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IL CONTESTO DEL BAMBINO CON ADHD: IL RUOLO DELLA FAMIGLIA E DELLE ISTITUZIONI SCOLASTICHE

adhd scuola e famiglia

Risulta sempre più in crescita la richiesta di aiuto avanzata dagli insegnanti per la gestione di alunni che disturbano, sono aggressivi, non prestano attenzione allo svolgimento della lezione, sono facilmente distraibili, non riescono a stare seduti quanto i compagni di classe e così via.

Congiuntamente a tali richieste, si rileva da più parti un inesorabile arretramento del mondo scolastico da parte dei Servizi Sanitari Nazionali (Ianes, 1999).

Una possibile spiegazione di tale fenomeno può essere dovuta al fatto che non vi è l’unanimità tra i clinici sull’interpretazione dei disturbi dello sviluppo che provocano significativi problemi di comportamento; che molti di questi bambini non presentano apprezzabili alterazioni di tipo psicopatologico e spesso le difficoltà attentive e/o comportamentali variano al variare dell’età.

Per tali ragioni e non solo per queste, non è auspicabile lasciare le Istituzioni, in primis quelle educative e formative come la scuola, in “balia delle onde”; è quindi necessario che, come per già accade nei Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA), vi sia una collaborazione reale tra scuole, Istituzioni e il mondo dei clinici il cui fine comune sia sempre quello di accogliere in maniera efficace tutte le esigenze formative e di inserimento sociale del ragazzo che presenta tale disturbo e la sua famiglia.

Il primo vantaggio che può nascere da questo tipo di “cooperazione”, è quello di prevenire problematiche più significative in adolescenza, come l’impedire fenomeni di dispersione scolastica (drop-out), il migliorare la consapevolezza delle famiglie dei ragazzi con ADHD di un problema altrimenti non preso sufficientemente in considerazione, ma anche affinare le modalità di approccio al bambino che presenta queste problematiche, riducendo potenziali rischi di born-out degli operatori che si interfacciano quotidianamente con tale disturbo, in primis gli insegnanti.

Al fine di delineare i fattori per cui è sempre auspicabile un’adeguata alleanza tra scuole e Servizi Sanitari pubblici nella fattispecie, verranno illustrate delle situazioni tipiche che suggeriscono una collaborazione necessaria tra le due parti.

Un caso tipico è quello in cui l’insegnante di una classe, dopo aver appreso della diagnosi di ADHD posta ad un suo alunno, senta la necessità di verificare quanto prima l’efficacia delle scelte didattiche ed educative a lui rivolte.

Questo tipo di intervento possiede una duplice valenza: se da un lato rappresenta una misura preventiva nella gestione dei comportamenti più problematici del disturbo grazie ad un sostegno concreto rivolto agli insegnanti da parte dei servizi sanitari pubblici, dall’altro favorisce l’accesso del bambino ai servizi sanitari stessi, qualora si rilevi la necessità di una valutazione clinica o di un approfondimento diagnostico.

In una situazione-tipo come questa è importante che gli insegnanti tengano presente che non sempre la loro richiesta di aiuto nei servizi sanitari viene sempre accolta favorevolmente o possegga i requisiti richiesti dalle normative vigenti. La famiglia dal canto suo, necessita di tempo per accettare che i comportamenti messi in atto dal proprio figlio probabilmente soddisfano i criteri diagnostici per un disturbo di cui si sa poco dal punto di vista eziologico, che presenta modificazioni nel tempo e che, fino a quanto il bambino non si scontra con problemi concreti emersi all’interno della scuola dell’obbligo, scarsamente possiede la consapevolezza che realmente esiste una problematica seria da non sottovalutare. In questo contesto, intervenire tempestivamente con una corretta valutazione diagnostica, significa mettere in evidenza i fattori psicologici del bambino coinvolti quali l’autostima, la motivazione, le emozioniprovate ecc., il livello di consapevolezza che ha condotto la famiglia a chiedere aiuto, la presenta eventuale di altri disturbi in comorbidità, ecc.

Successivamente è importante individuare una modalità operativa che consenta di intervenire in maniera efficace sui problemi emersi; naturalmente molteplici fattori entrano in gioco e talvolta interferiscono durante la pianificazione dell’intervento operativo, pertanto è utile tenerne conto al fine di ridurre il margine di errore e favorire delle azioni efficaci.

A tal proposito vengono illustrate di seguito quali sono quei fattori che solitamente si riscontrano in questa fase e che è utile tenere in considerazione:

  • Modalità attraverso cui le istituzioni scolastiche manifestano ai genitori l’esigenza di richiedere un consulto psicodiagnostico per il proprio figlio/a;
  • Indicazioni da mettere in atto durante la definizione diagnostica dei problemi emersi: in questo caso è molto utile far riferimento a descrizioni dettagliate dei comportamenti messi in atto dal bambino sia a casa che a scuola;
  • Modalità attraverso cui viene comunicato alla famiglia l’esito della valutazione clinica e le indicazioni sull’andamento prognostico;
  • Definizione di un piano operativo che miri ad offrire un supporto concreto alla famiglia che migliori la comprensione di tutte le sfaccettature del disturbo oltre alla possibilità di progettare e mettere in atto strategie educative e didattiche efficaci;
  • Costante monitoraggio da parte dei Servizi Sanitari sull’operato della scuola e dei suoi insegnanti, al fine di individuare di volta in volta i modelli operativi da adottare con questi bambini.

Oltre a questi fattori da monitorare nella presa in carico del bambino con ADHD, è importante aggiungerne un altro non meno importante che sia mantenuto costante nel tempo da tutti coloro che quotidianamente interagiscono con questo disturbo, ossia l’atteggiamento con il quale ci si pone nei confronti di questi bambini. Abbiamo già visto come spesso ad un primo giudizio, questi bambini vengono etichettati come maleducati, infantili, prepotenti, mentre in realtà hanno un problema e loro stessi sono le vittime soprattutto dal punto di vista dell’inserimento sociale. Se a ciò si aggiunge che spesso, gli atteggiamenti provocatori e di sfida del bambino in classe rendono estremamente difficile il contatto emotivo dell’insegnante con il disagio dell’alunno, suscitando rabbia e frustrazione nella mancata gestione della situazione e provocando una sorta di muro insormontabile attraverso il quale è difficile costruire un percorso di crescita ed evoluzione nelle capacità del bambino. E’ fondamentale invece che l’insegnante prenda coscienza dell’entità del disturbo, e che tutto ciò che sul piano emotivo può provocargli sentimenti negativi di rabbia ed inadeguatezza, lasci invece il posto ad una sana riflessione utile all’identificazione ed adozione di strategie migliori di gestione di tale disagio.

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