Il cervello morale: le basi neurali della moralità

A cura di: Marianna Musolino
INTRODUZIONE
La moralità descrive i principi concernenti gli standard di giusto, accettabile o sbagliato nei comportamenti e nelle azioni degli individui (Di Nuzzo et al.,2018). Il termine moralità indica quindi l’insieme dei comportanti sociali comunemente riconosciuti e seguiti dalla maggioranza della società.
Alla base del ragionamento morale vi è una vasta rete di aree cerebrali, non una singola, ma nessuna di queste è specificatamente dedita a questa funzione, poiché le zone che si attivano durante i compiti morali sono coinvolte anche in altre funzioni.
L’emozione ha un ruolo importante nella percezione della moralità e i giudizi morali generalmente richiedono un coinvolgimento emotivo (Yuan et al., 2017), ma per molto tempo nello studio della moralità, l’attenzione è stata rivolta agli aspetti cognitivi di essa, relativi al ragionamento. L’interazione tra emozione e cognizione è bidirezionale: processi emozionali conducono a diversi tipi di cognizione, che a loro volta controllano, mettono un freno alle diverse emozioni. Ricerche recenti hanno indagato il coinvolgimento delle emozioni e il peso che esse hanno nel ragionamento morale, mettendo in evidenza le strutture cerebrali implicate nei processi emozionali automatici e controllati e nella moralità.
Lo studio dell’organizzazione neurale del comportamento morale si basa su due macroaree. Da un lato, i pazienti che presentano cambiamenti improvvisi nelle loro interazioni sociali come conseguenza di lesioni cerebrali: comportamenti aggressivi e violenti anomali si manifestano spesso in diverse condizioni psichiatriche e neurologiche, come il morbo di Parkinson, la disabilità intellettiva o l’epilessia (Di Nuzzo et al., 2018).
Dall’altro, gli individui sani, che sono studiati nella maggioranza delle ricerche scientifiche, in situazioni problematiche attraverso i dilemmi morali, cioè situazioni in cui ogni possibile linea d’azione viola un principio morale altrimenti vincolante. Viene chiesto di giudicare l’appropriatezza di una violazione morale, come uccidere qualcuno, ottenere una grande ricompensa o salvare altre vite.
La differenza principale nei dilemmi e giudizi morali è tra quelli personali e impersonali; quelli utilitaristici e non utilitaristici. In base a questa distinzione sono stati sviluppati diversi paradigmi, ma il più famoso è probabilmente quello del carrello ferroviario (trolley paradigm), in cui si deve scegliere se sacrificare la vita di una persona per salvare quella di altre cinque.
Nella prima parte dell’articolo che segue viene presentato il substrato neurale del ragionamento morale in generale, a seguire vengono esaminate nello specifico le funzioni di alcune aree cerebrali centrali nella moralità. Successivamente sono analizzate le radici neurobiologiche del comportamento antisociale, alla cui base ci sarebbero anche alterazioni delle aree coinvolte nella moralità.
L’articolo tratta della dimensione della moralità nell’essere umano in termini neurobiologici e cognitivi, analizzando in particolare le basi neurali di essa, con l’intento di fornire un quadro, sì generale ma che sia sufficientemente completo, esaustivo e attuale.
1. Neuroanatomia della moralità
Sin dalle prime ricerche neuropsicologiche, è stata evidente l’associazione tra il ragionamento morale e la corteccia prefrontale (Boccia et al., 2017): in particolare la regione che, in base a studi condotti con tecniche di neuroimmagine e a studi di lesione, appare di fondamentale importanza, è la corteccia prefrontale ventromediale (Garrigan et al., 2016). Nell’ampio network alla base del ragionamento morale sono presenti aree corticali e subcorticali, tra cui: la corteccia prefrontale orbitofrontale e dorsolaterale, la corteccia cingolata anteriore, la porzione laterale del lobo parietale, il lobo parietale mediale, la corteccia cingolata posteriore ed il precuneo, la giunzione temporoparietale, aree del sistema limbico come l’amigdala e l’insula ed il polo temporale.
Il lobo temporale è coinvolto nei processi relativi all’empatia e alla Teoria della mente (ToM), in particolare la giunzione temporoparietale ha un ruolo cruciale nell’attribuzione delle credenze nei giudizi morali. Le strutture subcorticali, l’amigdala, l’ippocampo e i gangli della base giocano un ruolo importante nell’elaborazione delle emozioni negative e nella valutazione dei comportamenti nei dilemmi morali. Il nucleo subtalamico è risultato essere coinvolto in processi decisionali con un contenuto morale, in particolare quando ai soggetti veniva richiesto di esprimere un giudizio su frasi morali conflittuali; in ogni caso questa struttura non svolge un ruolo critico nella moralità.
1.1 L’attribuzione delle intenzioni: il ruolo della giunzione temporoparietale
L’attribuzione delle intenzioni e la teoria della mente sono componenti cruciali della moralità e il loro contributo nella formazione dei giudizi morali è oggetto di studio. La giunzione temporoparietale destra ha un ruolo chiave in entrambe, divenendo quindi una struttura fondamentale nel ragionamento morale. Quest’area è stata associata ad esempio a compiti morali in cui i partecipanti sono chiamati a giudicare le azioni di qualcuno decidendo se costui debba essere ritenuto colpevole o debba essere punito; e a compiti in cui ai soggetti viene chiesto come una persona dovrebbe agire.
Il ruolo della rTPJ nel ragionamento morale è strettamente legato all’attribuzione degli stati mentali. Questo aspetto è variabile, sia in senso quantitativo che qualitativo: certi scenari morali richiedono di mentalizzare più di altri e alcuni inducono a forme diverse di mentalizzazione; è possibile individuarne tre (Leloup et al., 2016).
Un tipo di mentalizzazione è quello relativo alle credenze dell’agente riguardo alle conseguenze delle proprie azioni. Nell’ambito della teoria della mente è stato ampiamente dimostrato che la rTPJ è particolarmente sensibile alle situazioni in cui colui che agisce possiede false credenze (Leloup et al., 2016), e quindi la cui prospettiva è in conflitto con quella del partecipante.
Pensare alla volontà dell’agente di arrecare o meno danno può essere considerata una seconda forma di mentalizzazione. Presupponendo che la maggior parte delle persone non ha desiderio di fare del male agli altri, è probabile che ci sia una discrepanza (mismatch) tra il partecipante e colui che, nello scenario morale, ha intenzione di nuocere. È stato riscontrato infatti che la rTPJ si attiva, in generale, in presenza di stati mentali conflittuali (Leloup et al., 2016). Presumibilmente, quindi, gli scenari di danno accidentale e di tentativo fallito di danno hanno un effetto più rilevante sulla stimolazione della rTPJ, a causa della elaborazione delle credenze dell’agente e nel secondo caso anche del desiderio di nuocere dello stesso.
Una terza forma di mentalizzazione è quindi quella delle circostanze mitiganti che possono attenuare la colpa di chi ha commesso il danno (ad esempio nel caso di malattie mentali del responsabile).
Si può affermare quindi che, con molta probabilità, le diverse caratteristiche degli scenari e dei quesiti morali possono far emergere l’uno o l’altro dei contributi della rTPJ al ragionamento morale, accentuandone uno dei ruoli.
2. Componenti emozionali della ragionamento morale e la moralità
Nella moralità vi è l’utilizzo di processi cognitivi top-down e di processi emozionali bottom-up. Le risposte ai dilemmi morali – i giudizi – venivano viste come il prodotto dell’applicazione consapevole di regole apprese. In linea con questi modelli che spiegavano i giudizi morali ponendo il focus sulla cognizione, la ricerca prediligeva l’uso di dilemmi che presentano un conflitto tra due principi morali, come quello del trolley, in cui valutare l’accettabilità morale richiede il confronto tra un’azione e una regola, e la risposta al dilemma riflette l’applicazione della regola morale. Invece nell’ottica dei modelli incentrati sull’emozione, i giudizi morali sarebbero simili a quelli estetici, formulati rapidamente e senza sforzo, guidati da intuizioni connotate affettivamente, e non sarebbe necessaria la comprensione a trecentosessanta gradi delle cause che hanno portato a una determinata preferenza o decisione; il ragionamento non sarebbe altro che una spiegazione post-hoc da dare agli altri (Helion e Ochsner, 2018). In questo caso, nello studio della moralità vengono usati scenari in cui compaiono comportamenti insoliti o nuovi, come l’incesto o la bestialità, che suscitano reazioni emotive.
Helion et al. (2018) sostengono che l’emozione sia sempre coinvolta, e che a variare sia il grado con cui essa è controllata: la differenza tra i giudizi morali risiederebbe in questo e non nel coinvolgimento dell’emozione stessa. I giudizi morali andrebbero quindi considerati entro un quadro in cui l’emozione è vista come l’esito di entrambi i processi, controllati ed automatici; processi che si intrecciano in diversi modi, producendo differenti esperienze e valutazioni affettive. Le emozioni possono sia essere vissute nell’immediatezza, che essere costruite consapevolmente ed andrebbero considerate una variabile che cambia durante la formazione di una valutazione morale. I nuovi modelli dovrebbero quindi sottolineare l’unione tra emozione e cognizione piuttosto che fare distinzioni forzate tra esse. I giudizi morali possono essere visti sotto una nuova luce. Posto che l’emozione è il risultato anche di un processo controllato, un giudizio utilitaristico può riflettere l’utilizzo di processi cognitivi più alti che modellano una risposta affettiva iniziale, scaturita dall’azione di processi più automatici. Quindi un giudizio utilitaristico può comunque indicare la presenza dell’emozione e nascere dalla regolazione della stessa e non dalla sua esclusione. In quest’ottica è possibile vedere il comportamento morale come l’esito della regolazione controllata dell’emozione: regolazione delle risposte affettive automatiche da parte di processi up o down; gli individui così agirebbero e formulerebbero valutazioni coerenti con i propri ideali ed obiettivi. Comunque, l’interazione tra affettività e processi cognitivi differisce con la crescita e tra gli individui. Il fatto che il grado con cui un’emozione impatta su un giudizio in una valutazione morale vari tra i soggetti, può aiutare a spiegare come coloro a cui un dilemma ha suscitato lo stesso stato affettivo automatico, arrivino a conclusioni molto diverse tra di loro.
La reinterpretazione e il distanziamento psicologico sono i due modi più comuni con cui si regola l’emozione attuando una rivalutazione cognitiva (Helion e Ochsner, 2018). La prima consiste nella riconsiderazione dello stimolo affettivo, rendendo quest’ultimo più o meno destabilizzante per il soggetto; la seconda nell’alterazione della distanza sia fisica che psicologica dallo stimolo affettivo. In esse sono implicate differenti regioni cerebrali: nella reinterpretazione regioni prefrontali ventrali laterali, mentre nel distanziamento si attivano maggiormente regioni parietali collegate alla rappresentazione spaziale. La ricerca sul tema dei giudizi morali si è concentrata maggiormente sul distanziamento psicologico che sulla reinterpretazione (Helion e Ochsner, 2018); l’uso di queste strategie regolatrici porta a diverse esperienze emozionali ed a produrre differenti valutazioni, andrebbe perciò considerato nel contesto dei giudizi morali.
3. Moralità e correlati neurali del comportamento antisociale
Un aspetto chiave, comune a tutte le condizioni dei disturbi dello spettro antisociale, è un comportamento che tende alla violazione delle regole. Si suppone che alterazioni del network neurale alla base delle moralità, possano in parte spiegare certe forme di comportamento deviante, sociopatico o criminale (Marazziti et al. 2013). Aree implicate nel ragionamento morale ed aree associate alle popolazioni antisociali, violente e psicopatiche si sovrappongono.
Le regioni cerebrali compromesse in soggetti con comportamenti antisociali, violente e psicopatiche includono zone dorsali e ventrali della corteccia prefrontale, l’amigdala, l’ippocampo, il giro angolare, la corteccia cingolata anteriore e quella temporale compreso il giro temporale superiore.
Lesioni del lobo temporale possono portare a condotte aggressive ed antisociali, così come funzionalità anomala nella corteccia cingolata anteriore (funzioni autonomiche e regolazione delle emozioni) ed in quella posteriore; e compromissioni funzionali e strutturali dell’ippocampo.
L’attivazione ridotta dell’amigdala è stata riscontrata in individui con disturbo della condotta (Raine e Yang, 2006). Questa regione media le risposte all’ansia e alla paura, agli stimoli sociali negativi, modula la comprensione dei confini morali o sociali, e delle espressioni facciali, soprattutto quelle negative; queste informazioni sono necessarie per lo sviluppo della socialità basata su principi morali e per il riconoscimento del valore emotivo delle esperienze sensoriali.
Studi neurologici su pazienti con lesioni hanno fornito dati sui meccanismi neurali che predispongono al comportamento antisociale e sui deficit che possono modificare il senso morale; in particolare le condizioni cliniche in cui sono presenti danni alla corteccia prefrontale ventromediale e alle cortecce orbitofrontale e ventrolaterale. Lesioni focali in queste aree interferiscono con il normale sviluppo del senso e del giudizio morale; i pazienti con lesioni focali alla corteccia prefrontale ventromediale, in particolare quella destra, mostrano indifferenza di fronte a violazioni di regole socio-morali, e poca empatia nei confronti delle vittime (Marazziti et al. 2013). Inoltre, nella formulazione di giudizi morali, questi pazienti tendono a fare scelte più utilitaristiche.
Le regioni comuni al comportamento antisociale/psicopatico e alla moralità sono, quindi, i settori ventrale, polare/mediale della corteccia, l’amigdala e il giro angolare e quello temporale superiore posteriore. Questa parziale sovrapposizione è a sostegno dell’ipotesi secondo cui le alterazioni cerebrali nei soggetti antisociali perturbino i processi decisionali/emozionali morali, cosa che a sua volta predispone gli individui ad una condotta antisociale, volta alla trasgressione delle norme.
CONCLUSIONI
Il quadro emerso è, quindi, il seguente: è possibile parlare di cervello morale intendendo l’attività coordinata di più strutture, sia corticali che subcorticali. Le emozioni hanno un ruolo cruciale; il senso e il giudizio morale nascono dall’integrazione di esse con i processi cognitivi.
La moralità è una dimensione complessa, influenzata da molti fattori, specialmente dalle differenze individuali. Le influenze ambientali, comprese le esperienze di attaccamento, l’educazione e le relazioni interpersonali, modulano l’organizzazione del senso morale; il loro ruolo, però, non è stato ancora sufficientemente studiato.
Nel campo della ricerca, i compiti morali usati sono eterogenei, e la tipologia utilizzata può influenzare gli esiti. Conseguentemente diventa difficile confrontare i risultati.
Nella vita di tutti i giorni viene richiesto di prendere decisioni morali; in ambito sperimentale gli scenari proposti e in generale le condizioni ambientali sono lontane da quelle in cui si deve scegliere se agire moralmente o immoralmente nella vita reale. Per queste ragioni, generalizzare i risultati e le conclusioni è difficoltoso. Conoscere più approfonditamente i processi affettivi e cognitivi alla base delle decisioni morali che gli individui fanno quotidianamente, nella vita reale, porterebbe a una maggiore comprensione del modo in cui essi fanno previsioni morali riguardo al loro comportamento.
BIBLIOGRAFIA
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