Il corpo che danza: alla scoperta di sé stessi

A cura di Chiara Mariagrazia Giarrusso

L’articolo analizza l‘evoluzione della funzione della danza nel contesto occidentale attraverso un excursus storico che si estende fino ai giorni nostri e che pone particolare attenzione al linguaggio del corpo a livello personale, collettivo e psicologico.

Sin dai tempi antichi, ben prima dell’avvento della scrittura, la danza ha rappresentato una forma primaria di comunicazione per l’essere umano, evolvendosi successivamente in una forma d’arte e di espressione corporea. Etimologicamente, il termine “danza” si traduce in “comunicazione sacra”. Inizialmente, sul piano simbolico, la danza svolgeva una funzione spirituale di mediazione tra l’uomo e le forze cosmiche. In contesti tribali, invece, essa accompagnava i rituali sacri, come l’evocazione di divinità o l’esorcizzazione di paure collettive, e quelli di passaggio, come il transito dall’infanzia all’età adulta.

Con il progredire delle civiltà, le pratiche coreutiche sono state sistematizzate e codificate, permettendole così di svilupparsi in forme altamente strutturate e finalizzate, non solo a scopi ricreativi o ritualistici, ma anche come discipline artistiche autonome, caratterizzate da un elevato grado di formalizzazione e consapevolezza estetica.

All’inizio del XX secolo, è emersa una distinzione tra l’immagine corporea, intesa come esperienza percettiva e soggettiva del proprio corpo (che può includere soddisfazione o insoddisfazione rispetto al corpo percepito), e lo schema corporeo (che rappresenta la percezione del corpo nello spazio), il quale consente l’orientamento verso il mondo esterno.

La seconda parte dell’articolo approfondisce i disturbi relativi allo schema corporeo e, in particolare, quelli legati all’immagine corporea. Si analizza inoltre come la capacità di integrare mente e corpo nel linguaggio possa facilitare un’espressività che riflette benessere ed efficacia comunicativa.

La terza parte dell’articolo esamina la danza come strumento di cura psicologica. Nel corso del Novecento, il pensiero psicoanalitico ha influenzato il panorama artistico, identificando nella danza un’alternativa terapeutica alla parola per l’esplorazione dell’inconscio. Questo approccio ha evidenziato come i segnali non verbali, quali lo sguardo, il tono della voce, le espressioni facciali e i movimenti del corpo, possano riflettere stati di disagio (ad esempio una muscolatura rigida) o di benessere (come l’apertura del petto). È così emersa la Danza Movimento Terapia (DMT) come uno strumento efficace per l’auto-esplorazione di disturbi psichici. Di conseguenza la danza non strutturata e non competitiva può essere integrata in percorsi di crescita personale e psicologica. In tale contesto, la Biodanza (o Terapia Del Benessere) si propone come un metodo che combina movimento, musica e interazione di gruppo per promuovere l’armonia tra corpo e mente, favorendo lo sviluppo delle capacità emotive e relazionali.

1. La metamorfosi della danza: dalle origini ai giorni nostri

La danza, termine che deriva dal francese “danse” e dal verbo latino “dare” (inteso come offrire), possiede diverse sfumature religiose, simboliche e culturali. In assenza di una lingua scritta, la danza era un mezzo fondamentale per scandire e tramandare attività e conoscenze attraverso un linguaggio unico. Essa facilitava la fusione tra corpo e anima, benessere e guarigione, fertilità e iniziazione, connessione con i defunti, celebrazione o esorcizzazione delle forze naturali, e il successo nella caccia e nella guerra (Sachs, 2015).

Le prime danze astrali, di fertilità e funebri risalgono al Paleolitico, periodo in cui l’origine dell’universo era attribuita al movimento armonico del corpo, collegato a fenomeni celesti o miti cosmogonici. Simbolicamente, il cerchio rappresentava il ciclo della vita, e nell’arte raffigurava l’equilibrio tra corpo e psiche, tra uomo e creato. Pertanto, molte danze primigenie si basavano su movimenti semplici e ritmici, sull’uso di maschere e costumi, e sull’esecuzione in cerchio, che simboleggiava il possesso dell’oggetto circoscritto (Morel, 2007).

La danza figurativa (o simbolica) tendeva ad anticipare eventi attraverso pantomime, come imitare l’animale da cacciare per garantirne la buona riuscita. Basandosi sull’osservazione del mondo esterno e comportandosi come l’essere che rappresentava, il danzatore diventava l’animale, lo spirito o la divinità. Al contrario, la danza astratta (o metaforica) era eseguita principalmente dalle donne ed elevava la danzatrice a uno stato trascendentale. Ogni comunità eseguiva entrambe le tipologie di danza con caratteristiche distintive. Nelle tribù, la danza rafforzava il senso di collettività e identità. I danzatori scelti dalla comunità avevano un ruolo importante e dovevano attenersi al rispetto delle regole di esecuzione e avere una perfetta padronanza dei movimenti. I danzatori più anziani insegnavano e tramandavano ai giovani danzatori i corretti passi da eseguire nei rituali pubblici.

Durante il Medioevo, la funzione della danza e la percezione del corpo subirono profondi cambiamenti, poiché l’unione tra corpo e anima, esaltata nel mondo classico, venne spezzata tramite pratiche di umiliazione e digiuno corporeo, finalizzate alla salvezza dell’anima (Pontremoli, 2014).

Nel Tardo Medioevo emersero le danze macabre, allegorie del ciclo interrotto di morte e rinascita. Queste danze venivano eseguite di notte come rito di difesa contro l’angoscia della morte.

Nel XIII secolo nacquero danze come la carola e il saltarello, caratterizzate da movimenti semplici e ripetitivi, compiute durante feste e celebrazioni (Le Goff, 2008).

Durante il Rinascimento, le danze di corte, come pavane e galliarde, accompagnate da musica strumentale, rappresentavano le prime forme coreografiche.

Nel periodo barocco, il minuetto e la gavotta incarnavano l’eleganza delle corti europee e dei teatri, mentre il balletto si affermò come forma d’arte.

Nel XVII secolo, in Francia e Italia, si abbandonarono temi mitologici e storici in favore del regno della fiaba, con coreografie elaborate e tecniche rigorose che introdussero l’uso delle scarpette a punta.

All’inizio del XIX secolo, la danza iniziò ad enfatizzare la leggerezza, evolvendosi man mano in una forma meno rigida e più naturale. Ispirandosi ai concetti junghiani di simbolo, mito e archetipo, Martha Graham (1894-1991) divenne un punto di riferimento per la danza moderna americana. Infatti le sue coreografie esploravano i moti inconsci dell’anima attraverso movimenti angolosi, energetici e sensuali, utilizzando la tecnica della contrazione-distensione (Lowen, 2016).

Un’altra figura influente fu Isadora Duncan (1878-1927) che rifiutò i costumi tradizionali a favore di una veste semplice, per esaltare i movimenti e le forme del corpo. Oggi il balletto è più atletico e diversificato e include una varietà di generi e stili, dalla danza classica a quella moderna e contemporanea.

Nel XX secolo, la danza d’improvvisazione, influenzata dalla musica jazz e quella afroamericana, prese piede negli Stati Uniti, diventando centrale nei musical cinematografici. Il danzatore contemporaneo è diventato il coreografo di sé stesso, con l’improvvisazione al centro della performance. Una forma moderna di danza contemporanea è il Contact Improvisation, sviluppata da Steve Paxton, la quale esplora nuove possibilità di movimento attraverso il contatto fisico e lo scambio di peso corporeo.

Negli anni ’70, con la cultura hip hop, emersero nuovi stili di danza come breaking, popping e locking. La cultura latinoamericana influenzò l’Occidente con balli di coppia come il tango, la samba, la bachata e la salsa. Danze come il valzer e il foxtrot venivano eseguite in contesti sociali e formali.

Oggi, le danze artistiche e di coppia, come le danze caraibiche e afro-latine, combinano arte e sport, trasformandosi in vere e proprie danze sportive. Pionieri come Willi Ninja (1961-2006) influenzarono stili come il voguing, mentre il krumping, nato a Los Angeles, rifletteva influenze africane e gospel con movimenti energici e narrativi. Le danze urbane, spesso eseguite in battaglie di ballo e competizioni, diventano potenti mezzi di espressione per affrontare temi sociali e politici (Motterle, 2009).

2. L’evoluzione della danza a scopo terapeutico

Negli anni ’40, alcune ballerine di danza moderna scoprirono gli effetti terapeutici del movimento e dell’espressione corporea. La danza-terapia si sviluppò sotto l’influenza del pensiero psicoanalitico, incorporando concetti freudiani, l’analisi junghiana del profondo, la psicologia dell’Io di Heinz Hartmann, l’idea di “corazza difensiva” di Wilhelm Reich e lo studio dello sviluppo della personalità come intreccio relazionale di Harry Stack Sullivan.

Una figura chiave in questo ambito fu Marian Chase (1896-1970), una danzatrice statunitense che lavorò con bambini affetti da disturbi della comunicazione e del comportamento. Chase iniziò a operare presso il St. Elizabeth’s Hospital di Washington, dove riuscì a integrare il ruolo del danza-terapeuta nell’équipe curante. Attraverso il movimento simbolico e ritmico, permise ai suoi pazienti di esternare sentimenti che non trovavano espressione nel discorso razionale.

Trudi Schoop (1903-1999), una danzatrice di origine svizzera, lavorò presso il Camarillo State Mental Hospital di Los Angeles con pazienti psicotici. Schoop sottolineò un parallelismo tra disorganizzazione psichica e disorganizzazione del movimento, e propose una riorganizzazione mentale attraverso una struttura coreografica partendo da danze semplici, un processo che evolve dall’espressione corporea a quella psichica (esprimere con il corpo ciò che è troppo doloroso e difficile da dire).

Mary Starks Whitehouse (1911-1979), un’altra importante danzatrice statunitense, lavorò con soggetti nevrotici, concentrandosi sulle dinamiche interiori. Il suo metodo, ispirato all’immaginazione attiva junghiana, venne chiamato Movimento Autentico e promuoveva l’uso di movimenti spontanei e l’esplorazione del materiale inconscio. Questo approccio pose le basi della Danza Movimento Terapia Psicodinamica, portando alla fondazione del Dipartimento di Danza Movimento Terapia di Art Therapy Italiana.

Dopo aver studiato i rituali delle società primitive, Herns Duplan (1959-1965), un danzatore haitiano, sviluppò l’approccio Expression Primitive, che venne poi applicato in ambito psicoterapeutico dalla sua allieva France Schott-Billman.

Negli anni ’90, Vincenzo Bellia, psichiatra e danza-terapeuta, sistematizzò la Danza Movimento Terapia Espressivo-Relazionale (DMT-ER), un approccio che arricchisce lo schema corporeo (integrando sensazioni termiche, tattili, dolorifiche e posturali) e aiuta a prendere coscienza delle emozioni che causano blocchi emotivi (Bellia, 2021).

2.1 Il corpo e il suo linguaggio: immagine corporea e schema corporeo

La formazione dell’immagine corporea è un processo complesso che inizia già nella prima infanzia.

Difatti secondo Jean Piaget (1896-1980), prima di acquisire un linguaggio strutturato, gli esseri umani utilizzano le capacità sensoriali e motorie per esplorare e interagire con l’ambiente. È proprio questa funzione motoria a consentire ai neonati di conoscere sé stessi, gli altri e il contesto circostante. L’immagine corporea, dunque, rappresenta una costruzione soggettiva di come ogni individuo vede e sente il proprio corpo. Questa percezione è influenzata da vari fattori esterni quali: le relazioni sociali e familiari, l’uso dei social network, gli stimoli sensoriali e termici, le esperienze personali e quelle di gruppo. Essendo soggettiva, l’immagine corporea può discostarsi significativamente dalla realtà oggettiva.

Essa la si può considerare come una rappresentazione tridimensionale composta da: immagine somatica estetica, sé corporeo e memoria corporea. Tale percezione può riguardare dimensioni, forma, peso e aspetto generale, portando, ad esempio, una persona a vedersi più magra o più grassa di quanto sia realmente.

Le emozioni associate all’immagine corporea variano dalla soddisfazione e orgoglio alla vergogna, ansia e depressione. Una percezione negativa del proprio corpo può influire negativamente sulla salute mentale, portando a bassa autostima, ansia sociale e disturbi alimentari. Individui con una percezione negativa del proprio corpo possono adottare comportamenti dannosi, quali regimi dietetici estremi, esercizio fisico eccessivo, o l’evitamento di situazioni sociali in cui il corpo potrebbe essere esposto.

La psicologia distingue tra schema corporeo e immagine corporea. Lo schema corporeo è una rappresentazione oggettiva che permette di conoscere la posizione delle diverse parti del corpo nello spazio. Danni a questo schema (come lesioni cerebrali) possono impedire il riconoscimento della localizzazione di un punto stimolato del corpo, spiegando deficit come l’autotopoagnosia, l’alloestesia, le allucinazioni cenestesiche, il disorientamento destra-sinistra, l’agnosia digitale, l’emisomatoagnosia e la somatoparafrenia (Schilder, 2007; Vallar e Papagno, 2011).

Le distorsioni cognitive, invece, alterano l’immagine corporea e sono alla base dei disturbi alimentari e del dismorfismo corporeo. Questi disturbi portano a sentimenti di vergogna legati a convinzioni negative sulle imperfezioni fisiche, causando comportamenti ossessivi come guardarsi allo specchio, curare eccessivamente l’aspetto, stuzzicarsi la pelle e confrontarsi con gli altri. Nel caso dei ballerini può presentarsi il rischio di anoressia atletica, caratterizzata da perdita di peso dovuta a esercizio fisico eccessivo, e che si distingue dall’anoressia nervosa poiché quest’ultima è invece legata a un’alimentazione restrittiva. Tuttavia, l’anoressia atletica non soddisfa pienamente i criteri per i disturbi del comportamento alimentare e viene considerata un disturbo dell’alimentazione non altrimenti specificato. La Danza Movimento Terapia (DMT) ha dimostrato effetti benefici nei soggetti con alterazioni dell’immagine corporea. In un contesto di gruppo, la DMT facilita un processo di autoconoscenza in relazione agli altri e di migliorare la propria consapevolezza corporea e l’accettazione di sé.

2.2 La trasformazione dell’immagine corporea nel danzatore

Nella danza l’educazione al movimento favorisce la conoscenza di sé e il contatto fisico aumenta l’autostima e il senso di efficacia personale. Questo processo permette di assimilare meglio le proprie potenzialità, vivendo il corpo come una risorsa da allenare e potenziare. La fiducia di base si accresce attraverso l’evoluzione della fisicità e la consapevolezza corporea viene acquisita gradualmente tramite imitazione, competizione e mimesi.

La scuola di danza diventa una “base sicura” per condividere passioni comuni. Alcune ricerche mostrano che la scelta dello stile di danza è associata ai tratti di personalità. Ad esempio, l’estroversione è correlata a movimenti energetici della testa e delle braccia, mentre la coscienziosità è tipica di chi privilegia movimenti ampi delle mani e tende a dominare lo spazio di danza. La gradevolezza si associa a movimenti lenti delle mani, la nevrosi a movimenti scattanti in uno spazio ristretto, e l’introversione a un contenimento nell’espressione emotiva durante la danza. Lo stile di danza (e il look che esso comporta) è associato anche all’atteggiamento e modalità di relazione sociale.

Un’indagine ha dimostrato che i ballerini di latino-americano mostrano un temperamento gioioso, carismatico ed estroverso, con un aspetto curato ed eccentrico. In contrasto, i ballerini di hip hop tendono a essere meno socievoli e più ribelli, preferendo interagire solo con altri ballerini dello stesso stile. I ballerini di rock’n’roll esprimono le loro idee attraverso la danza e adottano un look alternativo. I ballerini di danza moderna, invece, sono caratterizzati da perfezionismo, concentrazione, dedizione all’allenamento e attenzione alla forma fisica (Luck, Saarikallio, Burger, Thompson & Toiviainen, 2010).

Inoltre, la danza potenzia e integra diverse regioni cerebrali. Nei danzatori, l’attivazione del lobo frontale è significativa poiché è coinvolta nei processi di apprendimento e memoria. Il lobo parietale destro, responsabile delle attività visuo-spaziali, e il lobo temporale, associato al riconoscimento visivo, alle emozioni, alla memoria e ai suoni, sono anch’essi maggiormente attivati. Infine, il cervelletto, cruciale per la postura e l’equilibrio, gioca un ruolo fondamentale (Vallar & Papagno, 2011).

Howard Gardner (1983), nella sua Teoria delle Intelligenze Multiple, identifica sette tipi di intelligenza: linguistico-verbale, logico-matematica, visivo-spaziale, musicale, corporeo-cinestetica, interpersonale e intrapersonale. La danza, secondo Gardner, è uno strumento interculturale straordinario, rappresentando una delle forme di comunicazione più antiche e profonde che affermano i valori estetici di una società. In particolare, l’intelligenza cinestetico-corporea è preminente nei danzatori, che attraverso ampi movimenti fisici comunicano emozioni e storie al pubblico. Il linguaggio non verbale, dominante e primordiale rispetto a quello verbale, è fondamentale nella danza. Esso permette una comunicazione personale e soggettiva che trascende le parole. Studi mostrano che le donne sono generalmente più abili nel codificare e decodificare i messaggi paralinguistici rispetto agli uomini, dimostrando maggiore espressività e connessione visiva con l’interlocutore (Bonaiuto e Montacchiolo 2008).

Nella danza, l’interazione tra i ballerini è cruciale, specialmente in balli di coppia come la salsa, dove l’uomo guida la donna bilanciando pressioni e movimenti. Questo richiede una sintonia affettiva e una profonda fiducia reciproca. La propriocezione, ovvero la consapevolezza del proprio corpo e dei suoi movimenti nello spazio, è essenziale. I danzatori sviluppano questa abilità attraverso l’uso dello specchio in sala, che funge da strumento di auto-valutazione e miglioramento continuo (Bassetti, 2009). Nella salsa i partner si muovono come un’unità a sé stante e nello stesso momento effettuano anche dei momenti di stacco, detti pasitos. In questo stile di danza la coppia impara a gestire, anche in termini motorio-posturali, queste oscillazioni tra l’incontro e lo stacco. I ballerini di salsa portoricana seguono una linea immaginaria per cambiare la loro posizione nello spazio. Il contatto, con gli altri e con la musica, e la sua modulazione rappresentano dunque dei principi fondamentali del ballo in coppia. La proprio-visualizzazione è un elemento chiave, in quanto i danzatori immaginano i movimenti ideali che vogliono eseguire, ispirandosi alle indicazioni del maestro.

Come viene descritto da George Herber (1966), questo processo coinvolge la riflessività in azione, in cui l’Io (l’agente esperiente) e il Me (l’immagine riflessa che di sé stesso forma) coesistono in un’unica temporalità durante l’atto performativo. Attraverso la propriocezione, la proprio-visione e la proprio-visualizzazione, i danzatori affinano le loro capacità tecniche ed espressive, integrando mente e corpo in un’armonia creativa (Battacchi, 2004; Bellia, 2012; Carroll & Bandura, 1982). 

2.3 Biodanza

Alla fine degli anni’60, lo psicologo e antropologo Rolando Toro Araneda (1924-2010) sperimenta, per la prima volta, la biodanza presso l’Ospedale Psichiatrico di Santiago e l’Istituto di Estetica dell’Università Cattolica del Cile.

Dal greco bios (vita) e danza (intesa come movimento autentico), la biodanza nasce come approccio innovativo, la quale favorisce il contatto con le proprie emozioni e il desiderio di condividerle con la comunità (gruppo di appartenenza) senza seguire modelli rigidi se non la musica, la voce e il proprio, semplice e spontaneo movimento nello spazio.

La biodanza non può essere definita una terapia clinica nel senso tradizionale del termine ma piuttosto una terapia del benessere. Difatti, essa mira a espandere il repertorio motorio, stimolare la creatività e promuovere la gioia di vivere. Gli esercizi selezionati sono specificamente progettati per favorire la fluidità del movimento, ovvero la continuità e l’armonia. A differenza della danza convenzionale, la biodanza è finalizzata a recuperare una dimensione esistenziale più ampia, permettendo agli individui di interagire pienamente nel momento presente ed esprimere autenticamente se stessi.

Oltre a ciò educa gli individui a connettersi con l’ambiente e a recuperare il senso di appartenenza alla natura, riconoscendosi come parte di un sistema vivente che respira e cresce. Il corso di biodanza è destinato a tutte le fasce d’età e si svolge in gruppo, attraverso sessioni settimanali di circa due ore. Il corso è condotto da un operatore, chiamato anche facilitatore, che supporta la pratica e il percorso dei partecipanti. I gruppi possono essere costituiti in base a caratteristiche specifiche (come ad esempio coppie) oppure essere eterogenei.

All’interno del gruppo si instaura gradualmente un clima di non giudizio verso sé stessi e gli altri, che permette ai membri di esprimere liberamente le proprie emozioni e rafforzare l’autostima (Giannelli, Giannino e Mingarelli, 2015).

La scelta dei brani musicali è fondamentale, ove le melodie lente stimolano il sistema nervoso parasimpatico e favoriscono la capacità di percezione cenestesica. In breve la musica ha la funzione di facilitare l’ascolto del proprio corpo, considerato esso stesso una fonte musicale.

La biodanza viene anche definita terapia del contatto, proprio perché agevola il processo di interazione tra sé e gli altri. Tra le attività si inseriscono anche dei giochi di gruppo, come, ad esempio, la ronda, in cui si danza a ritmo di musica, cercando di sintonizzare le movenze con quelle dei compagni (Casadio, 2007). 

La biodanza e la danza movimento terapia sono due discipline che utilizzano il movimento per promuovere il benessere psicofisico ma presentano delle differenze significative in termini di: origini (la prima nasce in Cile negli anni’60 mentre la seconda alla fine degli anni’40 negli Stati Uniti); metodologie (una è focalizzata sulla vivencia e spontaneità, l’altra è più strutturata e prettamente clinica) e obiettivi (benessere personale e coesione di gruppo versus supporto psicologico e riabilitativo in disturbi anche gravi).

Conclusioni

Nel presente articolo è stata condotta un’analisi approfondita del ruolo della danza nelle principali fasi storiche e nella scoperta del proprio sé corporeo, con particolare attenzione alle teorie fondamentali che la supportano anche come strumento di cura del benessere psichico.

Si è approfondito come la danza utilizzi la musica, il ritmo e il movimento corporeo per accompagnare l’essere umano nel misterioso viaggio intra e interpersonale.

Nella seconda parte dell’articolo si è esaminato il concetto secondo cui il corpo è inevitabilmente un mezzo di comunicazione, il cui linguaggio può essere paragonato a una danza collettiva che si svolge ogni volta che i corpi sono in presenza l’uno dell’altro. Attraverso i movimenti, i gesti e le espressioni corporee, chi danza può trasmettere emozioni, raccontare storie e connettersi con sé stesso, con il gruppo o con il pubblico a un livello profondo e intuitivo. Pertanto, il corpo umano è considerato un corpo sociale, appartenente a una società specifica che ne determina le forme e i colori. Esso riflette la cultura circostante, che lo modella secondo l’estetica prevalente del tempo.

La terza parte si conclude con l’evolversi dell’immagine corporea durante il ciclo di vita e durante la carriera del danzatore e con l’approfondire gli effetti benefici della biodanza. 

«Ama non te stesso nell’arte ma l’arte in te stesso».

Konstantin Sergeevi? Stanislavskij (regista e attore russo)

Bibliografia

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  • Bonaiuto, M.; Mariacchiolo, F. (2008). La comunicazione non verbale, Roma: Carocci.
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  • Morel, C. (2007). Dizionario dei simboli, dei miti e delle credenze, Firenze: Giunti.
  • Pontremoli, A. (2014). Storia della danza: dal Medioevo ai giorni nostri, Firenze: Le Lettere. 
  • Sachs, C. (2015). Storia della danza, trad. it., Milano: Il Saggiatore.
  • Schilder, P. (2007). Immagine di sé e schema corporeo, trad. it., Milano: Franco Angeli. 
  • Toro, R. (2000). Biodanza. Integrazione esistenziale e sviluppo umano attraverso la musica, il movimento, l’espressione delle emozioni, trad. it., Como: Red.
  • Vallar G.; Papagno, C. (2011). Manuale di neuropsicologia, Bologna: Il Mulino. 

Articoli in italiano

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  • Bellia, V. (2012). Un corpo tra altri corpi: introduzione alla Danza Movimento Terapia Espressivo-Relazionale, La rivista dell’arte, 1, pp. 42-47.
  • Casadio, I. (2007). Riconciliarsi con la vita attraverso la biodanza, Ricerca di senso, 2, pp. 239-256. 
  • Giannelli, M. T.; Giannino, P.; Mingarelli A. (2015). Efficacia sulla salute di un corso annuale di Biodanza: uno studio empirico, Psicologia della salute: quadrimestrale di psicologia e scienze della salute, 1, pp. 48-60.
  • Motterle, L. (2009). L’esperienza dell’altro nella Contact Improvisation: un percorso fenomenologico dall’avere all’essere, Danza e Ricerca. Laboratorio di studi, sculture e visioni, I, pp. 59-78.

Articoli in inglese

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Sitografia 

https://www.storiadelladanza.it/danza-primitiva-le-origini-della-danza/ppo delle capacità emotive e relazionali.