bambini dai 4 ai 7 anni, e da Attili reso utilizzabile anche per la fascia di età dagli 11 ai 17 anni (2001).
Oggetto della valutazione è la reazione di fronte all’abbandono genitoriale, rappresentato con 3 separazioni definite “leggere” -alla tavole 2, 4, 6 e 3 definite pesanti -alle tavole 1,3,5. La somministrazione risulta alternata al fine di non creare nel bambino un eccessivo carico emotivo.
Nella versione di Attili, gli stimoli precedentemente raffigurati a mezzo di fotografie, vengono somministrati sottoforma di vignette disegnate: nel rispetto di una scelta dovuta alla maggiore potenzialità proiettiva del disegno, cui si lega una più significativa possibilità di svincolare l’emersione di contenuti arcaici inconsci. Ridotto anche il numero delle tavole, che dalle 12 originarie sono state portate a 6.
Nella prima tavola il papà e la mamma escono fuori per la sera e lasciano il bambino solo a casa; nella seconda il bambino deve abbandonare la mamma per affrontare il primo giorno di scuola; nella terza il babbo e la mamma partono per il week end, lasciando il bambino da solo per due giorni; nella quarta, durante un pomeriggio in famiglia al parco, i genitori chiedono al bambino di allontanarsi perché vogliono stare un po’ da soli; la quinta scena raffigura i genitori che partono per una vacanza di quindici giorni senza il figlio; l’ultima tavola mostra la mamma che porta il bambino a letto e lo lascia da solo nella stanza dopo avergli augurato la buonanotte.
La presentazione di ciascuna tavola si accompagna alle seguenti domande:
Cosa pensi che provi questo bambino? perché pensi che provi questo? Cosa pensi che farà questo bambino quando tornerà il genitore? E tu cosa proveresti? Cosa faresti quando torna il genitore e perché?
Le risposte sono ricomprese in 17 categorie a loro volta raggruppate nelle seguenti 8 classi valutative: attaccamento, mancanza di autostima, ostilità, fidUCIA di se stesso, evitamento, ansia, ansia incontrollabile e angoscia, confusione. Le modalità di coping reattivo alla separazione vengono invece distinte in appropriate, inappropriate e di controllo.
Il punteggio finale è calcolato in una scala di punteggi che va da un massimo di + 2 a un minimo di -2, passando per + 1, 0 e – 1. I punteggi più alti sono destinati a risposte sintomatiche di attaccamento sicuro, 1 a reazioni normalmente ansiose dopo una separazione, – 1 ad atteggiamenti ambivalenti e – 2 ad atteggiamenti di tipo confuso, incongruente o disorganizzato.
Applicato in un ambito di ricerca, il SAT è stato in grado di individuare la presenza di un attaccamento disfunzionale nell’eziopatogenesi dei disturbi alimentari già diagnosticati. Nello specifico, la somministrazione del SAT ha permesso di rilevare un attaccamento evitante nella maggior parte dei soggetti con diagnosi di anoressia e un attaccamento disorganizzato o ambivalente in pazienti bulimici ( Attili, 2001). Inserito in un contesto eziopatogenetico, l’attaccamento evitante degli anoressici potrebbe rappresentare il tentativo di difendere i propri confini somatici dall’invasione di elementi esterni, e di prendere le distanze da un vissuto affettivo costruito sulla base di abbandoni, rifiuti e negazioni, sin dalla fase orale. Il soggetto anoressico è legato ad un perfezionismo estetico che squalifica i contenuti psichici, a testimonianza dell’incapacità di prendere i contatti con i propri nuclei identitari, stabilendo un’intimità affettiva con i propri bisogni e con coloro che sarebbero in grado di gratificarli. La presenza di un attaccamento disorganizzato nei soggetti bulimici potrebbe invece rappresentare l’esito di una perdita di controllo dei contenuti psichici ed emotivi- originata da un contesto evolutivo altrettanto incoerente e inattendibile- in cui l’assunzione incontrollata di cibo assume il ruolo di una parziale, per quanto disfunzionale, valenza auto regolativa ( Attili, 2001).
PRECISAZIONI CONCLUSIVE
La somministrazione dei proiettivi in età prescolare ha consentito di individuare la presenza di un dato evolutivo piuttosto omogeneo: i bambini sicuri (B) mostrano maggiori capacità di integrazione tra informazioni cognitive ed emotive, una più sviluppata regolazione emotiva, maggiore capacità di sintesi e problem solving di fronte alle difficoltà, maggiore tolleranza dell’errore, più elevata competenza di recupero di informazioni autobiografiche- soprattutto in relazione ad eventi negativi e pericolosi- migliore qualità e quantità dell’investimento sociale e dell’alleanza affettiva col caregiver (Caviglia e Russolillo, 2018; Astington, e Pelletier, 2005; Baldoni, 2005).
Il dato che associa ad un attaccamento sicuro un più funzionale sviluppo di capacità cognitive e sociali, oltre che una maturazione precoce di competenze linguistiche e di mentalizzazione in un contesto di relazione positiva, sembra pertanto godere di una certa attendibilità (Caviglia, 2018).
Al contempo è possibile affermare il risultato che mostra, in presenza di buone capacità cognitive e relazionali, la presenza di un attaccamento sicuro agli oggetti affettivi primari. Da qui la conclusione più precisa e prudente, volta ad inserire l’attaccamento sicuro e lo sviluppo di competenze socio cognitive all’interno di un quadro di correlazione anziché di causa effetto. (Baldoni, 2007).
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