La psicoterapia cambia il cervello
E’ stato scoperto, dalle osservazioni condotte con Risonanza Magnetica Funzionale (RMI), una tecnica di osservazione delle aree del cervello attive in determinate circostanze o attività (leggere, parlare, ascoltare, ricordare, fare sesso, ecc) che la psicoterapia agisce sul cervello modificandolo.
“In base alle osservazioni condotte con la tecnica della Risonanza Magnetica Funzionale (fRMI) è risultato che la psicoterapia può modificare la struttura del cervello“.
La scoperta è stata presentata durante il “20° Congresso mondiale di Medicina psicosomatica” tenutosi a settembre 2009 a Torino. Secondo gli esperti, la psicoterapia è in grado di modificare l’attivazione di aree specifiche cerebrali in modo tale che l’individuo possa gestire meglio emozioni negative quali ansia, panico, depressione, paura” (da La Stampa del 23/09/2009).
Questa tecnica di indagine (fRMI) ha, quindi, evidenziato che, per esempio, pazienti sofferenti per fobie, ansia o stati depressivi più o meno gravi presentavano, dopo essersi sottoposti per qualche mese ad un ciclo di incontri con uno psicoterapeuta, i livelli di attivazione delle aree cerebrali interessate nel disturbo specifico del tutto vicine alla norma, come se avessero assunto dei farmaci.
Ecco un esempio maggiormente esplicativo: “C’è un uomo che ha paura dei ragni. Ne ha uno davanti. La fotografia del suo cervello mostra che una parte – l’area pre-frontale laterale destra – si attiva, stimolata dalla sua paura. Qualche tempo dopo lo stesso individuo non ha più alcuna reazione. Guarda un ragno, eppure reagisce in modo «normale», come quello di chi non è assalito da impulsi di terrore” ( da La Stampa del 23/09/2009).
In questo caso specifico è chiaro ed evidente che il cervello della persona si è modificato. Si è modificata, in particolare, la struttura dei neuroni (cioè, la materia di cui il cervello è composto). L’aspetto più interessante e innovativo, però, risiede nel fatto che tutto ciò è accaduto senza intervenire farmacologicamente (come purtroppo molto spesso si fa in Italia), ma solamente grazie alla psicoterapia, grazie, cioè, alla relazione tra un individuo (paziente) e un altro (psicoterapeuta).
La terapia della psiche (della mente o del pensiero, se preferite) è in grado di far cambiare forma ed anche attività al cervello: non solo contrasta ansie e fobie, ma regola anche le risposte agli stress causati dalle malattie. Agisce, infatti, sulle interrelazioni tra gli aspetti biologici (organici) e neuronali (psicologici, se vogliamo) cioè su quelli che in gergo scientifico sono detti circuiti neurobiologici. La psicoterapia “Ha lo stesso effetto dei farmaci anti-paura, insomma”, spiega Secondo Fassino, direttore del Centro universitario per i Disturbi del Comportamento Alimentare dell’ospedale Molinette di Torino che ha ospitato il congresso ( da La Stampa del 23/09/2009).
Fortunatamente, quello dell’utilizzo della psicoterapia al posto dei farmaci è un procedimento che sta consolidandosi negli anni, nonostante la tendenza diffusissima a ricorrere ai farmaci per molti disturbi o disagi che potrebbero efficacemente essere affrontati con la psicoterapia.
Non è insolito, infatti, che genitori di bambini “irrequieti”, oppure persone con problemi di ansia, fobie, ossessioni, attacchi di panico, depressione, distorsioni dell’umore ecc., si rivolgano preferenzialmente a neurologi, psichiatri o neuropsichiatri per risolvere i propri disagi; e non è insolito, purtroppo, nemmeno il fatto che tali operatori prescrivano farmaci a iosa, con leggerezza e intenzionalità anche quando sanno benissimo che basterebbe un ciclo di psicoterapie o un affiancamento di sedute di psicoterapia alla terapia farmacologica. Certo è che non tutti gli psichiatri, neurologi e medici di base sono così insensibili, purtroppo, però, manca in Italia il pieno sviluppo di quella funzione informativa che essi dovrebbero attuare, manca, cioè la funzione “ponte” tra la medicina e la psicoterapia.
Il fatto ancora più sconcertante, per non dire terrificante, riguarda proprio i bambini, cioè la facilità con cui, anche a loro, oggi vengono somministrati farmaci per problemi e disagi a cui si potrebbe far fronte benissimo con le parole, l’ascolto, con l’educazione, l’amore e regole comportamentali chiare e adeguate.
E’ il caso,per esempio, di bambini che se mostrano frequenti distrazioni in classe o un’eccessiva aggressività con i compagni, oggi, vengono classificati come malati di ADHD, cioè della “sindrome da deficit di attenzione e iperattività”. In pratica, il bambino viene subito considerato un malato mentale, riconducendo ad un deficit fisiologico quello che, spesso, è un problema ambientale o sociale. Ma, l’aspetto peggiore sta negli effetti collaterali e a lungo termine dell’uso di tali farmaci: il Ritalin (della Novartis), per restare nell’ambito dell’esempio dei bambini, fino al 2003 era classificato insieme agli oppiacei, alla cocaina, all’eroina e all’LDS (nella tabella n.7 della Farmacopea), poi, per decreto ministeriale, è passato nella sottotabella IV, dove si trovano le benzodiazepine e gli altri psicofarmaci.
Questa decisione non ha nessun fondamento scientifico, né logica di benessere o utilità, in quanto la stessa Novartis mette in guardia, nella scheda tecnica del farmaco, circa i rischi dell’uso di tale farmaco. Si legge, infatti, “un uso abusivo può indurre marcata assuefazione e dipendenza psichica con vari gradi di comportamento anormale (…) Si richiede un’attenta sorveglianza anche dopo la sospensione del prodotto poiché si possono rilevare grave depressione e iperattività cronica”. Praticamente, si tratta di un farmaco che provoca effetti molto peggiori di quelli che dovrebbe curare! Anche nella “Guida all’uso dei farmaci” stilata dal Ministero della Salute si parla di effetti collaterali anche peggiori e, nonostante ciò, basta che un bambino sia un po’ negligente, corra, si dimeni sulla sedia, parli troppo, si agiti o ascolti poco che i genitori vengano indirizzati ad una visita specialistica da cui, se il professionista è un sciacallo, può scaturire la prescrizione di un farmaco e non di una psicoterapia.
La psicoterapia, anche in questo caso, è meglio! Per lo meno non ha effetti collaterali.
Pensateci.
Dott.ssa Elisabetta Ferrara, Psicologa e Psicoterapeuta