INTERVENTI INNOVATIVI DI GIOCO NELL’ETÀ AVANZATA

A cura di: Giorgia Balzan

Introduzione

Gli anziani di oggi sono i nati nel dopoguerra, e si differenziano dagli anziani “di ieri” – che avevano vissuto la guerra mondiale – in quanto sono una “generazione di pace”, non hanno conosciuto la guerra. Inoltre, gli anziani di oggi sono anche cresciuti numericamente, formando una sorta di nuovo popolo dell’età avanzata, in quanto godono di due/tre decenni di vita in più: avere più tempo di vita ha conseguenze sul mondo di concepire la vita, il trascorrere dei giorni ed i relativi progetti (Paglia, 2021).

L’età avanzata è altresì un periodo di sofferenza, tanto che l’invecchiamento, che dovrebbe essere visto come un’opportunità, sta diventando la paura delle generazioni. Per la prima volta nella storia l’età avanzata sta diventando un concetto di massa: l’Italia è il secondo Paese, dopo il Giappone, con il maggior tasso di invecchiamento (Paglia, 2021). Purtroppo, riporta l’autore, l’età avanzata in Italia continua ad essere separata dalla società, relegata in un circuito separato, in quanto l’invecchiamento viene ancora stigmatizzato.

1. Il ruolo del gioco nell’età avanzata

L’età avanzata può essere vista come l’età della liberazione, dalla cura dei figli e dal lavoro. Alcuni teorici sostengono che gli anziani tendano ad isolarsi dal mondo esterno per concentrarsi sulla propria salute, altri che si dedichino a tutti gli interessi che non avevano avuto modo di seguire precedentemente: grazie al maggior tempo libero ed alla perdita di agilità mentale il gioco è estremamente adatto in questa fase di vita. A differenza dell’infanzia dove l’attività ludica supporta l’apprendimento delle abilità cognitive e sociali, nell’anziano l’obiettivo è quello di conservazione (Vargiu, 2020).

Il gioco è fondamentale negli anziani in quanto hanno esigenze di conoscenza, svago, divertimento e motricità come tutti quanti. Dai risultati di un’indagine del comune di Palermo, il gioco contribuisce a ritardare la diminuzione della massa causata dall’atrofia muscolare e l’osteoporosi, oltre a migliorare la salute dell’apparato cardiocircolatorio e respiratorio (Vargiu, 2020).

Oltre ai classici giochi come la dama e gli scacchi, continua l’autore, troviamo una valida alternativa nei videogiochi, che possono diventare simulatori della realtà, permettendo la creazione di uno stato di flow capace di stimolare l’attività fisica e di ritardare il deterioramento psico-cognitivo. Una consolle proposta agli anziani che soffrono di patologie croniche è la Nintendo Wii, in cui sono presenti una selezione di simulazioni sportive come la boxe o il tennis. È emerso che la Wii ha ridotto i tempi di recupero fisici ed ha stimolato le capacità cognitive (coordinazione motoria e visiva e memoria a breve termine), generando un miglioramento dell’umore (Vargiu, 2020).

1.1 Età avanzata e teorie dell’invecchiamento

L’invecchiamento è una trasformazione che coinvolge l’organismo in qualsiasi momento della vita: non si tratta solo di cambiamenti associati alla perdita o alla senescenza, ma anche all’acquisizione di nuove funzioni (Ferrara, Corbi, Scarpa, Rengo, Longobardi, Mazzella, & Rengo, 2005).

La principali teorie riguardanti questa fase di vita sono riprese dall’articolo di Ferrara et al (2005):

  • Teoria della regolazione genica: la durata della vita sembrerebbe dipendere principalmente da fattori genetici, piuttosto che ambientali o socioeconomici. Un’analisi dei processi dell’invecchiamento negli invertebrati rileva che le variazioni nei geni del pathway insulinico e dei sistemi accoppiati che regolano l’invecchiamento porterebbero ad identificare dei circuiti predisposti in epoca ancestrale alla regolazione della longevità;
  • Teoria evoluzionistica: l’invecchiamento dipenderebbe dalla diminuzione dell’abilità della selezione naturale. Dato che l’evoluzione ha l’obiettivo di ottimizzare la riproduzione, la longevità sarebbe un tratto genetico a beneficio della riproduzione; dunque, la durata della vita sarebbe il risultato della selezione finalizzata al miglioramento delle capacità riproduttive;
  • Teoria dei radicali liberi (RL): questa teoria ipotizza che la reattività dei radicali liberi non sia ereditaria quanto piuttosto il risultato di un danno ossidativo cellulare. I radicali liberi sarebbero coinvolti nei processi di danneggiamento associati all’invecchiamento cerebrale;
  • Teoria della senescenza cellulare: la senescenza sarebbe causata dalla perdita di telomeri (strutture composte da una sequenza di DNA posizionate al termine dei cromosomi). In ogni divisione cellulare una piccola quantità di DNA viene persa alla fine di ogni cromosoma, generando telomeri via via più corti: la lunghezza del telomero sembrerebbe dunque regolare la durata di vita della cellula replicativa e contribuendo quindi all’invecchiamento;
  • Teoria neuroendocrina: l’invecchiamento sarebbe una conseguenza causata da cambiamenti delle funzioni nervose ed endocrine che partono precisamente dall’ipotalamo. In risposta quindi ai segnali ipotalamici, l’ipofisi secerne ormoni che regolano le varie funzioni corporee e stimola le ghiandole endocrine periferiche. Con l’invecchiamento ci sarebbe quindi una riduzione nella responsività simpatica;
  • Teoria immunitaria: l’invecchiamento sarebbe patogeneticamente correlato a processi immunologici sbagliati che causano l’immunosenescenza, caratterizzata da una minore resistenza alle malattie infettive.

2. Interventi per l’età avanzata

Numerosi sono gli interventi atti al favorire il mantenimento o il recupero delle abilità psicofisiche nella tarda età. Il ruolo del professionista o dell’educatore sarà fondamentale per la corretta esecuzione delle tecniche che si andranno ad approfondire, così come è altresì fondamentale selezionare l’intervento appropriato in funzione dei bisogni e delle caratteristiche della persona (Presenti, 2013).

Investire in interventi di questo tipo permetterà di migliorare la qualità dei servizi offerti nel Paese e soprattutto di mantenere in salute, il più a lungo possibile, i portatori dei valori tradizionali e delle saggezze inestimabili, con un risparmio in termini economici, sociali e di sofferenza non indifferenti (Presenti, 2013).

2.1  La psicomotricità

La psicomotricità è un intervento che considera l’individuo in tutto il suo essere: motorio, cognitivo, emotivo ed affettivo, relazionale e l’intervento psicomotorio permette all’individuo di realizzarsi attraverso un’attività pratica e simbolica (Barbieri, Peserico & Ajmone, 2023). La psicomotricità è una disciplina che, attraverso il movimento, agisce a livello corporeo e psichico con l’obiettivo di migliorare la funzione motoria, cognitiva, affettiva, relazionale e dell’autodeterminazione (Madera, 2022).

L’intervento riabilitativo si focalizza sul “come fare”, supportando la persona ad acquisire le competenze necessarie individuate. L’obiettivo è lo sviluppo ed il potenziamento delle risorse residue, partendo dal presupposto che il movimento è relazione. La psicomotricità prevede la fusione tra le competenze cognitive, l’affettività e la motricità (Barbieri et al. 2023).

Il movimento viene inteso come espressione della persona nella sua unicità, come risposta adattiva alla realtà circostante. La psicomotricità interviene nell’aspetto psicologico-relazionale del movimento attraverso il corpo, lo strumento attraverso il quale ci interfacciamo nel mondo (Barbieri et al, 2023).

I cambiamenti che avvengono nel corso della vita coinvolgono anche lo schema corporeo: col processo di invecchiamento alcuni schemi di coordinazioni di base – come camminare, correre, afferrare – si indeboliscono, così come diminuisce l’equilibrio statico, portando spesso all’inibizione motoria. Inoltre, spesso l’anziano si ritira dai contesti sociali, si chiude in sé. L’intervento psicomotorio punta proprio a restituire al corpo il suo valore di unità, favorendo l’espressione del gesto e del movimento come segno di relazione con il mondo e come strumento di comunicazione interpersonale (Madera, & Bellotti, 2008).

Gli esami psicomotori evidenziano che, dopo un ciclo di dieci sedute, il movimento diventa più fluido e preciso e con il tono muscolare migliora anche il tono dell’umore: l’immagine di sé migliora, anche se il gesto è impreciso o il movimento è scoordinato, la persona si sente apprezzata e protagonista (Madera, 2022).

2.2  Musicoterapia

La musicoterapia si avvale dell’uso del suono e del ritmo come strumento di espressione, comunicazione e relazione. Si tratta di una disciplina giovane, combinazione di arte, scienza e processo interpersonale. Applicare la musicoterapia negli anziani ha l’obiettivo di far vivere il periodo della tarda età nelle migliori condizioni e prospettive possibili, in quanto è particolarmente adatta a riaccendere gli interessi, contribuendo alla comunicazione ed espressione (Paladino, 2021).

Un’attività di musicoterapia permette di migliorare l’umore e le interazioni sociali, contenere l’ansia, stimolare la memoria a breve e lungo termine, stimolare la motricità (fine e grossa), stimolare il linguaggio verbale, il pensiero e la creatività musicale ed infine sollecitare l’utilizzo della comunicazione non verbale (cinesica facciale/gestuale) (Cattaneo & Boni, 2016).

Può essere usata nelle persone nostalgiche, quindi incapaci di vivere un presente proiettato nel futuro: nella musica ognuno può trovare il suo linguaggio, perché libera gli individui dalle restrizioni del tempo, in cui le differenze e la stessa età avanzata possono essere visti come temporanei. Anche il cantare in gruppo è un’esperienza comunitaria che può aiutare a far dimenticare la routine quotidiana (Paladino, 2021).

L’utilizzo della musica con pazienti anziani parte dal presupposto che essi sono un deposito prezioso di conoscenze, un serbatoio di ricordo troppo spesso trascurati o sottostimati ed il bagaglio musicali che ognuno di essi porta con sé trasmette il suo vissuto, i suoi sentimenti, la sua sensibilità (Paladino, 2021).

L’attività musicoterapia si basa su una metodologia dove la persona viene accolta in una dimensione incentrata sull’utilizzo della componenti della musica: il ritmo (come stimolo motorio), la melodia (come momento di espressività) e l’armonia (sovrapposizione di suoni che si riverberano sulla sfera cognitiva) (Cattaneo & Boni, 2016).

La musicoterapia in particolare si presenta come una via privilegiata che consente di toccare il cuore dei malati d’Alzheimer: nonostante il deterioramento cognitivo, la sensibilità nei confronti della musica rimane preservata, permettendo di utilizzare la musica per stimolare i pazienti e coinvolgerli in attività gratificanti. Infine, l’aspetto relazionale consente di creare un ponte empatico tra l’individuo e il musicoterapeuta: la musicoterapia vuole “dare voce” alla persona (Paladino, 2021).

2.3  La Doll therapy e l’attaccamento

La Doll Therapy è un intervento non farmacologico che lavora sull’attaccamento con l’obiettivo di diminuire i disturbi cognitivi, comportamentali e psicologici in persone che soffrono di demenza (Noto & Landi, 2022).

L’uso terapeutico di tale strumento in contesti sanitari si basa sulla teoria dell’attaccamento di Bowlby, il quale l’ha utilizzato su persone che soffrivano di demenza, in quanto essi manifestano vissuti di perdita, separazione ed insicurezza: la bambola sarebbe il mezzo di transizione attraverso il quale essi possono trovare sicurezza ed esprimere i bisogni insoddisfatti (Mitchell & O’Donnell, 2013).

Dallo studio di Noto & Landi (2022) emerge come la Doll Therapy incida su vari fattori:

  • Aggressività ed agitazione: quando veniva utilizzata la bambola le persone si sentivano meno sole ed il possesso della bambola con sé riduce l’aggressività e l’apatia, oltre ad addormentarsi più facilmente;
  • Attaccamento: più si passa tempo in compagnia della bambola, più si attaccano ad essa, coinvolgendola nella vita quotidiana. In più, soprattutto nelle donne, emerge il senso di maternità;
  • Sicurezza di sé: le persone tendono a proteggere la bambola, accudirla, acquisendo sicurezza e soddisfazione in ciò che fanno;
  • Serenità: in seguito all’interazione con la bambola le persone appaiono più sorridenti, cambiando espressione nel momento in cui vedevano la bambola, emerge la tenerezza e la contentezza, anche tramite un miglioramento del tono di voce;
  • Miglioramento della qualità di vita: questa terapia porta ad un miglioramento della qualità di vita attraverso la riduzione dello stress ed induzione del sonno, oltre che nella comunicazione non verbale, nel contatto fisico e miglioramento nelle attività di vita quotidiana.

La stimolazione tattile, soprattutto nei casi di demenza avanzata, spesso rimane l’unica modalità di relazione attraverso cui donare benessere (Noto & Landi, 2022). Sembrerebbe, continuano Mitchell & O’Donnell, che la doll therapy promuova a ridurre comportamenti di ansia, aggressività e vagabondaggio, tipici nelle persone che soffrono di tale disturbo, oltre che – dal punto di vista sociale – migliore interazione sociale e capacità di comunicazione.

La terapia con le bambole però, concludono gli autori sopracitati, è controversa, in quanto l’utilizzo di bambole, manipolate per essere percepite come reali, può essere visto come poco dignitoso nei confronti della persona.

3.  L’importanza degli anziani nella società attuale ed il welfare generativo

Secondo gli studi demografici, nell’arco di un secolo, dal 1950 al 2050, si passerà da una percentuale di over 60 dell’8% al 22% (Pignalberi, 2021).

Gli anziani si trovano ad affrontare diverse sfide causate dall’aumento delle aspettative di vita, che a sua volta causa opportunità e sfide: vivere sempre più a lungo e in buona salute (healthy & active ageing); la sostenibilità tra il rapporto di anziani inattivi ed anziani attivi e protagonisti del proprio territorio (old age dependency ratio); lo sviluppo di carriere lavorative più lunghe (live longer work longer) (Pignalberi, 2021).

Oggi più che mai, continua l’autore, si avverte la necessità di adottare nuove politiche sociali orientate all’educazione generativa ed all’apprendimento intergenerazionale caratterizzate da un “ritorno di valori” basati sul rispetto e la partecipazione tra le diverse generazioni per la costruzione del bene comune.

Una dimensione fondamentale, continua l’autore sopracitato, è il welfare generativo, che preveda piani educativi e formativi diversificati, con una metodologia flessibile che metta al centro la persona ed il suo bagaglio di esperienze. Tale welfare prevede l’analisi dei fabbisogni del territorio, tenendo conto del patrimonio storico e culturale locale, delle persone che compongono e formano la comunità, con l’obiettivo di coltivare una “rete di sistema” orientata al bene comune ed un’identità sociale basata sul riconoscimento del significato di “multiappartenenza, di partecipazione attiva e di negoziazione dei significati”: trattasi dunque di un welfare che pone al centro principi basati sulla solidarietà e la coesione sociale tra le varie generazioni (Pignalberi, 2021).

CONCLUSIONI

In questo articolo si è fatta luce su una fascia di popolazione che spesso viene emarginata e trascurata ma che costituisce un’ampia fetta della popolazione generale, soprattutto in Italia. L’anziano è portatore di valori e saggezza inestimabile, e per questo è importante istituire delle politiche volte alla valorizzazione ed al miglioramento delle condizioni di vita, evitando l’esclusione sociale e la marginalità.

I professionisti sanitari possono applicare vari interventi di promozione della salute sociale e della riabilitazione, come la psicomotricità, la musicoterapia e, nei casi di patologia, di terapia con le bambole per favorire l’espressione del vissuto interno e migliorare il repertorio comunicativo.

BIBLIOGRAFIA

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  3. Ferrara, N., Corbi, G., Scarpa, D., Rengo, G., Longobardi, G., Mazzella, F., … & Rengo, F. (2005). Teorie dell’invecchiamento. G Gerontol, 53.
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  6. Ricerche di Psicologia, (2008/1-2).
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  9. Paglia, V. (2021). L’età da inventare. Edizioni Piemme.
  10. Paladino, P. (2021). Musicoterapia applicata ai contesti. Progetti Sonori.
  11. Pignalberi, C. (2021). Giovani, Anziani e Territorio. Promuovere pratiche di apprendimento intergenerazionale come “vettori” di benessere e inclusione sociale. Italian Journal of Special Education For Inclusion.
  12. Presenti, L. (2013). L’attività di animazione nei centri residenziali per anziani. Studium Educations.
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