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La metacognizione: insegnare e apprendere

Metacognizione: la motivazione ad apprendere

Il secondo modulo del corso affronta alcune tra le variabili più importanti inerenti all’apprendimento, le quali ne possono determinare la qualità. Più nello specifico vedremo gli aspetti motivazionali, l’intelligenza, le intelligenze multiple, la metacognizione quale fattore complesso che permette l’autoregolazione nelle attività di studio e per terminare vedremo le caratteristiche della qualità dei processi di apprendimento nei termini degli effetti sugli allievi in correlazione con gli obiettivi perseguiti.

Nella quarta lezione del corso studiamo la motivazione all’apprendimento. Dopo una breve definizione di motivazione ne vedremo alcune tra le teorie e gli approcci in campo educativo, evidenziandone pertanto l’importanza nelle attività di studio. Una delle sfide educative più importanti per un insegnante è proprio quella di sostenere e incrementare la motivazione allo studio e all’apprendimento. Ma cosa vuol dire motivare allo studio e com’è possibile costruire un ambiente di apprendimento che risulti motivante per i ragazzi?

La parola motivazione (come leggiamo in questa diapositiva) deriva dal latino “movere” e dovrebbe essere considerata come una sorgente di energia interna che spinge le persone nella direzione di quelli che sono gli esiti desiderati e lontano da esiti indesiderati. La motivazione riguarda inoltre la realizzazione dei propri bisogni, delle proprie attese obiettivi, desideri e più in generale ambizioni. La motivazione viene anche definita come un insieme strutturato di esperienze soggettive usato per spiegare l’inizio, la direzione, l’intensità, la persistenza e la qualità del comportamento specialmente diretto verso un obiettivo.

Una distinzione importante circa questo concetto è quella tra motivazione intrinseca e motivazione estrinseca.

La motivazione intrinseca si riferisce alla volontà dello studente di impegnarsi nello studio e nell’apprendimento di nuove conoscenze per il piacere di sapere e di conoscere indipendentemente da un’eventuale ricompensa esterna.

La motivazione estrinseca invece fa riferimento alla condizione per cui lo studente si impegna nelle attività di studio, non in quanto interessato e motivato all’attività in sé, ma perché incentivato da una ricompensa esterna, un vantaggio o via discorrendo.

Il comportamentismo ha individuato nel rinforzo l’elemento in grado di incentivare un dato comportamento. Come leggiamo in questa diapositiva, lo stimolo rinforzatore è quello stimolo in grado di motivare il soggetto in quanto è immediatamente successivo al comportamento atteso determinandone così la frequenza di emissione. A scuola stimolo in tal senso sono ad esempio le lodi verbali, le valutazioni positive, i voti di merito o tabelloni con simboli di merito. In questo caso si viene ad incentivare una motivazione di tipo estrinseco. Gli stimoli, quali rinforzi, possono essere usati anche nell’ambito di un percorso graduale per cui si viene a suddividere l’attività in passi più elementari e si viene ad erogare il rinforzo per ciascun passo raggiunto. Il livello di prestazione, quando è stato raggiunto, viene quindi rinforzato; al contrario ad ogni comportamento incompatibile farà seguito l’assenza del rinforzo oppure l’erogazione di punizioni. L’uso di questa modalità in ambito scolastico va ragionata nei tempi e nei modi da parte dell’insegnante in quanto l’uso esclusivo dei rinforzi potrebbe inficiare la motivazione intrinseca, in particolare quando:

  • lo studente la vive come un tentativo di controllo;
  • se sposta l’attenzione dall’obiettivo principale per cui ci si deve impegnare per quell’attività;
  • se altera il significato psicologico del compito tramite la svalutazione degli obiettivi principali per il quale ci si deve impegnare.

Tuttavia gli studenti, com’è stato più volte detto e diremo, non sono passivi rispetto alla motivazione allo studio, ma proattivi. Un campo ampiamente studiato nell’ambito della motivazione all’apprendimento è quello che approfondisce al contrario le convinzioni che lo studente sviluppa rispetto a se stesso come soggetto capace nelle attività di studio, e l’effetto di queste convinzioni sulla motivazione ad imparare in particolare qui ci stiamo riferendo all’attribuzione causale e alla percezione di auto efficacia dello studente.

Gli studi sull’attribuzione causale di Weiner si incentrano sulla percezione dei motivi a cui una persona fa riferimento per spiegare il proprio successo o fallimento in un compito scolastico, cioè di fronte ad un successo o un fallimento nel perseguire un obiettivo a scuola, molte volte gli studenti si interrogano su quelli che sono i motivi che sono alla base dell’esito che si è verificato nei termini. Ad esempio se ottengo un buon risultato in una prova di verifica, il mio successo da che cosa è dipeso dal mio impegno o dalla facilità del compito?. Ovvero la teoria dell’attribuzione causale studia il processo cognitivo attraverso il quale le persone individuano i motivi che sono le cause per comprendere e motivare il successo o il fallimento in un compito scolastico. Questo processo cognitivo di attribuzione causale dipende dal bisogno di ciascun individuo di comprendere chiaramente la propria realtà. Ciascuno di noi tenderebbe pertanto a costruire uno schema di attribuzioni tendente alla stabilità che si viene a delineare come stile attributivo. Naturalmente queste valutazioni che lo studente dà della propria prestazione scolastica determineranno un senso di inadeguatezza o al contrario un senso di efficacia che avranno come conseguenza un calo nella motivazione al contrario un suo aumento. Quindi come vediamo non ci sono soltanto dei premi punizioni rinforzi a livello comportamentale ma fondamentali nella motivazione allo studio sono anche naturalmente le variabili cognitive ed emotive.

Le tre dimensioni dello stile tributario sono:

  • il locus of control il quale definisce se una causa può essere interna (come ad esempio l’impegno personale) oppure esterna (come ad esempio l’aiuto di un insegnante o di un compagno).
  • La seconda dimensione è la stabilità che indica se la causa può essere suscettibile di un cambiamento nel tempo oppure no, ovvero dipendere da circostanze temporanee oppure maggiormente stabili e quindi dipendenti dalle proprie caratteristiche personali.
  • Una terza dimensione è la controllabilità che evidenzia come la causa può essere sotto il controllo della persona ed essere ad esempio dipendente da una propria abilità oppure no ed essere ad esempio dipendente dal caso.

Abbiamo evidenziato questi punti non perché debbano essere intesi come delle suddivisioni rigide ma perché è importante essere a conoscenza del fatto che a tali fattori è possibile collegare reazioni anche emotive e non soltanto cognitive che vengono sollecitate da situazioni di successo, di fallimento a scuola e quindi la motivazione che si osserva nello studente nel perseguire con impegno un’attività di studio. A seconda dello stile attributivo sarà infatti possibile osservare nel ragazzo sentimenti di auto efficacia oppure vergogna, senso di colpa o al limite anche rabbia.

Per ciò che riguarda invece la percezione di autoefficacia, un autore di rilievo nello studio di questo costrutto psicologico è senz’altro Bandura. La percezione di auto efficacia è stata da lui definita come l’insieme delle credenze nella propria capacità di organizzare ed eseguire il corso delle azioni necessarie per produrre un dato esito. Gli studenti che affrontano un compito di apprendimento con una tale percezione di auto efficacia credono di poter eseguire ciò che la situazione richiede mentre gli studenti che non hanno questo tipo di percezione sono insicuri rispetto al compito o si aspettano che con ogni probabilità non ci riusciranno. Questo costrutto psicologico non va confuso con il concetto di autostima, sebbene evidentemente ne faccia parte. L’autoefficacia è infatti un costrutto concetto più circoscritto e situazionale rispetto a quello maggiormente ampio dell’autostima che racchiude un insieme di valutazioni rispetto a diverse cose che la persona dà di sé stessa. La percezione di autoefficacia nasce tramite esperienze di padronanza in cui il successo è attribuito a fattori interni e direttamente controllabili dallo studente. Se grazie a questi fattori interni si è riusciti in un compito, allora lo studente si convincerà che riuscirà nello stesso compito e in altri compiti anche in futuro. La percezione di autoefficacia dello studente può influenzare la scelta del compito ed anche il grado di coinvolgimento e di motivazione per tale compito. Se lo studente avrà una percezione di auto efficacia elevata allora questo farà sì che affronterà il compito di apprendimento con sentimenti di fiducia, di volontà nel riuscire e capacità anche di persistere. Al contrario, se sussistono dubbi in lui circa le proprie capacità, allora vi sarà la tendenza pervasiva quasi costante ad evitare i compiti di apprendimento, vi sarà facilmente una rinuncia verso gli stessi e vissuti di frustrazione o anche sensi di impotenza. Per un insegnante è evidentemente importante sostenere l’auto efficacia dei propri studenti per motivarli allo studio e all’apprendimento.

L’aumento della percezione di autoefficacia può essere favorito da alcune azioni da parte dell’insegnante ovvero:

  • incoraggiare gli studenti a definire specifici obiettivi complessi ma raggiungibili quindi alla loro portata;
  • modellare e segnalare strategie efficaci ai fini della realizzazione del compito;
  • dare costantemente allo studente dei feedback che lo possano aiutare nel raggiungere l’obiettivo gradualmente;
  • fare affermazioni attribuite che possano aiutare lo studente ad apprezzare lo sviluppo delle sue capacità e abilità, ad accettare le sfide e ad applicare un impegno costante ed elevato.

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