I principi montessoriani nella glottodidattica moderna: l’approccio comunicativo e umanistico – affettivo come eredi del metodo Montessori

A cura di Silvia Alessandro
INTRODUZIONE
L’articolo si propone di mettere in luce in che modo i principi cardine della pedagogia di Maria Montessori costituiscano la base teorica dei due approcci glottodidattici “moderni” per eccellenza, ovverosia dei due approcci più adottati per innovazione, avanguardismo ed efficacia, nell’ambito della didattica delle lingue.
L’obiettivo sarà quindi quello di andare a rintracciare nei due approcci in questione il seme delle idee montessoriane, le quali, assumendo la forma prima di, per l’appunto, approcci, poi di metodi, e infine di tecniche glottodidattiche, instradano in maniera ben definita qualsiasi processo di apprendimento linguistico che decida di adottarli.
Più nello specifico, si sta parlando dell’approccio comunicativo degli anni’70 del ‘900, da considerare figlio di una vera e propria rivoluzione didattico – metodologica, e dell’approccio umanistico–affettivo sviluppatosi negli anni ’80 dello stesso secolo, che pone al centro, forse più dell’approccio precedente, l’importanza dell’autoapprendimento guidato, fondamentale anche per il metodo Montessori.
1. Il nucleo del metodo Montessori: il contesto storico-sociale
Maria Montessori nacque a Chiaravalle, nelle Marche, nel 1870, da una famiglia benestante. Una volta trasferitasi prima a Firenze e poi, stabilmente, a Roma, nella capitale Maria Montessori studiò Medicina, decidendo di proseguire gli studi in neuropsichiatria infantile con l’obiettivo di rieducare i bambini con disturbi psichici. La sua attenzione nei confronti del mondo educativo nacque, quindi, a posteriori, e cioè fondendo le proprie competenze in campo medico con una forte propensione per il sociale. L’empatia che la spinse a operare un tale connubio la portò a dedicarsi alla riabilitazione educativa di bambini frenastenici, e dalla loro osservazione all’interno dei manicomi scaturirono le riflessioni pedagogiche alla base del suo pensiero e del suo metodo. Difatti, Maria Montessori osservò che nonostante la loro attività celebrale atipica li costringesse ad alzarsi solo per mangiare a pranzo e a cena, questi bambini erano estremamente curiosi rispetto all’ambiente esterno, tanto da non perdere occasione di indagarlo analizzando le briciole del cibo caduto a terra dai pasti.
Da qui, la convinzione della Montessori che ogni bambino abbia un’innata necessità di conoscere ed esplorare il mondo circostante a suo modo, e cioè secondo la propria personalità e le proprie capacità. Tali consapevolezze, sopraggiunte grazie all’attenta osservazione del comportamento di questi bambini, la spinsero, nel 1907 ad aprire la sua prima Casa dei Bambini nel quartiere romano di San Lorenzo, con la missione di aiutare queste categorie umane più fragili a raggiungere, quanto più possibile, la normalità psico – sociale.
Al termine di questi primi anni di attività, Maria Montessori pubblicò nel 1909 quello che verrà considerato l’atto fondativo della sua pedagogia: un’opera dal titolo “Il Metodo della Pedagogia Scientifica applicato all’educazione infantile nelle Case dei Bambini”, che riscosse un successo planetario godendo di un buon seguito anche in Italia, fino all’avvento del fascismo.
Con l’inizio del periodo dittatoriale, Maria Montessori si vedrà costretta a lasciare il paese nel 1934, senza però rinunciare alla sua attività di divulgazione e informazione all’estero, fino alla sua scomparsa nel 1952 (Saccuti, 2015). Al di là di realtà educative più chiuse, alle quali il contesto e/o l’epoca non consentirono una disponibilità nei confronti di una tale ventata di novità, il seme delle idee montessoriane ha germogliato in maniera rigogliosa ben oltre i nostri confini nazionali, continuando a rappresentare, ad oggi, uno dei modelli pedagogici più adottati – o, quantomeno, tenuti in considerazione – a livello internazionale, soprattutto per la scuola primaria.
Non bisogna quindi stupirsi del fatto che, nonostante il metodo Montessori abbia visto la luce in Italia, quest’ultimo si sia diffuso a macchia d’olio principalmente all’estero, dove per motivi storico – culturali dei quali, in parte, si è detto, sembrerebbe addirittura aver avuto più fortuna di quanta non ne abbia avuta nel suo paese d’origine (Angeli, 2004). In merito, gli studi condotti da Monica Salassa sarebbero stati riconfermati, in tempi più recenti, da Clara Tornar, la direttrice scientifica del Centro Studi Montessoriani di Roma, affermando che già nel 2003 esistevano circa 22000 scuole montessoriane in più di 100 paesi, tra Case dei Bambini, asili nido, scuole primarie e istituti comprensivi, senza contare tutte le scuole secondarie che avevano adottato il metodo Montessori come breve esperimento (De Serio, 2013).
Come si può evincere dai dati riportati, il metodo Montessori si configura come un progetto educativo in auge soprattutto presso le scuole, i centri o gli istituti dedicati all’infanzia, sia per questioni strutturali relative alla nascita stessa del metodo, sia per questioni più teoriche, dato che, come confermano più recenti studi psicopedagogici, l’esperienza che facciamo del mondo durante i nostri primi anni di vita incide significativamente sul nostro sviluppo cognitivo (De Serio, 2013).
In definitiva, nonostante l’attenzione esclusiva della stessa Montessori alla dimensione infantile, molti spunti di riflessione forniti dalle sue teorie sono applicabili anche a contesti educativi superiori, proprio perché, in fin dei conti, la concezione di fondo rimane immutata: educare in prospettiva montessoriana significa fornire agli studenti gli strumenti adeguati per riuscire a tirar fuori il meglio da ciascuno di noi, valorizzando al massimo la nostra personalità e incoraggiando il nostro sviluppo umano completo (Battista, 2020).
2. Il nucleo del metodo Montessori: le teorie
Senza addentrarci troppo in questioni pedagogiche eccessivamente approfondite rispetto al tema trattato, in questo paragrafo si andranno ad analizzare i punti chiave della pedagogia montessoriana, successivamente ripresi dall’approccio comunicativo e da quello umanistico – affettivo nell’ambito della didattica delle lingue moderne. In altre parole, si andranno a sottolineare i punti teorici comuni alle varie prospettive, andando a focalizzarci soprattutto sul ruolo dell’insegnante, molto caro alla Montessori, sul quale anche l’approccio umanistico – affettivo insisterà molto.
Partendo dal presupposto, come si è detto, che ogni bambino ha un innato desiderio di esplorare il mondo intorno a sé con i mezzi a sua disposizione e sulla base della propria personalità, il nucleo dei principi montessoriani è in linea con le convinzioni teoriche alla base degli approcci didattici nominati, che, in tutti i casi, incoraggiano: – l’esplorazione attiva, spontanea e indipendente del mondo esterno, per consentire al bambino di sviluppare liberamente le proprie potenzialità e di rendersi autonomo e indipendente, consolidando la fiducia in sé, l’autoconsapevolezza, l’intraprendenza e il problem solving; – la relazione del bambino con i suoi pari per sviluppare senso critico e competenze trasversali, cognitivo – relazionali, e socio – emotive, promuovendo un apprendimento collaborativo per affinare l’empatia, il mutuo rispetto e la capacità di lavorare in gruppo; – un apprendimento pratico, concreto, a diretto contatto con la realtà sensoriale dell’ambiente circostante per stimolare il processo creativo e favorire un apprendimento significativo e duraturo in quanto esperienziale.
In questo processo autonomo, proattivo e autoresponsabile del bambino rispetto al proprio percorso di apprendimento, i docenti hanno un ruolo di fondamentale importanza, fungendo da attente guide che orientano lo studente nel percorso tramite materiali didattici calibrati sulle abilità, i gusti e gli interessi precedentemente osservati nel discente.
Questo supporto personalizzato permetterà al docente di creare un ambiente protetto che sarà metafora di un mondo “su misura” per ogni bambino, consentendogli di muovercisi con fiducia in qualità di agente attivo e responsabile del proprio percorso.
L’esplorazione di argomenti in linea con i suoi gusti e interessi, stimoleranno la sua sete di conoscenza del discente, permettendogli di apprendere con piacere e secondo il proprio ritmo tramite, come si è detto, l’esperienza diretta con il reale e l’aiuto dei compagni. Si capisce, ora, quanto si è detto in merito all’importanza del binomio autonomia – relazione del processo di apprendimento: il ruolo del docente, così come il sostegno paritario degli altri bambini, sono tappe relazionali fondamentali all’interno del percorso di crescita del bambino, ma non ne sono il fulcro che, al contrario, è rappresentato dal bambino stesso e dal suo processo di autoapprendimento autonomo.
Tutto viene pensato, organizzato e costruito attorno a lui, ai suoi interessi e alle sue necessità, lasciandolo libero di esprimersi e di scoprire il mondo in un’autonomia che rimane sempre, come si è visto, relazionale.
3. Approcci, metodi e tecniche glottodidattiche
Quanto detto fino ad ora sui principi cardine delle idee montessoriane va tenuto a mente per rendersi conto dell’estrema affinità teorica che intercorre tra il metodo Montessori e i due approcci glottodidattici presi in analisi, che attinsero senza dubbio anche dall’apporto teorico fornito dal metodo Montessori per orientare la loro prospettiva metodologica.
Prima di parlare più nello specifico dell’uno e dell’altro approccio, è però doveroso fare una precisazione terminologica che potrebbe sembrare banale ma che, in realtà, è importante per capire realmente cos’è un approccio. E, ovviamente, non si può pretendere di parlare di approccio senza parlare anche di teorie che lo originano, di metodi nei quali si concretizza, e di tecniche ne sono necessariamente influenzate. Partiamo quindi con il dire che in glottodidattica, quando si parla di “prospettiva metodologica”, si sta facendo riferimento alla scelta dell’approccio, del metodo e della tecnica più adeguati per la trasmissione di un dato sapere.
Per approccio s’intende la filosofia di fondo di un’impostazione glottodidattica che seleziona paradigmi e principi epistemologici da varie teorie e li riorganizza a suo modo, dando vita a personali convinzioni etico – morali che il docente sente proprie e che quindi persegue. L’approccio 5 è dunque un qualcosa che dipende molto dal fattore umano, e cioè dal tipo di personalità del docente che lo adotta e sul quale quest’ultimo vi ci basa tutto il suo piano procedurale.
Per metodo s’intende la realizzazione operativa dell’approccio, e cioè la concretizzazione dell’approccio in criteri, attività, contenuti, mete e obiettivi. A differenza dell’approccio, che è meno strutturato e in continuo mutamento, il metodo è un insieme più rigido di procedimenti, dimostrando di essere più o meno coerente intrinsecamente e rispetto all’approccio a cui fa riferimento.
Per tecnica, infine, s’intende la procedura didattica concreta che permette di realizzare gli obiettivi del metodo, coerentemente con l’approccio a cui quest’ultimo si riferisce (Chini – Bososio, 2014).
Appare quindi chiaro che un approccio può tradursi in più metodi, un metodo può concretizzarsi in più tecniche, e le tecniche si configurano, al contrario dei primi due, come passaggi più neutri, perché non ammettono giudizi di valore di giusto/sbagliato, corretto/scorretto, coerente/incoerente ma solo di efficace/inefficace a seconda del metodo a cui fanno riferimento.
In tutto questo discorso, le convinzioni teoriche che ispirano l’approccio si situano al di fuori dell’impalcatura metodologica di cui, piuttosto, costituiscono l’origine, fornendo la base a partire dalla quale l’approccio inizia gradualmente a strutturarsi (Balboni, 1999). Si è deciso di operare questa distinzione proprio per dimostrare come, date le medesime convinzioni etico – teoriche che animano le tre prospettive, il nucleo di idee di fondo è lo stesso, e si è andato a tradurre, in diversi decenni e contesti, in approcci apparentemente distanti ma che in realtà condividono molto di più di quello che si può pensare.
4. L’approccio comunicativo e umanistico – affettivo
Nati durante la seconda metà del XX secolo, l’approccio comunicativo e quello umanistico – affettivo sono, ad oggi, i più usati nella didattica delle lingue, configurandosi come totalmente agli antipodi rispetto all’approccio che per secoli ha dominato lo scenario della glottodidattica: l’approccio formalistico, basato su un modello di apprendimento deduttivo, su metodi di apprendimento grammaticali – traduttivi, e su tecniche molto fredde, rigide, meccaniche e impersonali, quali lo studio mnemonico della grammatica, la lezione frontale e la traduzione letterale priva di contesto (Balboni, 2008).
Figlio di una concezione educativa ad oggi piuttosto anacronistica, l’approccio formalistico non fu l’unico, soprattutto nel ‘900, ad essere usato nelle classi relativamente al campo dell’insegnamento linguistico, ma, essendo quello più in auge, fu sicuramente quello più difficile da soppiantare.
Difatti l’approccio comunicativo, che nasce negli anni ’70 in America, arriva in Italia decenni dopo, e nasce come reazione non all’approccio formalistico, bensì a quello strutturalista, una prospettiva glottodidattica comunque molto vicina alle teorie, ai metodi e alle tecniche dell’approccio formalistico. Partendo dal presupposto che la lingua non è solo un sistema strutturale ma, nascendo dall’uomo, risponde alla necessità di comunicare bisogni specifici, l’approccio comunicativo pone al centro il bisogno del parlante di comunicare e di comunicarsi agli altri, vedendo l’interesse e la soddisfazione come motore che anima tutto il processo di apprendimento linguistico.
Il metodo di apprendimento perpetrato incoraggia l’immersione del discente in un contesto comunicativo reale in modo da permettergli di attivare le sue capacità innate di produzione linguistico – comunicativa, mentre le tecniche sono tutte di tipo ludico, comunicativo e relazionale, incoraggiando il gioco, il lavoro di squadra e la drammatizzazione e/o simulazione di scene reali.
Lo studente e le sue necessità sono chiaramente il fulcro della programmazione curricolare operata dal docente, che assume il ruolo sia di mediatore linguistico – culturale, sia di analizzatore dei bisogni comunicativi degli studenti, consapevole del fatto che se lavorerà assecondandone le esigenze, otterrà i migliori risultati possibili.
L’approccio umanistico – affettivo invece, nato in ambito anglosassone e arrivato in Italia a inizio XXI secolo, pone al centro del processo di apprendimento linguistico non la competenza comunicativa ma le emozioni degli apprendenti, e il loro rapporto con il docente guida. Per arrivare a teorizzare la centralità della dimensione affettiva, diverse discipline tra cui, in primis, la pedagogia, hanno collaborato alla definizione di questo approccio (Begotti, 2007), che sottolinea l’importanza dell’attività ludica per la creazione di un ambiente sereno, rilassato e giocoso nel quale, di conseguenza, apprendere meglio e in maniera più efficace.
Entrambi gli approcci, difatti, insistono molto su una metodologia ludica come strumento di apprendimento, proprio perché, come è stato ampiamente dimostrato dalle neuroscienze e come lo stesso metodo Montessori anticipò tempo prima, i sistemi di memoria a lungo termine sono collegati all’amigdala, fondamentale per il sistema emotivo: in contesti di tensione, ansia e stress o competizione, i sentimenti negativi causeranno un innalzamento del filtro affettivo e una sensazione di perenne disagio, portando il lato emotivo a prevalere su quello cognitivo e a bloccare l’apprendimento (Caon, 2022).
Va da sé che le tecniche adottate da questo approccio saranno comunicative e di rilassamento, in modo da creare un ambiente il più sereno e confortevole possibile. Il modello di riferimento dell’approccio umanistico – affettivo è quindi di tipo induttivo – esperienziale e relazionale, e si concretizza in metodi che, seppur diversi, stimolano tutti 7 l’apprendimento attraverso la diretta esperienza con la realtà, la sensorialità e il gioco: Total Physical Response, Natural Approach, Suggestopedia, Silent Way (Chini – Bososio, 2014).
Lo studente è ovviamente al centro del processo di apprendimento in quanto persona unica e irripetibile che impara solo se realmente vuole, e che quindi ha la propria parte di responsabilità durante il processo. L’insegnante, apparentemente defilato, in realtà osserva, consiglia e incoraggia lo studente, dimostrando una competenza non solo linguistica ma anche psicopedagogica nell’individuazione dei bisogni di ogni discente grazie a un’attenta osservazione previa. Il suo obiettivo sarà quello di rendere i propri studenti quanto più possibile indipendenti da sé, dandogli però sempre la sicurezza che, se dovessero averne bisogno, avranno sempre un piano di appoggio. Come anche nel caso dell’approccio comunicativo, anche l’approccio umanistico – affettivo propone dei materiali didattici concreti, autentici, presi da situazioni reali, e che soprattutto incoraggino gli studenti ad acquisire la lingua visivamente, e quindi attraverso cartelloni, gesti, disegni e oggetti, immagini o il corpo stesso.
Conclusioni
Come si è potuto vedere dall’illustrazione del metodo Montessori e degli approcci considerati, il nucleo teorico alla base dei tre è il medesimo, con forse qualche affinità in più tra il metodo Montessori e l’approccio umanistico – affettivo, considerato, non a caso, l’approccio glottodidattico più attuale in assoluto. La forza dell’innovazione delle idee montessoriane rappresenta un’enorme risorsa per la didattica delle lingue moderne, poiché, oltre a fornire spunti di riflessione molto interessanti sui temi del ruolo del docente, della centralità e autonomia del discente, e sui suoi tempi e dei di apprendimento, stimola la creatività dell’insegnante, proponendo modi alternativi, più ludici ed efficaci per insegnare soprattutto le parti più ostiche della lingua, come il vocabolario o la grammatica.
Bibliografia
- Angeli F. (2004). Attualità di Maria Montessori. Milano: Annuario 2003, Centro Studi
Montessoriani - Balboni P. E. (1999). Dizionario di glottodidattica. Perugia: Guerra Edizioni
- Balboni P. E. (2008). Fare educazione linguistica. Attività didattiche per Italiano L1 e L2, lingue straniere e lingue classiche. Utet edizioni 8
- Battista B. Q. (2020). Montessori dalla A alla Z. Lessico della pedagogia di Maria Montessori.Edizioni Erickson
- Begotti P. (2007). La glottodidattica umanistico – affettiva nell’insegnamento dell’italiano LS e L2ad adulti stranieri. Università Ca’ Foscari di Venezia
- Caon F. (2022). Edulinguistica ludica. Facilitare l’apprendimento linguistico con il gioco e la ludicità. Edizioni Ca’ Foscari. Venice University Press
- Chini M. – Bososio C. (2014), Fondamenti di glottodidattica. Apprendere e insegnare le lingue oggi. Roma: Carocci editore
- De Serio B. (2013). Il metodo Montessori e le case per i bambini. Un modello educativo per liberare l’infanzia e avviarla alla conquista dell’indipendenza. Università degli studi di Foggia
- Saccuti E. (2015). Maria Montessori e il suo metodo. Bollettino Itals, Anno 13, numero 57