Partiamo dall’etimologia latina “de-mentia”, cioè “senza mente” e da ciò individuiamo un significato di perdita, prevalentemente cognitiva, globale, irreversibile e cronica. Il primo caso in letteratura è stato descritto dal neuropatologo tedesco Alois Alzheimer, fu lui a conoscere questa singolare malattia visitando la signora Auguste Deter.
La signora aveva 51 anni quando cominciò a dimenticare le cose normali e quotidiane, era convinta che suo marito avesse una relazione con un’altra donna e divenneestremamente gelosa, in realtà non c’eraalcun motivo per crederlo, ma lei era furiosa con lui, andava di qua e di là nel suo appartamento, spostava le cose senza un motivo, le nascondeva, a volte pensava che la stessero uccidendo e urlava, fu allora che venne affidata ad un istituto e lì conobbe il dottor Alzheimer.
Qui il suo comportamento cominciò acambiare, divenne sempre più indifesa e confusa, non capiva dove fosse, aveva perso il senso del tempo, portava in giro parti del letto, chiamava suo marito e sua figlia, aveva allucinazioni uditive.
Le sue condizioni continuarono a peggiorare fino alla sua morte avvenuta quattro anni e mezzo dopo; alla fine restava accucciata in posizione fetale totalmente chiusa in se stessa senza reagire a nessuno stimolo esterno e morì all’età di 55 anni.Lei è il primo caso di demenza di Alzheimer che tutti noi conosciamo ed è sicuramente la forma più comune di demenza.
Da Auguste ad oggi siamo arrivati solo in Italia a stimare oltre un milione di pazienti di cui appunto il 60% dei casi è di demenza di Alzheimer e pensate che direttamente e indirettamente sono coinvolte nell’assistenza dei loro cari circa 3 milioni di persone, quindi parliamo di una vera e propria epidemia socio-sanitaria, inoltre bisogna riflettere anche su tutte le conseguenze sul piano socio-economico immaginabili.
Ora andiamo a vedere quali sono i criteri diagnostici delle demenze in generale. La demenza significa uno sviluppo di deficit cognitivi multipli, per multipli intendiamo un deficit di memoria che si associa a un deficit di linguaggio, a un deficit di prassia (ovvero di movimenti finalizzati), a un deficit di riconoscimento/identificazione degli oggetti per poi avere eventualmente dei disturbi di controllo delle funzioni esecutive, ossia avere difficoltà nelpianificare, nell’organizzare e nell’astrarre; lo sviluppo di questi deficit cognitivi consiste nell’andare incontro ad una perdita del funzionamento e dell’autonomia della persona rispetto ad un livello precedente.
La demenza non si presenta solamente nel corso di uno stato confusionale acuto chiamato delirium, in altri termini la demenza possiamo definirla una sindrome, ovverosia un insieme di sintomiche rendono il quadro estremamente complesso e variabile da persona a persona, dove ad una inefficienza cognitiva si affianca una modificazione psico-comportamentale; tutto questo comporta un’incompetenza ecologica della persona rispetto a un livello precedente, dunque è qualcosa di acquisito e non congenito.
La demenza colpisce una persona, questo non dobbiamo dimenticarlo nel senso che troppo spesso si vede la diagnosi e non si vede il soggetto che ha una sua storia di vita, ha delle patologie mediche, che assume dei farmaci e quindi dobbiamo ben sapere che cosa prende a livello farmacologico, che ha un suo modo di essere, ha una sua personalità, che prima era in un modo e con l’avvento della demenza cambia; però ha una personalità da rispettare, delle abitudini e ha una rete a livello familiare e sociale.
La demenza ha una base neuropatologica ossia deriva da un’insufficiente e progressiva disfunzione a livello cerebrale che è fatta di fenomeni cosiddetti atrofici, regressivi che comportano proprio una perdita a livello neuronale e una perdita di connessioni, quindi di sinapsi tra i vari neuroni che ben vediamo per esempio negli esami neuroradiologici (tac e risonanze) o negli esami più approfonditi come la PET, in cui c’è un cervello troppo invecchiato in base all’età della persona o non funziona in determinate aree; perciò diciamo che ha unmetabolismo che porta a un cattivo funzionamento di quella determinata area, che si esprime e si manifesta con i sintomi che noi vediamo.
È importantesapere che è un decorso cronico, progressivo, peggiorativo altamente variabile da persona a persona ed è bene conoscere in che stadio di malattia siamo (in una fase lieve, in una fase moderata o in una fase severa) per poter intervenire in maniera adeguata sulla malattia.
Per classificare la demenza possiamo tenere in considerazione i seguenti aspetti: il quadro di esordio, ovvero come inizia questa patologia, viene ad essere compromessa la memoria, oppure il linguaggio, oppure il riconoscimento; altrimenti bisogna vedere quello che viene in primis colpito, sono per esempio la personalità, la motivazione, l’attenzione.
Qui abbiamo due quadri completamente diversi, un quadro di compromissione strumentale nel primo caso, dove quindi c’è una perdita di memoria, di linguaggio e di altro che colpisce quelle che sono le regioni posteriori del cervello rispetto invece a un quadro che in termini tecnici si definisce disesecutivo, in cui vanno ad alterarsi quelle che sono le aree anteriori o prefrontali del cervello.
Oltre a questo la demenza possiamo definirla in base: all’età di esordio, cioè quando iniziano i primi sintomi, prima dei 65 anni o dopo, se prima si parla di demenza presenile se è dopo si parla didemenza senile;la sede del danno ossiale aree che risultano essere compromesse sono aree corticali o aree sottocorticali; per quanto concerne l’eziologia dobbiamo vedere se è primaria su base degenerativa oppure secondaria, cioè come conseguenza di altre patologie (ictus); qual è la causa che la genera e anche la prognosi, infatti ci sono delle prognosi reversibili come per esempio può essere una carenza vitaminica o quelle irreversibili, cioè che non hanno possibilità di ripristino della persona e quindi del quadro.
Se fin’ora abbiamo visto che cos’è una demenza, ora invece ci soffermiamo a vedere cosa non è e quindi andiamo a fare una sorta di diagnosi differenziale.
La demenza non è un ritardo mentale ovverosia un quadro congenito, la persona non nasce con queste compromissioni cognitive ma le acquisisce; non è uno stato confusionale acuto che di per sé è un quadro reversibile, che si caratterizza per una compromissione della coscienza, perché nella demenza lo stato di coscienza è presente e la persona è vigile; non è una depressione, cioè non è un quadro psicopatologico, ma è una malattia su base neurologica quindi è importante evidenziare proprio la differenza dei vari quadri.
La demenza possiamo definirla una patologia età- correlata, ovverosia l’incidenza e la prevalenza di questa patologia aumenta in maniera esponenziale con l’età, però occorre ben sottolineare il fatto che invecchiare non significa sistematicamente indementirsi, perché l’invecchiamento fisiologico comporta sicuramente dei cambiamenti da un punto di vista cognitivo, ma è sempre qualcosa di fisiologico, la demenza invece è un processo di invecchiamento patologico.
Nella classe tra 60 e 64 anni abbiamo lo 0,6% di persone affette da demenza, pensiamo che oltre i 95 anni questa invece diventa il 46,3% quindi diciamo che il fattore di rischio maggiore per ammalarsi di demenza è indubbiamente l’età, ma invecchiare non significa per forza ammalarsi di demenza.
Ora andiamo a vedere i fattori di rischio che sono: il sesso femminile, il diabete, l’ipertensione in età adulta, l’obesità in età adulta, il fumo, la depressione, la bassa scolarità e l’inattività fisica. Sono fattori che se modificati potrebbero sensibilmente ridurre l’insorgenza delle forme cliniche di demenza, in primis l’Alzheimer, dunque sono aspetti che occorre tenere sotto controllo e in qualche modo, laddove possibile, ridurre e modificare quelli che possono esseregli stili di vita,anche per fare una sorta di prevenzione primaria e secondaria.
Oltre ai fattori di rischio occorre andare a evidenziare quali sono quei fattori che invece possono proteggerci, quindi i cosiddettifattori protettivi e questi per esempio sono: l’attività fisica (svolgerla in maniera regolare) associata ad attività mentali, cognitive e di svago che si aggiungono a quello che poi è il livello culturale e scolastico, aumentano la cosiddetta riserva cerebrale e vanno a contrastare la demenza, che possiamo proprio definire una sorta di furto di quello che è il nostro patrimonio mentale che abbiamo acquisito nell’arco della nostra vita.
Vorrei riportare la testimonianza di unapaziente, una signora australiana, che ha ricevuto la diagnosi ha 49 anni quindi parliamo di una demenza d’esordio precoce presenile. Lei dice: “La demenza è l’unica malattia terminale che conosco per cui viene detto ai pazienti di andare a casa e rassegnarsi, invece di combattere per la propria vita”.
Lei stessa dice: “Il giorno in cui ho avuto la diagnosi mi è stato consigliato di andare a casa, rinunciare al lavoro, rinunciare allo studio e vivere per il tempo che mi restava, questo invito a tirare i remi in barca era in contrasto con la mia visione del vivere bene così ho sceltoinvece di rivendicare il mio modo divivere prediagnosi e ho letteralmente lottato per la vita”.
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