I pionieri della terapia familiare e le scuole

A cura di: Marianna Musolino

INTRODUZIONE

Lo studio della famiglia apre a una cultura della complessità. La teoria utilizzata per osservare le interazioni e le relazioni familiari è quella sistemico-relazionale: andando oltre ogni semplificazione essa permette di analizzare la famiglia in quanto unità dinamica soggetta a continui cambiamenti e di coglierne la complessità su un duplice livello, individuale e interpersonale (Fruggeri, 1997). Attraverso la prospettiva teorica e applicativa sistemico-relazionale, la famiglia può essere studiata come sistema primario in cui il singolo costruisce attivamente la propria identità, evolve e muta, e come sistema relazionale in costante interscambio con l’ambiente esterno. La terapia, intervenendo sui legami e il contesto relazionale e affettivo, mira a far progredire la comunicazione tra i membri della famiglia.

L’indirizzo sistemico-relazionale nasce negli Stati Uniti degli anni Cinquanta e si dirama in due diverse direzioni: quella sistemica, che deriva dagli studi della Scuola di Palo Alto, in particolare da Gregory Bateson e Paul Watzlawick, e considera il singolo individuo come originariamente inserito in un sistema di comunicazione in cui vigono i criteri della totalità, retroazione ed equifinalità; e una più psicodinamica, oggi relazionale, con il contributo di pionieri quali Nathan Ackerman, Ivan Boszormenyi-Nagy, James Framo, Murray Bowen, Carl Whitaker, nella cui prospettiva transgenerazionale, la famiglia viene studiata tenendo presente almeno tre generazioni, considerandola in una dimensione storico-evolutiva (Gambini, 2016): la famiglia di origine, con la sua storia, le esperienze condivise, e in quanto ambiente primario di formazione e maturazione di legami, influenza la nascita della nuova famiglia e il presente.

Ulteriori approcci di terapia familiare che hanno avuto un considerevole sviluppo si collocano poi in una posizione intermedia, come ad esempio quello strutturale di Salvador Minuchin.

Negli anni ’50, la psicologia sistemico-relazionale nasce acquisendo uno statuto autonomo rispetto alla forte tradizione psicoanalitica impegnata nello studio delle esperienze del passato e delle dinamiche intrapsichiche individuali.

L’evoluzione della teoria dei sistemi, tuttavia, non produce un modello concettuale e operativo condiviso nello studio del funzionamento familiare e della psicopatologia individuale. Sin dagli anni ‘60, cominciano a delinearsi due diverse scuole di pensiero: mentre sulla costa occidentale degli Stati Uniti si studiano gli assiomi fondamentali della comunicazione umana, – Pragmatica della comunicazione umana di Paul Watzlawick è il testo di riferimento -, sul versante orientale, le basi psicodinamiche di teorici e terapeuti sono assai differenti da quelle del gruppo di Palo Alto in California. I principali rappresentanti di questo secondo gruppo sono Murray Bowen a Washington, Ivan Boszormenyi-Nagy e James Framo a Philadelfia, Carl Whitaker a Madison e, per alcuni aspetti, Salvador Minuchin con la sua scuola strutturale a Philadelfia. Questi autori hanno cercato di preservare una continuità con la tradizione psicoanalitica, indirizzando il focus sugli aspetti legati alla storia familiare, comunque attribuendo valore all’individuo, ma tenendo in considerazione il suo sviluppo all’interno del ciclo di vita della famiglia, in una prospettiva evolutiva.

L’articolo riassume il back-gorund storico su cui poggia modello di intervento psicoterapeutico sistemico-relazionale, fornendo una panoramica sui pionieri della terapia familiare che, con le loro teorie, hanno favorito una rivoluzione concettuale e paradigmatica nello studio della persona, sia a livello intraindividuale che interindividuale.

1. La teoria dei sistemi e la scuola di Palo Alto

I contributi principali che, negli anni ‘50, formarono le basi teoriche per lo sviluppo della teoria provengono dalla cibernetica e dalla Teoria Generale dei Sistemi. Entrambe hanno un intento interdisciplinare e si distaccano dalle teorie tradizionali monadiche e lineari che considerano i rapporti di causa-effetto come unidirezionali. Secondo il biologo austriaco Ludwig von Bertalanffy, padre della teoria dei sistemi, ogni organismo è un sistema con una propria organizzazione. Ne viene messe in luce la complessità osservando i rapporti significativi e le interazioni circolari che avvengono tra le parti del sistema, gli organismi stessi e i loro contesti ambientali (Malagoli Togliatti & Lubrano Lavadera, 2002).

Il principio cardine della cibernetica di Wiener è quello di feedback o retroazione: a seconda dei meccanismi di retroazione, positivi o negativi, i dati in ingresso in un sistema possono produrre un cambiamento oppure esso può mantenere l’equilibrio interno (omeostasi). I sistemi interpersonali sono dei sistemi a retroazione, con autoregolazione, perché il modo di agire di ogni individuo influenza ed è influenzato dal comportamento degli altri (Watzlawick et al., 1967). L’attenzione è rivolta verso il concetto di informazione e i meccanismi di comunicazione. A partire dalle prospettive sistemico-cibernetiche si afferma quindi una nuova epistemologia. Gregory Bateson applica la teoria sistemica e le nuove intuizioni della cibernetica alle scienze sociali (Tafà, 2017). Dà vita alla scuola di Palo Alto, in California. Inizialmente il gruppo di ricerca guidato da Bateson è formato da Paul Watzlawick, Don Jackson, Jay Haley e John Weakland (Gambini, 2016). Essi considerano la famiglia un sistema relazionale che si autogoverna attraverso la retroazione e che tende a mantenere la stabilità interna. Jackson successivamente fonda il Mental Research Institute (MRI), tra i cui esponenti vi è Virginia Satir. Il gruppo del MRI lavora in maniera congiunta con quello di Palo Alto. La scuola di Palo Alto si dedica allo studio della comunicazione e in particolare di quella nelle famiglie con un membro schizofrenico. La Teoria del Doppio Legame mette in evidenza il nesso tra il contesto relazione e le modalità comunicative interpersonali e l’eziologia della schizofrenia (Gambini, 2016). Comunicazioni disfunzionali, paradossali, che comportano richieste contraddittorie all’interno della famiglia, hanno un’influenza nell’insorgenza del disturbo.

Satir è considerata una pioniera nel campo della terapia familiare. Il suo modello di terapia è caratterizzato dall’idea di accettazione e rispetto per l’unicità dell’altro, l’enfasi sugli aspetti personali del trattamento piuttosto che su quelli tecnici (Bermudez, 2008). Livelli adeguati di autostima e la valorizzazione di essa sono essenziali per il funzionamento della famiglia e l’obiettivo principale da raggiungere nell’intervento clinico.

La sua tecnica della scultura familiare (la disposizione fisica dei componenti della famiglia) permette di rappresentare il sistema di relazioni familiari, a livello trigenerazionale, e l’affiorare di emozioni, vissuti e percezioni; mette inoltre in evidenza l’importanza e la potenza dei canali non verbali (la postura del corpo, gli sguardi, la vicinanza o la distanza).

Il lavoro di Haley è stato molto influenzato dalle idee di Erickson, che ebbe come supervisore. L’elemento centrale nel suo pensiero e nel suo modello è il potere: conflitti all’interno del sistema familiare sono legati a uno sbilanciamento e a una particolare distribuzione del potere, il sintomo è un modo per avere il controllo della relazione. Grande importanza è attribuita anche alle dinamiche intergenerazionali e triadiche della famiglia. Una configurazione triangolare disfunzionale, ad esempio nella famiglia schizofrenica, è il triangolo perverso: una coalizione intergenerazionale che resta sotterranea, negata.

2. La teoria multigenerazionale

Il gruppo di Philadelphia, fondato da Ivan Boszormenyi-Nagy, si differenzia da quello di Palo Alto per un approccio di tipo psicoanalitico. La terapia familiare non si rivolge solamente alla famiglia nucleare: per comprendere il disagio individuale è necessario partire da esperienze originarie nella storia della famiglia estesa e includere in terapia almeno tre generazioni, che sono contemporaneamente attive in ogni momento della vita familiare (Tafà, 2017). Centrali per Boszormenyi-Nagy sono i concetti di lealtà e di debiti intergenerazionali.

Nathan Ackerman, a New York, già nel 1937, definiva la famiglia come “unità sociale ed emotiva” (Ackerman, 1937). Partendo anche lui da un orientamento psicoanalitico, cerca di formulare una teoria psicodinamica delle relazioni familiari (Gambini, 2016). I disturbi hanno carattere relazionale e origine all’interno del contesto familiare; nel lavoro di Ackerman l’attenzione è sulla dinamica tra i conflitti intrapsichici e interpersonali (Kaslow, 2010). Viene dato rilievo anche al ruolo delle emozioni nella seduta, anche a quelle del terapeuta verso il paziente.

Salvador Minuchin è stato sotto la guida di Ackerman. Il suo modello strutturale di terapia familiare si contraddistingue per l’uso di metafore spaziali e organizzative (Colapinto, 1991). Punti nodali della teoria sono la famiglia come sistema nella sua interezza, l’influenza della sua organizzazione gerarchica, il funzionamento interdipendente dei suoi sottosistemi (coniugale, genitoriale, dei fratelli). La famiglia durante il suo ciclo di vita cerca di mantenere l’equilibrio tra la stabilità e il cambiamento. Una famiglia con una struttura organizzativa flessibile sarà in grado di adattarsi in modo funzionale ai cambiamenti e ai periodi di transizione che il ciclo vitale impone. I membri della famiglia riusciranno ad assumere nuove posizioni. Nelle famiglie disfunzionali i sintomi si ridurranno solo a seguito del cambiamento (Goldenberg & Goldenberg, 2008). È quindi obiettivo primario del terapeuta facilitare il passaggio alla nuova struttura organizzativa ed essere strumento di trasformazione in modo attivo (Goldenberg & Goldenberg, 2008).

Anche Carl Whitaker arriva alla terapia familiare partendo da un orientamento psicoanalitico. Il suo modello di terapia simbolico esperienziale ha lo scopo di promuovere la crescita personale dell’individuo e della famiglia. Canali simbolici, emotivi e non verbali agiscono come fattori di cura. La provocazione, il gioco e la metafora in terapia hanno un’azione di sostegno, promuovono una connessione più autentica, il cambiamento, interrompendo modelli stereotipati di comportamento nella famiglia.

Anche Murray Bowen ha una formazione psicodinamica. Il concetto di differenziazione del Sé rappresenta il fondamento della sua Family System Theory. È uno degli otto costrutti che compongono la teoria, gli altri sette sono: il sistema emozionale della famiglia nucleare; la trasmissione intergenerazionale; il triangolo emotivo; il processo di proiezione familiare; la posizione dei fratelli; il cut-off emotivo e la regressione sociale (Maser, 2011).

La differenziazione è l’aspetto principale nella maturazione della personalità e nel raggiungimento della salute psicologica (Skowron & Friedlander, 1998). È un processo multidimensionale e complesso che comporta la distinzione del sé, a livello del funzionamento intellettivo ed emotivo, dal sistema familiare. Il grado di differenziazione dell’individuo è legato a diversi aspetti del funzionamento, quadri sintomatologici ed è connesso in particolar modo al livello di ansia cronica (Maser, 2011). Su un piano intrapsichico la differenziazione si riferisce al livello di reattività emotiva, la tendenza o meno da parte del soggetto a essere sopraffatto dalle emozioni e a restare calmo in risposta a quelle altrui, saper distinguere ciò che si prova da ciò che si pensa (Bowen, 1978). Su un piano interpersonale si riferisce alla capacità di sperimentare intimità e indipendenza nella relazione con l’altro; gli individui maggiormente differenziati sono in grado di acquisire un I position, ovvero mantenere un chiaro e definito senso del sé nei rapporti con gli altri e aderire alle proprie convinzioni personali (Bowen, 1978). Quelli invece poco differenziati, tendono verso il polo della fusione o quello del cut-off emotivo nelle relazioni familiari (Kerr & Bowen, 1988).

Per Bowen, e per la terapia intergenerazionale in generale, è difficile arrivare a un cambiamento duraturo nel paziente in un tempo relativamente breve; il livello di base della differenziazione si acquisisce nell’adolescenza, rimanendo poi costante; è necessario il lavoro di una vita per arrivare ad un aumento del livello base e a un incremento della quota di Sé reale, che si oppone allo pseudo-Sé (Kerr & Bowen, 1988).

Lo pseudo-sé è un finto sé, originariamente sviluppato nella famiglia d’origine e plasmato dalla pressione che viene esercitata sui membri affinché essi assumano specifici ruoli – ad esempio il turbolento o il riservato – al fine di mantenere l’armonia nel sistema familiare (Bowen, 1978; Kerr & Bowen, 1988).

3. La terapia familiare in Italia

A partire dagli anni ’70 e ’80 si diffondono nuove tecniche e teorie, anche in Italia. Il gruppo di Milano con Mara Selvini Palazzoli, Luigi Boscolo e Gianfranco Cecchin si distingue per i contributi nella comprensione cura dei disturbi alimentari, Luigi Cancrini e Maurizio Andolfi a Roma per quelli allo studio delle tossicodipendenze e l’attenzione al bambino in terapia.

La Selvini Palazzoli partendo da una formazione psicoanalitica abbraccia poi la teoria sistemica. A partire dall’esperienza clinica con le famiglie anoressiche, elabora un processo a sei stadi del gioco psicotico, un modello di psicopatologia familiare che ricostruisce dalle origini l’evolversi del gioco relazionale da cui emerge la psicosi.

Nel modello di terapia familiare multigenerazionale di Andolfi, i bambini sono la chiave per sbloccare ed esplorare eventi irrisolti e dolorosi che hanno segnato la famiglia e i suoi membri; fanno da ponte relazionale nel discorso tra le generazioni (Andolfi, 2016a). Il bambino sintomatico è come un co-terapeuta, collabora attivamente in terapia, guida e indica (Andolfi, 2016b). Il terapeuta entra in risonanza affettiva con ogni componente, in modo diretto, empatico ed autentico, sintonizzandosi anche attraverso il contatto fisico e il movimento, il linguaggio del corpo, il silenzio (Andolfi, 2016a).

CONCLUSIONI

All’interno delle due macroaree, i modelli e gli approcci di terapia familiare sono, quindi, comunque eterogenei e variegati; secondo Bertrando e Toffanetti (2000) è possibile dividerli in: terapie psicoanalitiche (ad esempio Ackerman); terapie strutturali (Minuchin); terapie esperienziali (Whitaker); terapie sistemiche/strategiche (Haley, Satir, Selvini Palazzoli) e terapie intergenerazionali tra cui Boszormenyi-Nagy e Bowen.

La storia di una famiglia può essere considerata come un complesso intreccio di storie individuali, legami intergenerazionali ed esperienze condivise che si succedono in un lasso di tempo ben preciso nel corso delle generazioni; tra le generazioni corrono fili invisibili che mettono in relazione passato, presente e futuro, in accordo con l’idea che esse appartengano ad un unico tempo familiare. Fin dai suoi esordi, l’orientamento sistemico-relazionale si è offerto come una lente completamente nuova attraverso cui osservare i fenomeni psicologici rispetto alle precedenti tradizione psicologica e psichiatrica.

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