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Introduzione alle terapie non farmacologiche nella demenza

demenza

Ad oggi le demenze costituiscono una vera emergenza mondiale considerando che nel mondo ci sono quasi 47 milioni di persone affette da una forma di demenza, una cifra che è destinata quasi a raddoppiare ogni 20 anni e si stima che nel 2050 ci saranno quasi 132 milioni di persone con questa patologia, ogni anno ci sono oltre 9 milioni di nuovi casi, vale a dire un nuovo caso ogni tre secondi.

La demenza quindi è una vera e propria epidemia sociosanitaria, questo significa per noi una sfida diagnostica, terapeutica ed assistenziale.

Al momento non vi sono terapie farmacologiche efficaci né di tipo preventivo né tantomeno curativo in grado di modificare il decorso cronico, peggiorativo e irreversibile della demenza e di ridurre questi numeri così elevati; ciò significa dare importanza a tuttauna serie di interventi non farmacologici che in qualche modo risultano essere estremamente utili da affiancare con i farmaci.

Nel complesso gli interventi non farmacologici per la demenza o per i disturbicognitivi possono essere sia ditipo preventivo primario e quindiparliamo di allenamenti quali i memory training, rivolti a persone fisiologicamente anziane, sia di tipo secondario, dunque per chi già lamenta un problema cognitivo, pensiamo all’MCI oppure alle persone affette da demenza, ma in fase lieve-moderata.

Fino a pochi decenni fa era quasi impensabile poter riabilitare una persona affetta da demenza perché si aveva un pregiudizio legato al fatto che la demenza è una sindrome progressiva, dove il deficit preminente è quello di una difficoltà di memorizzare,ma soprattutto di imparare nuove cose.

Ben diverso invece era l’atteggiamento nei confronti dell’ictus dove c’era per esempio la riabilitazione motoria o dell’afasia, quindi dove c’è un intervento logopedico.

I primi tentativi di intervento non farmacologico per la demenza avevano basi molto teoriche e povere, sintetizzate dallo slogan “use it or lose it” riferito praticamente al cervello (o lo usi o lo perdi), da questo ne sono derivati approcci indifferenziati che consigliavano una stimolazione molto grossolana, globale e non mirata, dunque una stimolazione globale aspecifica.

Solo nel corso degli ultimi decenni la maggiore e migliore caratterizzazione clinica della demenza ha permesso di sviluppare delle tecniche sempre più mirate e fondate da basi teoriche di riferimento.

In maniera generale gli approcci non farmacologici per la demenza possono interessare diversi focus di intervento: può essere un focus di intervento cognitivo come per esempio l’allenamento delle abilità cognitive ancora preservate che è l’argomento di questo corso; può essere un intervento fatto sul comportamento e il focus d’intervento può essere a livello del comportamento, quindi a partire da un analisi comportamentale si tenta di modificare quello che è il comportamento problema della persona affetta da demenza; oppure si può intervenire a livello sensoriale andando a stimolare isensi di queste persone con attivitàludiche e ricreative; o ancora vere e proprie terapie occupazionali; l’intervento può essere anche da un punto di vista emotivo di sostegno, di supporto psicologico e anche di validazione empatica del mondo interiore della persona; può essere un intervento più legato invece all’aspetto fisico e motorio; o un intervento che agisce sull’ambiente di vita della persona e quindi adatta il contesto di vita di queste persone modificando e adattandole come protesi alla malattia; fino ad arrivare a delle vere e proprie città demenzia friendly, ovvero delle città amiche della demenza dove una persona con questa malattia può vivere tranquillamente, dunque è a misura di una persona affetta da questa malattia neurodegenerativa.

Tutti questi approcci devono essere tempestivi (mai come in questo caso prima si interviene più si può rallentare il decorso della malattia), un’altra caratteristica da tenere a mente per questi interventi non farmacologici è anche la flessibilità, cioè avere la forza di dire basta quando non ha più senso per il paziente e nello stesso tempo adattarsi alla persona, al tipo di demenza e allo stadio di demenza.

È buona l’idea di un intervento sartoriale, ovvero tagliato su misura su quella persona, quindi non tutto va bene per tutti, l’intervento si fa per la persona e non per l’operatore e deve essere multimodale, cioè ad oggi si è visto che l’efficacia maggiore è se l’intervento non è solo specifico e mirato su un aspetto, ma magari l’aspetto cognitivo può essereallenato insieme all’aspettofisico, piuttosto che sensoriale ed emotivo (i cosiddetti training multimodali).

Tra questi interventi non farmacologici possiamo parlare, per esempio, per la demenza di fare musicoterapia, arte terapia, la terapia della bambola piuttosto che la terapia del treno, la stanza multisensoriale, sono tanti possibili approcci che noi possiamo proporre a queste persone e alle loro famiglie.

Le terapie non farmacologiche si caratterizzano perché richiedono un coinvolgimento attivo della persona con demenza, è ben diverso dall’assumere passivamente un farmaco, significa richiedere a queste persone un maggiore sforzo in termini di tempo, di sforzo cognitivo e avere una costanza.

Soprattutto sono interventi che si basano su una condivisione di quelli che sono le modalità e gli obiettivi tra i vari operatori, compresa la famiglia, che sicuramente è una risorsa a livello diagnostico, ma deve essere anche una risorsa con cui allearsi durante tutto il corso dellamalattia; quindi nello stesso tempo bisognaeducarla, ossia deve essere portata a conoscenza di che cosa sia la demenza attraverso degli incontri di psicoeducazione, oltre a un supporto emotivo e psicologico che occorre dare ai familiari sia durante la malattia,sia dopo la morte dei loro cari.

In generale le terapie non farmacologiche risultano essere efficaci se si considera la centralità della persona nel percorso di cura, ossia nel soddisfacimento di quelli che sono i bisogni somatici, psicologici e sociali che anche una persona affetta da demenza ha; dunque si deve riconoscere la completezza della persona e garantire a questi soggetti un ascolto, un’inclusione e una comprensione dei loro bisogni.

L’intervento in generale diventa tanto più efficace se viene personalizzato, in inglese infatti si utilizza proprio il termine tailored cioè tagliato su misura, un lavoro di intervento artigianale con la persona target del nostro intervento e con i suoi familiari, ciò significa non solo conoscere la diagnosi, ma conoscere molto bene la persona, la sua storia di vita, quali sono le sue preferenze, come funziona questa persona al di là della demenza.

Gli obiettivi generali che tutti questi approcci si danno sono 3:

1) il mantenimento delle funzioni ancora preservate e presenti della persona, quindi funzioni cognitive, comportamentali e funzionali, come sevolessero dare un freno alla progressione inarrestabile della demenza;

2) cercare in qualche modo di far mantenere il ruolo e l’autonomia massima del soggetto nel proprio ambiente di vita, quindi cercando di limitare l’impatto disabilitante che la demenza ha;

3) incentivare l’adattamento alla malattia nelle varie fasi sia della persona sia della famiglia.

Gli effetti positivi di questi approcci si riscontrano sia sul paziente che sul caregiver; inoltre bisogna sottolineare che questi approcci non hanno effetti collaterali, comepotrebbe avere un farmaco, infatti si èvisto che per esempio nella persona con demenza migliora la cognitività, quindi il funzionamento cognitivo, il benessere psicofisico, l’autonomia e fondamentalmente proprio la qualità di vita di questa persona.

Il caregiver dall’altro canto con questi interventi vede ridotto lo stress assistenziale, si riduce sensibilmente il carico oggettivo dell’assistenza del familiare con demenza, diminuendo fondamentalmente anche tutte le psicopatologie ansioso e depressivo che spesso lo accompagnano; in generale si è dimostrato anche per loro un miglioramento della qualità di vita.

Dobbiamo anche vedere che a livello del sistema socio-sanitario si riducono i costi, perché si ritarda l’istituzionalizzazione, non si somministrano i farmaci e in qualche modo si evita anche una contenzione fisica della persona.

Per concludere abbiamo visto che queste terapie sono sicuramente utili, versatili e anche convenienti da un punto di vista economico, l’utilità e l’efficacia la si vede anche nel miglioramento generale della qualità di vita del paziente e di chi se ne occupa; ad oggi però occorre avere ulteriori studi che validino e in qualche modo dimostrino l’efficacia di questi interventi, infatti il problema riguarda proprio la mancanza di ricerche e anche la difficoltà nel mettere in piedi uno studio in questo ambito, in questo settore e con questi pazienti.

Non è opportuno inseguire la novità del momento a discapito di interventi che invece sono riconosciuti, ossia quelli che poi andremo a vedere come la ROT o la CST che sono validati e riconosciuti a livello sperimentale; mentre per esempio ci sono delle terapie come la terapia del treno che sono invece in sperimentazione, di cui quindi non si hanno ancora dati certi.

Un’altra cosa da aggiungere è che non si puòimprovvisare e sperimentare un intervento senza misurarne gli effetti pre e post e la pratica clinica permette di dire che queste terapie funzionano solo se hanno senso per il paziente, non per chi lo fa (l’operatore), quindi bisogna sempre vedere la persona che si ha di fronte. 

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