La comunicazione interculturale in ambito aziendale: nuove sfide e prospettive nel mondo globale

A cura di: Silvia Alessandro

INTRODUZIONE

Il presente articolo si propone di analizzare le sfide comunicative della nuova società pluriculturale in contesti lavorativi moderni come quello aziendale, in cui la convivenza e l’integrazione di più culture, spesso molto distanti fra loro, può portare a fraintendimenti nella comunicazione e, più in generale, nell’interpretazione dell’altro.

Gli stravolgimenti in ambito economico e sociopolitico che si sono susseguiti dal XX secolo ad oggi, stanno cambiando in maniera radicale e definitiva il profilo odierno della società mondiale.

La designazione a livello geopolitico di nuovi equilibri, l’espansione dei mezzi di comunicazione di massa, l’avvento del processo migratorio, l’affermazione di nuove politiche economiche, tra i tanti, sono fattori che hanno incoraggiato la nascita del “villaggio globale” descritto dal sociologo Marshall McLuhan, nel quale ogni distanza territoriale viene meno, e tutte le identità culturali si scoprono sempre più interconnesse.

In un contesto simile, i bordi che delimitano tanto il concetto di “cultura” quanto quello di “identità” sfumano, caricandosi di un dinamismo che rende la società moderna un raggruppamento umano multietnico, complesso e, soprattutto, relazionale.

Ma cos’è, di preciso, la cultura? E la comunicazione? In che modo questi due fattori si implicano a vicenda? Perché è così importante, oggi più che mai, parlare di comunicazione interculturale? Cosa significa saper comunicare a livello interculturale in contesti lavorativi e aziendali?

1. Alcune questioni preliminari sulla comunicazione interculturale

Senza soffermarsi sulla più ampia complessità che sottende al concetto di cultura, in questa sede la cultura verrà definita come una visione del mondo socialmente condivisa, trasmessa di generazione in generazione in una determinata comunità. Sulla base del modo in cui ogni cultura percepisce l’ambiente circostante, quest’ultima seleziona il codice linguistico, i valori, i comportamenti, le norme, le credenze e le conoscenze che reputa più adeguate per esprimersi al meglio, e per vivere lo spazio sociale in conformità con i parametri che ha scelto. È evidente, quindi, che la propria cultura di appartenenza influenza, almeno inizialmente, la way of life e way of thinking (Balboni, 2007) di ognuno, come le definiscono gli studiosi Paolo Balboni e Fabio Caon, e quindi il modo di comportarsi in società e di interagire con gli altri, nonché i giudizi di valore rispetto al mondo in cui si vive.

Ne consegue che, se ogni cultura attribuisce il proprio personale significato agli oggetti materiali o alle categorie etiche che compongono la realtà, ogni cultura è unica e diversa rispetto alle altre, e nonostante l’evidente affinità che può avere con alcune culture più di altre, ma vi coinciderà mai perfettamente. A questo punto, è facile dedurre in che termini la questione culturale si lega al discorso della comunicazione: in questa nostra realtà globale ancora più che in altre epoche, il dialogo con l’alterità è inevitabile e necessario, tanto quanto difficile e complesso.

Questa precisazione viene operata in virtù della comune banalizzazione dell’idea stessa di comunicazione, ampiamente analizzata, soprattutto da un punto di vista interculturale, da molti studiosi di pedagogia e antropologia. Difatti, come ricorda Balboni (2015), “parlare” e “comunicare” non sono assolutamente la stessa cosa. Mentre l’atto del parlare fa riferimento quasi esclusivamente al codice verbale, e quindi alla lingua come unico veicolo di trasmissione del messaggio, il concetto di comunicazione considera anche il linguaggio non verbale come parte integrante, e quindi comunicativa, dell’informazione da trasmettere.

1.1 Interculturalità e alterità

Come segnala Agostino Portera (2019), comunicare a livello interculturale significa promuovere un dialogo, uno scambio e un contatto consapevole tra individui appartenenti a più culture, coscienti delle incomprensioni che possono naturalmente insorgere dall’incontro delle loro diversità, ma assolutamente in grado di saperle gestire. Se, come sostiene la psicologia, l’autoconsapevolezza è importante poiché insegna a dialogare con la propria interiorità, allora anche la consapevolezza dell’altro, e di sé in relazione all’altro, aiuterà a comprendere e ad accogliere la diversità altrui, con tutte le sfumature ad essa associate (Bennet, 2001).

Per questo è necessario che si educhi all’interculturalità e allo sviluppo di quelle competenze interculturali di cui tanto parla Portera, ma delle quali anche Caon ne sottolinea più volte l’importanza. Come afferma Caon (2018), se la dimensione interculturale, e cioè l’interazione tra diverse culture, può diventare l’oggetto privilegiato dello scambio comunicativo, significa che questa può essere anche studiata, analizzata e quindi insegnata, educando gradualmente all’alterità.

2. Le difficoltà della comunicazione interculturale: conflitti verbali e non verbali

Mentre nel contesto scolastico e formativo il fenomeno dell’integrazione culturale costituisce un terreno fertile già ampiamente sondato e in continua sperimentazione, in contesti lavorativi altri, come quelli aziendali, s’inizia adesso ad abbracciare questa nuova condizione di interculturalità.

Premesso che l’incontro della diversità, come si è detto, è caratterizzato quasi sempre dall’insorgere di conflitti comunicativi, per una questione di praticità categorizzeremo la criticità interculturale in due macrogruppi: quello delle incomprensioni verbali, da un lato, e quello delle incomprensioni non verbali, dall’altro (Boggero, 2001). In questa suddivisione, verrà posta particolare attenzione agli elementi paraverbali della comunicazione non verbale, proprio perché, come si è detto, le modalità in cui si trasmette un’informazione sono comunicative tanto quanto le parole, e quindi possono essere ugualmente causa d’incomprensione.

Non deve allora stupire se i gesti, le espressioni del viso, il tono di voce, il ritmo e la velocità, sono considerati elementi culturali: esplicitano i valori etici e strutturali su cui si fonda una cultura, dalla forma mentis che adotta, fino al modo in cui concepisce e organizza la società (Portera, 2019).

2.1 Comunicazione verbale

Iniziando dalla comunicazione verbale, la complessità che la riguarda è estremamente sottovalutata da parte di chi analizza la dimensione della comunicazione interculturale. Un dialogo fra due persone appartenenti a lingue e culture diverse comporta la necessità da parte degli agenti di tradurre e/o adattare il dialogo all’altro, o attraverso l’adozione di una lingua franca o cercando di comunicare nella lingua dell’interlocutore. Eppure, l’errata convinzione che trasporre le parole da una lingua all’altra sia un’operazione automatica, neutrale e quasi asettica porta spesso a conflitti che, nei casi meno gravi, vengono risolti senza troppo indugio, mentre in quelli più gravi generano dei fraintendimenti comunicativi rilevanti (Caon, Rodríguez, Tonioli, 2021).

Come segnala ancora una volta Balboni (2007), ogni parola, indipendentemente dalla categoria a cui appartiene, è riconducibile a uno specifico campo semantico o, detto in modo diverso, rimette a un significato distinto e ben definito che però non è sempre traducibile in altre lingue. Potrebbe, ad esempio, capitare che nel contesto socioculturale di una delle lingue coinvolte il referente di cui si sta parlando non esista, o, al contrario, potrebbe essere che il referente esista, ma che nelle culture considerate gli si vengano attribuiti significati diversi.

Questo accade perché come la comunicazione è legata alla dimensione culturale, anche la lingua, che è alla base della comunicazione, è a sua volta connessa alla cultura. Basti pensare alle differenze culturali in merito a questioni linguistiche, come la struttura del discorso o l’organizzazione della frase, che tra lingue, soprattutto di famiglie diverse, mutano profondamente.

2.2 Comunicazione non verbale

Per quanto riguarda, invece, la comunicazione non verbale, si è deciso di porre particolare attenzione all’aspetto paraverbale proprio perché, come è consueto sperimentare concretamente in prima persona, a ogni cultura sono associati elementi paraverbali con specifiche caratteristiche, che la definiscono e la differenziano rispetto alle altre.

In merito a ciò, Portera segnala che mentre per una persona proveniente dalla Finlandia fare pause tra i turni di parola o tra il momento di narrazione e quello di riflessione in una conversazione è un segno di rispetto, per una persona di cultura tedesca, pause troppo lunghe potrebbero essere segno di indecisione o di incapacità critica e/o comunicativa (Portera, 2019).

L’argomento viene analizzato anche da Balboni (2007), che sottolinea una divergenza nel modo di comunicare degli antenati europei. Difatti, mentre i latini avevano la spasmodica tendenza a colmare i vuoti conversazionali con qualsiasi argomento, anche banale, pur di parlare, i popoli del Nord – Est europeo, come gli scandinavi e i baltici, apprezzavano molto le pause di riflessione che inframezzavano i dialoghi, comunicando e condividendo solo topics che consideravano importanti.

Un altro esempio, questa volta relativo al campo della gestualità e della mimica, potrebbe essere, poi, il diverso valore comunicativo che viene attribuito al sorriso nella cultura occidentale e orientale. In Occidente, sorridere in una conversazione è segno di un generale accordo o, quantomeno, di partecipazione e comprensione di quello che l’interlocutore sta dicendo. Al contrario, nelle culture orientali, dove si tende a essere molto più allusivi e meno diretti, sorridere e rimanere in silenzio mentre l’interlocutore sta parlando esprime una forma di diniego o disaccordo con lui, come spesso accade per lo più nella cultura giapponese.

2.3 Cultura e incomprensioni

Come si può notare dai pochi esempi riportati, la sola competenza linguistica non è garanzia di una comunicazione efficace, lineare e priva di incomprensioni, tanto che la maggior parte dei conflitti sono causati principalmente da misunderstandings non verbali.

Da questo punto di vista, il reale problema della comunicazione non verbale è che l’importanza dei valori e il modo in cui questi vengono comunicati è diverso in ogni cultura, e questo, in relazione a temi delicati come il rapporto con l’autorità, l’autonomia nei processi decisionali, il rispetto delle regole e la concezione dei rapporti gerarchici, l’idea di cortesia, tra le tante, potrebbe causare problemi all’interno di team multiculturali.

Va, comunque, specificato che, pur avendo operato una categorizzazione semplificata delle possibili cause di conflitto, bisogna sempre tenere in conto che la relazione non è solo tra culture ma, in primis, tra individui, ognuno con la propria personalità e modo di rielaborare gli stimoli esterni.

Ne consegue che le sole problematiche sopra individuate da un punto di vista più ampio e generale, non sono esaustive per decodificare a pieno le difficoltà che possono insorgere in contesti multiculturali. Questa lista deve fungere, piuttosto, da bussola in grado di orientare in contesti interculturali, nei quali si dovrà comunque contestualizzare e isolare ogni comunicazione, per via della variabile non prevedibile rappresentata dal componente umano.

3. Le sfide della comunicazione interculturale in azienda e le competenze da acquisire

C’è da chiedersi, a questo punto, in che modo tutto quello che si è detto si rifletta sulla dimensione lavorativa, influenzando contesti come quella aziendale.

Nel suo articolo sulle difficoltà della comunicazione interculturale in ambito aziendale, Caon sottolinea l’importanza dell’interculturalismo in campo lavorativo, e la necessità di un’educazione linguistica e interculturale per apportare beneficio a svariati settori in ambito internazionale (Trevisani, 2005). Difatti, Caon (2018) riporta che già nel 2012 il responsabile delle relazioni estere della Banca Popolare di Vicenza affermava che più della metà dei rapporti internazionali intrapresi non si erano conclusi a causa di una comunicazione interculturale deficitaria, che aveva generato incomprensioni e dissapori evitabili.

Di fronte alla rapida espansione di una globalizzazione che non può più essere ignorata, risulta evidente che il mondo aziendale si trovi in una condizione di forte incertezza, costretto, da un lato, a fare i conti con gruppi di lavoratori sempre più multietnici e, dall’altro, a interfacciarsi a realtà commerciali di stampo prettamente internazionale.

In merito a ciò, nel già citato studio sulla gestione dell’interculturalità in azienda, Caon individua sei competenze funzionali alla creazione di un clima lavorativo il più possibile sereno, nel quale la comprensione, l’empatia e la mediazione diventano le tre macroabilità indispensabili per imparare a comunicare in maniera fluida tra culture.

Le competenze interculturali considerate essenziali da Caon sono:

  • Saper osservare: in primis, dice Caon, quando si incontra una persona con un diverso retroterra culturale, bisogna saperla osservare nella maniera più oggettiva che si può, cercando di liberarsi di tutti gli stereotipi e i pregiudizi che possono condizionarci in maniera negativa e aprioristica nella comunicazione.
  • Saper relativizzare: in secondo luogo, continua Caon, bisogna avere la capacità di relativizzare il proprio punto di vista per non cadere nell’errore di “addomesticare” l’altro, interpretandolo attraverso le proprie categorie concettuali. L’obiettivo è quindi quello di accettare e rispettare l’interlocutore nella sua diversità, senza provare a ricondurlo a quanto conosciamo per rimanere nella comfort zone del noto.
  • Non giudicare: la terza abilità descritta da Caon è relativa, invece, al non giudicare l’altro perché pensa, ragiona o agisce forse diversamente dal proprio modo di farlo, ma sicuramente in maniera coerente rispetto al suo sistema culturale. Le sue azioni saranno in linea con il suo pensiero, che è il risultato di una certa visione veicolata da una determinata cultura ma che, non appartenendoci, non potremmo mai capire fino infondo, soprattutto se molto diversa dalla nostra. Ad ogni modo, bisogna comunque sempre pensare che quel senso di ambiguità e stranezza che si può provare di fronte a comportamenti culturalmente diversi è proprio anche dell’altro: è una questione di punti di vista.
  • Saper ascoltare: la quarta skill fa riferimento alla dimensione di ascolto attivo alla quali ci si deve predisporre per aprirsi a un modo di vivere e di pensare del tutto inedito. Lo sviluppo di questa abilità farà adottare un’apertura mentale talmente ampia, da riuscire a uscire dalle proprie canoniche categorie di cosa è giusto e cosa è sbagliato, cosa è corretto e cosa no, relativizzando, per l’appunto, la propria visione delle cose (Scalvi, 2009).
  • Saper empatizzare: la quinta e sesta skill sono relative, invece, alla sfera emotiva. Sviluppare l’empatia altro non significa che immedesimarsi nell’altro sul piano emotivo, riconoscendo le sue emozioni grazie alla connessione tra il suo vissuto e la propria storia. La vera ricchezza che l’empatia permette di acquisire è, quindi, la capacità di riconoscersi nell’altro, dando a lui un po’ di sé e appropriarsi di qualcosa di lui, in virtù di una somiglianza che viene sottolineata, seppur nella diversità (Boella, 2006).
  • Saper negoziare i significati: quest’ultima skill racchiude in sé tutte le precedenti, proprio perché saper osservare, relativizzare, ascoltare ed empatizzare ma senza giudicare, implica necessariamente la capacità di saper scendere a compromessi o, come dice Caon, di “negoziare i significati”. Quest’ultima competenza è quindi il risultato di un processo che include e presuppone l’acquisizione di tutte le altre cinque abilità pregresse, rappresentando, al tempo stesso, sia la disponibilità ad accogliere realmente l’altro, sia la predisposizione a trovare quel punto d’incontro che possa soddisfare tutti.

CONCLUSIONI

Alla luce di quanto si è detto, e in linea con quanto sostiene Balboni in molti dei suoi studi sulla comunicazione interculturale, abbracciare una prospettiva interculturale sia in ambito lavorativo, sia in generale, non significa abbandonare la propria identità culturale per adottarne un’altra, e tantomeno vuol dire dare più spazio a una determinata cultura, o lasciare che una certa prospettiva di vita s’imponga e domini in contesti di pluralismo etnico. Significa, al contrario, imparare a conoscere, comprendere e rispettare l’altro nella sua differenza, dalla quale si può prendere molto per arricchirsi a livello personale, e al quale si può restituire molto, per arricchirlo a propria volta (Bennet, 2001).

Apprezzare l’essere umano in tutte le sue declinazioni, e quindi a partire dalla diversità, è un qualcosa che non appiattisce ma che, al contrario, esalta nella propria unicità, e proprio perché ogni pensiero si concretizza in atteggiamenti, è importante interiorizzare questa idea affinché si possa agire in un’ottica di reale tolleranza e comprensione interculturale (Bowe, Martin, 2007).

Accogliere l’idea dell’unità nella diversità significa vedere l’altro come un contrario speculare, uguale ma diverso, un necessario completamento di se stessi che permette di capirsi un po’ di più a partire da una prospettiva nuova. Per concludere, cito le parole di Niccolò Fabi, che sembrano essere esplicative circa l’importanza della comunicazione interculturale: «[…] io sono l’altro, puoi trovarmi nello specchio, la tua immagine riflessa, il contrario di te stesso […]».

BIBLIOGRAFIA

  1. Balboni P. E. (2007). La comunicazione interculturale. Venezia: Marsilio.
  2. Balboni, P. E. (2015). La comunicazione interculturale e l’approccio comunicativo: dall’idea allo strumento. Venezia: Edizioni Ca’ Foscari.
  3. Boella, L. (2006). Sentire l’altro: Conoscere e praticare l’empatia. Torino: Cortina
  4. Bowe, H.; Martin, K. (2007). Communication Across Cultures: Mutual Understanding in a Global World. Cambridge: Cambridge University Press.
  5. Boggero A. (2001). «La comunicazione efficace in azienda». In Change Formazione. Firenze.
  6. Bennet, M. (2017). «Towards Ethnorelativism: a Developmental Model of Intercultural Sensitivity». In International encyclopedia of intercultural communication. Wiley.
  7. Bennet, J.; Bennet, M. J. (2001). Developing Intercultural Sensitivity: an Integrative Approach to Global and Domestic Diversity. Portland: Diversity Symposium.
  8. Caon, F. (2018). Microlingua e comunicazione interculturale in ambito aziendale: le sfide. Venezia: Edizioni Ca’ Foscari.
  9. Caon F.; Rodríguez C. A.; Tonioli V. (2021). Criticità nella comunicazione interculturale fra spagnoli e italiani. Venezia: Edizioni Ca’ Foscari.
  10. Portera A. (2019). Dal multiculturalismo all’educazione e alle competenze (realmente) interculturali. Università degli Studi di Verona.
  11. Trevisani D. (2005). Negoziazione Interculturale: Comunicazione oltre le barriere culturali. Dalle relazioni interne sino alle trattative internazionali. Milano: Franco Angeli editore.
  12. Scalvi, M. (2009). Ascolto attivo e seconda modernità: sulla gestione creativa dei conflitti. Pisa: Pisa University Press.