IL CULTO DELL’IMMAGINE E DEL CORPO COME ESPRESSIONE DEL DISAGIO CONTEMPORANEO. Scenari narcisistici e orto-vigoressici.

A cura di Alessia Giorgi

INTRODUZIONE 

Questa attuale è una società dell’immagine senza precedenti. Mai prima d’ora si era assistito a un dilagare così repentino del mito della perfezione estetica tra la popolazione, andando talvolta ad intaccare nel profondo la veridicità e autenticità umana. L’apparire, e con esso il materialismo e il consumismo, prendono spesso il sopravvento sull’essere. Il corpo sembra voglia riflettere lo splendore del Sé narcisistico ed autocentrato. Non è raro imbattersi nel proliferare di centri estetici…in ogni angolo di paesi e città. Si riempiono sempre di più le vetrine dei social da parte di utenti di tutte le età, i lettini degli estetisti, le sale pesi delle palestre per rinvigorire il corpo, sempre meno per investire sul proprio benessere fisico e psicologico.

Qual è il rischio generale? Sempre più personaggi, sempre meno persone. C. Lasch ha coniato il termine “narcisismo culturale” per definire come sia proprio la società stessa a indirizzare le persone verso l’espressione di un’immagine gratificante e ideale di sé stessi, provocando ansia e preoccupazione affinchè questo avvenga.

Ecco sfilare allora quelli che Massimo Recalcati (2023) definisce “i protagonisti variopinti di un circo in realtà piuttosto melanconico”: corpi stressati dal fitness, ossessionati da un regime alimentare spesso estremamente salutista, abbigliati dal potere delle mode del momento e delle marche, idealizzati, ritoccati, performanti, perennemente in vetrina sui social. Ma anche affamati e sofferenti, in balìa di patologie dell’alimentazione di cui sempre più adolescenti e adulti rimangono vittime , in cui i bisogni personali si mischiano e confondono con le richieste esterne e il bombardamento di modelli fittizi e fuorvianti (ad esempio i cosiddetti “Influencer”) con i loro messaggi persuasivi possono venire percepiti come degni modelli da seguire e imitare per essere considerati ed accettati.

Il corpo è diventato la nuova religione, il nuovo feticcio da idolatrare e in cui rifugiarsi per non soccombere al richiamo di un disagio di cui prendersi cura e di cui leggere il messaggio che porta con sé. Il corpo è al centro della propria vita, da orientare al benessere e da liberare da ogni forma di discontrollo, con l’illusione di esercitare un potere che renda liberi e autonomi, ma col risultato di diventare schiavi inconsapevoli di una trappola che nel profondo tenta di esorcizzare ed allontanare lo spettro della morte, l’arrendevolezza al cambiamento che il tempo porta con sé.

1. ESPRESSIONE CORPOREA DEL NARCISISMO. UNO SGUARDO AI SOCIAL NETWORK. 

L’utilizzo di social network prevalentemente visivi come Instagram da parte della maggioranza della popolazione ha acceso i riflettori su un tema complesso e dibattuto, qual è il legame tra aspetti narcisistici della personalità, non necessariamente patologici, e modalità di percezione corporea.

Come afferma Lingiardi (2021), sottile è il confine che delimita narcisismo sano e patologico, ma comunque abita tutte le relazioni e se ne possono delineare delle differenze e dei tratti in comune.

In generale, il primo è funzionale al sostentamento dell’autostima e definisce il proprio valore senza autocelebrazioni, permeando relazioni basate sull’empatia; il secondo ha ripercussioni sugli altri con gravi implicazioni e può sfociare in comportamenti psicopatologici dalle molteplici sfaccettature, accomunate dall’assenza di empatia.

Le personalità narcisistiche si distinguono inoltre per la loro difficoltà nel ricevere piacere dagli eventi, con conseguenti indifferenza e noia. Fragilità e grandiosità; arroganza e disistima sono alcuni degli opposti termometri regolatori del vissuto narcisistico interiore.

Studi di settore hanno evidenziato come persone con tratti narcisistici cerchino e siano appagati da gratificazioni e reazioni conseguenti alla pubblicazione di foto e selfie, in quanto elementi visivi e quindi facilmente soggetti ad un’immediata reazione ed auspicate risposte di ammirazione. A caccia di cuoricini e commenti positivi, Instagram è la vetrina ideale per l’espressione di un Sé grandioso, sul versante overt, ma anche fragile ed insicuro, quindi covert, entrambi sempre in cerca di conferme ma con trame differenti legate a determinate caratteristiche di personalità.

Non è raro vedere sfilare in vetrine social adolescenti adultizzati e adulti infantilizzati congelati in espressioni corporee parziali, in pose innaturali nei più svariati contesti, sguardi persi, primo piano su volti, corpi e fisicità con lo scopo di far scattare la pioggia di consensi, cuoricini e commenti grazie anche ai filtri fotografici utilizzati per migliorare il proprio aspetto. “Io ci sono”, “Voglio essere visto”, “Mi vedo attraverso i tuoi occhi” sembrano essere i messaggi che emanano. Ne deriva un appagamento personale biologicamente dovuto alla dopamina, un neurotrasmettitore che spiega i meccanismi di azione dei comportamenti dipendenti legati alla ricompensa, e che procurano soddisfazione, quindi da ripetere, come in questo caso la pubblicazione di un post, di una foto o di un selfie per ricevere risposte di apprezzamento e gratificazione immediati.

1.2 SELFIE E NARCISISMO

Mentre la fotografia e l’autoscatto rappresentano una modalità di costruire una memoria storica da cui attingere nel tempo, con intenzioni anche estetiche ed artistiche, il selfie rappresenta il prototipo dell’esigenza di essere visti, di avere conferma della propria identità nell’attimo che si attraversa, un modo di esperire intenzionalmente il proprio corpo attraverso lo sguardo dell’altro. Videor ergo sum (Sono visto dunque sono) sostituisce il Cogito ergo sum attraverso cui Cartesio ha sintetizzato la certezza che un essere umano ha di sé stesso in quanto soggetto pensante. Secondo alcune ricerche, tra le quali cito lo studio dell’Università Swansea in collaborazione con l’Università di Milano (2018), selfie e narcisismo si condizionerebbero a vicenda: il narcisismo aumenterebbe la possibilità di scattarsi selfie così come scattarsi selfie aumenterebbe il narcisismo. Come afferma G Stanghellini (2020), in questo caso “solo l’essere visto conferisce sostanza al Sé. L’essere visto sopperisce allo scarso sentire”. E lo scarso sentire può derivare dall’atarassia dei tempi moderni, una sorta di rassegnazione agli eventi che macina imperturbabilità e sottrae emotività. P. Crepet (2024) parla di anestesia dell’anima, di cui non tutti sono consapevoli e che crea negazione da un lato e paura dall’altro. La prima conduce all’indifferenza, la seconda paralizza il percorso verso l’autenticità. Entrambi comportano la solitudine che accomuna tutte le età.

1.3 L’INCORPOREITA’ DELLE RELAZIONI ATTUALI E LE FERITE DELLA FAME D’AMORE.

Non è raro infatti al giorno d’oggi assistere o vivere rapporti con le persone sempre più fugaci, come uno “scrolling” sui social, da iniziare sull’onda delle emozioni del momento (interesse, noia, volontà di controllo, curiosità…) e da chiudere quando ci si stanca, a proprio piacimento, tra una cosa e l’altra, in perfetto stile multitasking, proprio come viene richiesto dalla società attuale. La curiosità del conoscersi e il velo di mistero che permeano le relazioni reali soprattutto al loro esordio e che costituiscono la spinta verso la loro evoluzione in qualsiasi direzione, sembrano aver perso attrattiva oppure vengono drasticamente sostituiti da informazioni visive istantanee e parziali, filtrate, incorporee, sulle rispettive vite, ammesso che tutto ciò che viene pubblicato corrisponda a realtà o sia talvolta il tentativo di gestire la propria identità anche per raccogliere consensi. G. Riva (2020) a questo proposito parla di Impression management proprio per definire l’opportunità soggettiva di modellare l’ identità on-line in maniera soddisfacente e il più possibile vicina al proprio Sé ideale, a partire dal nome che si sceglie per presentarsi al pubblico virtuale. Il seguito ottenuto dai cosiddetti Infuencer nel mondo virtuale, considerati un modello di riferimento soprattutto in una fase della vita, l’adolescenza, in cui il senso di appartenenza comincia ad essere cruciale, ma calamita attrattiva anche tra gli adulti, possono influire negativamente sia sullo sviluppo di un’adeguata consapevolezza corporea, sia sulla costruzione di un pensiero critico ed indipendente. Tranello dei giovani più fragili, tali personaggi propongono uno stile manipolativo insidioso per influenzare le scelte e le decisioni degli utenti oppure per proporre esempi di immagini corporee pericolosamente irraggiungibili e dannose. Come anche P. Crepet afferma (2024), l’età evolutiva necessita di lentezza per esperire emozioni, elaborare esperienze, creare ricordi positivi, costruire una consapevolezza corporea e un sistema valoriale adeguati. Si notano invece sempre più spesso la ricerca di un’immagine esteriore incompatibile con l’età e comportamenti dettati dalla fretta di saltare dalla nascita direttamente all’età adulta, creando forzature, vuoti di senso, non solo per le pressioni sociali di adattamento a modelli inadeguati, ma anche per lo stesso volere di adulti di riferimento in cerca di soddisfazione delle proprie esigenze. Bambini e bambine iperinvestiti di aspettative che non vogliono deludere perché temono, se ciò avvenisse, di non sentirsi meritevoli dell’affetto e della considerazione genitoriali. E’ anche su questo terreno fertile che trovano espressione i Disturbi del Comportamento Alimentare, che come M. Recalcati e la scuola psicoanalitica affermano, corrispondono a vere e proprie ferite d’amore.

Per questo non è l’appetito che va curato, ma la relazione con le figure primarie e con il contesto sociale di appartenenza che attualmente da una parte mitizza il corpo (espressione patologica dell’anoressia) e dall’altra lo consuma (bulimia), a identificare una forma di difesa dalle relazioni sul versante anoressico, dalle quali si tenta di svincolarsi e diventarne indipendenti; mentre sul versante bulimico si divora l’oggetto e se ne diventa schiavi.

2. IL CORPO ESPRESSIONE NARCISISTICA DI UN DISAGIO PROFONDO.

Il tema del narcisismo presenta affinità con i Disturbi del Comportamento Alimentare, in particolare con l’anoressia nervosa. 

I tratti in comune rilevati sono: 

• l’onnipotenza, che si manifesta attraverso il rifiuto del cibo come oggetto esterno da cui dipendere per soddisfare un bisogno primario; 

• la grandiosità, manifestata con la soddisfazione personale per le proprie condotte; 

• la ricerca di ammirazione , focalizzata sul corpo magro; 

• la scarsa autostima, mascherata dal controllo sul corpo. 

L’adolescente, in questo caso, prevalentemente di sesso femminile, mette in atto potenti meccanismi di difesa contro l’ansia e l’angoscia che le procura un corpo che cambia, ingovernabile, sfuggente alla propria volontà, un corpo che diviene estraneo ma accettabile soltanto esercitando su di esso il potere del controllo sulla quantità e qualità di cibo da introdurre e sul dispendio energetico.

Negli ultimi anni si sta assistendo all’emergere di nuove condotte problematiche legate all’alimentazione e alla cura ossessiva del corpo: ortoressia e vigoressia. Entrambe possono essere considerate nuove forme di fanatismo salutistico (C. Garano et al., 2016).

Selezione, inflessibilità, controllo: le tre parole chiave che accomunano tali condotte. Cibo e salute fisica: l’imperativo dei tempi moderni, narrati attraverso un flusso costante d’informazioni scritte e visive provenienti da diversi canali comunicativi e che hanno alterato il rapporto naturale col cibo e con l’attività fisica, al punto tale da diventare, in alcuni casi, un’ossessione.

Pullulano su diversi canali televisivi oramai da anni le più svariate trasmissioni culinarie, nonché un carosello digitale infinito di rendicontazioni fotografiche sul piatto del giorno scelto dall’utenza; innumerevoli consigli nutrizionali da parte di esperti più o meno efferati in materia si alternano ai pareri di personal trainer e coach di dubbia provenienza professionale sulla migliore integrazione alimentare per garantire ipertrofia muscolare.

La mole d’informazioni accumulate genera confusione, mentre l’aspetto fisico diventa ricerca di identità che non passa attraverso gli inciampi di un percorso di conoscenza di sé stessi sicuramente complesso e di lunga durata, con la prospettiva di risultati a lungo termine, ma attraverso una ricerca semplificata negli obiettivi e controllabile dall’esterno, manipolabile, garanzia di considerazione e attenzione.

Come spiega L. Della Ragione (Presentazione in De Pascalis, 2013) i DCA rispecchiano il disagio di un corpo teatro di conflitti e rappresentazioni, fonte di preoccupazione e di un complesso rapporto che l’essere umano ha con esso e con la propria mente.

Secondo V. Lingiardi, si può assistere oggi a due dimensioni principali intorno alle quali far ruotare il concetto e la percezione del corpo: 

un corpo iper-reale, sovrainvestito, da adattare e trasformare idealmente, legato alla dismorfofobia, completamente sottoposto al tema dell’insoddisfazione e che quindi si sottopone a misure restrittive di controllo anche attraverso strumenti (body-checking); 

un corpo irreale, sottoinvestito, svalutato, con vuoti di senso e di confini da placare con acting finalizzati a gestire l’angoscia, come avviene con le condotte bulimiche. 

Il corpo è percepito oggi quindi come una sorta di Io naturale, organico, su cui si delinea la propria individualità, espressione di ossessioni, disagi, dolori, comunicazioni da controllare per ridurne gli effetti.

2.1 ORTORESSIA E VIGORESSIA: CARATTERISTICHE. 

L’ortoressia, dal greco orthos (corretto) e orexis (appetito) può essere definita una variante del disturbo ossessivo-compulsivo, focalizzata sull’attenzione e preoccupazione eccessivi per la sana alimentazione. Pensieri persistenti sulla qualità del cibo e sulla sua preparazione, rinunce drastiche, selezione ossessiva degli alimenti caratterizzano questo disturbo.

L’individuo ortoressico plasma la propria identità e autostima sulla base di una dieta alimentare ampiamente selezionata e aspira ad un perfezionismo che in alcuni casi limita fortemente la sfera sociale, accompagnato da vissuti ansiosi e inflessibilità cognitiva.

La ricerca di cibo da lui definito “pulito” conduce verso carenze nutrizionali dettate dall’eliminazione arbitraria di nutrienti essenziali e atteggiamenti di superiorità morale rispetto a chi non adotta le stesse scelte alimentari.

Come spiega De Pascalis (2020), l’età media d’insorgenza del disturbo è tra i 25 e i 30 anni; questo dato si differenzia nettamente con altre tipologie di dca (anoressia e bulimia nervosa) in cui i soggetti a rischio hanno un’età compresa nel range adolescenziale.

Il settore del fitness rappresenta terreno d’elezione dello sviluppo di tale condotta, che non di rado è strettamente correlata alla vigoressia, dal greco vigor (forza) e orexis (appetito), da tradurre quindi come “fame di forza”. Si tratta della costruzione della propria identità attraverso l’esaperazione della forza muscolare. Può essere definita una variante del dismorfismo corporeo o dismorfofobia ( ossia la preoccupazone eccessiva per alcuni minimi o assenti difetti fisici). Secondo il DSM 5, Consiste nella “distorta percezione del proprio corpo che la preoccupazione ossessiva che questo non sia abbastanza muscoloso, con conseguente compulsione all’esercizio fisico”.

Obiettivo è il condurre il corpo ad un vigore estremo, con grave compromissione della salute. Pope et al.hanno descritto per la prima volta la vigoressia nel 1993 definendola come reverse anorexia, in quanto i soggetti colpiti anziché orientati verso la definizione di un corpo magro, appaiono ipertrofici pur percependosi come ipotonici e flaccidi, alla continua ricerca di obiettivi superiori da raggiungere.

Come avviene per l’ortoressia, nella forma più estrema la socializzazione avviene solo con chi abbraccia il medesimo stile comportamentale, conducendo a isolamento e ossessioni pervasive sul proprio fisico. Il focus del problema è, per chi ne soffre, di difficile consapevolizzazione.

La concezione orto-vigoressica plasma l’imperativo del corpo magro, muscoloso e in salute, occupando i pensieri di persone che lo investono di aspettative e lo trasformano in un oggetto di controllo costante nettamente separato da qualsiasi intenzionalità seduttiva. E’ percepito come qualcosa di esterno a sé, quindi modellabile anche a seconda delle richieste e delle pressioni esterne, orientate al perfezionismo. Una scarsa autostima è fortemente implicata nell’adozione di queste condotte, che possono essere agite anche come sistemi di compensazione (realizzazione fisica) verso ciò di cui ci si ritiene manchevoli (De Pascalis, 2013).

2.2 UNA NUOVA E DISTORTA CONCEZIONE DELLA FEMMINILITA’ 

Ortoressia e vigoressia: non semplici concezioni salutistiche orientate al benessere fisico e mentale attraverso una dieta alimentare sana e uno stile di vita attivo, piuttosto condizioni di disagio e compromissione della salute fisica ed emotiva che inficia la qualità della vita.

Tali disturbi colpiscono principalmente giovani adulti di sesso maschile, body builder, amanti di sport estremi, ma sono in aumento tra la popolazione femminile, per la quale la ricerca ossessiva della perfezione fisica ha cominciato a sostituire l’obiettivo della magrezza, territorio insidioso dell’anoressia nervosa.

Il corpo non è più mortificato dal digiuno, quindi nascosto, piuttosto esaltato ed al centro dell’attenzione. Il coinvolgimento femminile in questi disturbi, a partire dall’adolescenza, come E. Riva afferma (2022), sembra trovare spiegazione nella negazione della femminilità nei suoi aspetti fisici ed emotivi tradizionalmente caratterizzanti, rivendicando indipendenza, forza, autonomia ed efficienza al pari dell’ideale maschile.

Il corpo non è più gabbia dell’anima ma specchio dell’eccellenza del nuovo sé femminile, imprigionato in una corazza muscolare per non sentire il peso delle fragilità interiori che minano la costruzione di un sé identitario autonomo. Alle prese con snodi evolutivi cruciali, queste giovani cercano di conformarsi alle aspettative esterne d’eccellenza ripiegandosi su sé stesse narcisisticamente; in questo modo cercano di costruire un corpo idealmente perfetto al riparo dalla possibilità di sviluppare un Io dipendente e vulnerabile, a discapito dello sviluppo dell’ autenticità femminile che necessita inevitabilmente di desideri e bisogni innati da soddisfare.

A proposito di costruzione dell’identità, M. Recalcati (2023) ne critica il principio, affermando che un iperinvestimento sull’Io e sui suoi confini scatena un suo rafforzamento tale da provocare il disagio o il disturbo psichico. Più l’Io si rafforza con i più svariati tentativi, in questo caso dettati dalle condotte sopra descritte, più emerge sofferenza, s’irrigidisce e si piega alle volontà narcisistiche e conformiste, non lasciando spazio ai desideri che scaturiscono dall’inconscio e che lasciano emergere il nuovo e l’inatteso in maniera permeabile.

Quanto affermato riflette clinicamente l’impatto della società contemporanea che esalta modelli prestazionali e performanti efficienti, una cultura individualista ed autocentrata, accelerata nelle azioni e per questo spesso sfuggente e “liquida” come afferma Bauman, plasmata sul perfezionismo che inevitabilmente rende infelici poiché, oltre che impossibile da raggiungere, condanna alla solitudine e all’appiattimento del desiderio e del pensiero critico. Ancora una volta, i social media rappresentano una vetrina in cui tale tentativo di perfezionismo viene ostentato e reso accattivante.

3. COME AFFRONTARE IL DISAGIO: IL LEGAME TRA PREVENZIONE ED APPROCCI TERAPEUTICI. 

Attualmente il trattamento multidisciplinare, la terapia cognitivo-comportamentale e quella psicodinamica rappresentano gli approcci clinici d’eccellenza per affrontare le condotte alimentari sopra descritte e i disagi ad esse associati, ma essenziale è considerare la persona nella sua interezza, non semplicemente come espressione di sintomi da debellare, in quanto proprio quegli stessi sintomi sono espressione di meccanismi di difesa, di storie di vita, di temperamenti, di un personale rapporto con la realtà che definiscono la persona nella sua interezza.

Curare con le parole e/o attraverso modalità espressive alternative, avvicina al riconoscimento di quelle emozioni confuse, sopite, sconosciute che danno corpo alla costruzione dell’identità e a cui conferiscono un senso. L’educazione ad un vocabolario delle proprie emozioni, ossia finalizzato a descrivere come ci si sente, come afferma V. Lingiardi, conduce non solo ad un processo di autoconoscenza ma costituisce uno spazio relazionale, in quanto lo si agisce con un’altra persona in un contesto di alleanza.

E’ importante allora riflettere come tale alleanza terapeutica possa considerarsi anche propedeutica per instaurare relazioni all’esterno del setting che siano significative, co-costruttive e che possano coinvolgere tutta la famiglia.

A partire dalla relazione con sé stessi che inevitabilmente si proietta sul corpo e sul cibo, spesso a raccontare un dolore psichico profondo che niente ha a che fare con quel piacere scaturito dall’esperienza multisensoriale che alimentazione e attività fisica dovrebbero apportare. Ma a tanto può condurre la prevenzione. Ad esempio, educare alla sensibilità artistica come espressione autentica di sé stessi sposta l’attenzione dall’esteriorità così prepotentemente proposta all’interiorità così ingiustamente trascurata. In che modo? Potrebbe essere interessante far entrare nelle scuole in maniera più incisiva e coinvolgente l’arte, la pittura, la musica, il cinema, il teatro, la danza …sottoforma di attività laboratoriali che traghettano in maniera eccellente le materie scolastiche e che offrono agli studenti la possibilità di sperimentare e sperimentarsi attraverso i sensi integrando le varie esperienze, le emozioni e l’empatia, proprio in quella fase della vita in cui la ricerca e la costruzione di un’identità personale e corporea necessita di stimoli adeguati per la conoscenza di sé.

Promuovere progetti scolastici o iniziative divulgative centrati sull’alimentazione, al contrario, può non sortire gli effetti sperati: essendo l’argomento altamente idealizzato ed investito di significati da chi presenta fattori di rischio per lo sviluppo di condotte alimentari patologiche, queste potrebbero slatentizzarsi, emergere oppure esacerbarsi se in corso.

A tal proposito, M. Recalcati (2019) cita la frase “L’insistenza genera resistenza” di C. Lasegue: il soggetto coinvolto nel ricevere indicazioni comportamentali sull’alimentazione, può percepire un superamento dei confini privati rispetto alla sua volontà di azione, al punto tale da opporre ancora più resistenza e rigetto verso l’oggetto (il cibo) e il cambiamento di condotta.

CONCLUSIONI

Sperimentare il corpo e la corporeità preserva dall’utilizzarlo solo sui social o dallo stremarlo di rinunce alimentari ed attività fisica. Al giorno d’oggi c’è povertà di affettività condivisa, di attenzione l’uno verso l’altro, con ripercussioni sul sentire corporeo.

La società individualista odierna spinge a pensare ai soli modi per stare bene con sé stessi, lasciando strascichi di egoismo nei rapporti interpersonali. Ognuno nella propria isola col cellulare in mano, sempre più soli e sempre più connessi, a volte si difendono strenuamente i propri spazi personali lasciando fuori l’altro, in quanto percepito spesso come minaccia alla propria libertà e individualità.

L’impatto dei social network e degli attori che li abitano nell’esperire sé stessi e il proprio corpo è rilevante e ancora più insidioso in età evolutiva. Il bombardamento di immagini visive a cui si è sottoposti crea assuefazione, che a sua volta esaspera a tutte le età il giudizio sociale: si osserva l’altro, lo si scruta, lo si giudica secondo canoni e giudizi estetici, scaturiti anche da un confronto ritenuto ideale con quelli che si ritiene siano modelli di riferimento esterni.

L’interiorità passa inevitabilmente in secondo piano, mentre si aspira alla perfezione del corpo come via preferenziale e risposta difensiva al crescente disagio contemporaneo. Una vita vissuta allo specchio, con l’ombra del controllo su di sé e sulle proprie emozioni, è espressione di un disagio. Cosa succederà quando gli specchi si romperanno? Sarà impossibile che continueranno a riflettere quell’immagine a cui ci si è aggrappati, emergeranno paure, fantasmi, stati d’animo, maschere, ognuno a portare un messaggio… chi sarà pronto a leggerlo? 

BIBLIOGRAFIA 

  • Crepet P., Mordere il cielo. Mondadori, 2024. De Pascalis P., Ortoressia. Quando il cibo diventa ossessione. 
  • Armando ed., 2020. De Pascalis P., Vigoressia. Quando il fitness diventa ossessione. Il Pensiero Scientifico ed. 2013. 
  • Garano C., Dettori M, Barucca M., Ortoressia e vigoressia: due nuove forme di fanatismo? Cognitivismo clinico, (2016), 13, 1, 185-200. Lasch C., La cultura del narcisismo. Neri Pozza, 2020. 
  • Lingiardi V., Arcipelago N. Variazioni sul narcisismo, Einaudi, 2021. Recalcati M., Alimentare il desiderio, Raffaello Cortina ed., 2019.
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  • V. Lingiardi, 2024, Quando il cibo racconta il dolore psichico, www.youtube.com