FETAL PROGRAMMING E PRIMI 1000 GIORNI
A cura di Chiara Cerioni
Fetal programming
Il termine fetal programming o programmazione fetale si riferisce alla possibilità che, nel corso dello sviluppo fetale, l’applicazione di uno o più stimoli esterni possano influenzare il processo di sviluppo stesso in senso positivo o negativo.
Durante lo sviluppo embrionale e fetale, esistono periodi critici nei quali si sviluppano tessuti e organi che coincidono con il momento di rapida differenziazione cellulare; l’interferenza da parte di eventi esterni durante questi periodi può determinare alterazioni permanenti di alcune funzioni metaboliche strutturali e fisiologiche del feto (Baker D.J., 2007).
L’epidemiologo britannico Barker fu il primo a formulare l’ipotesi, nota come “ipotesi Barker“, secondo la quale le interferenze che avvengono durante questo periodo critico predispongono il feto a sviluppare malattie postnatali.
Già dal 1990 infatti egli sosteneva l’importanza di orientare l’attenzione della ricerca all’ambiente intrauterino piuttosto che ai fattori ambientali dell’infanzia, aprendo la strada ad un nuovo modello interpretativo della malattia degenerativa dell’adulto che da risalto al ruolo della programmazione fetale da parte dell’ambiente e spingendo verso l’abbandono del vecchio modello interpretativo basato sull’interazione tra i geni e un ambiente avverso nella vita adulta (Baker D.J., 1990).
L’ipotesi DOHaD (Developmental Origins of Health and Disease) ha introdotto l’esistenza di un’associazione tra basso peso alla nascita e un aumento del rischio di sviluppare malattia coronarica, ed ha aperto il campo a studi che hanno dimostrato come la denutrizione prenatale e postnatale precoce predispongono il corpo a malattie croniche nella vita adulta (Crystal D. et al., 2018)
L’origine fetale delle malattie croniche adulte
I primi studi in merito hanno dimostrato come l’ambiente nutrizionale, ormonale e metabolico offerto dalla madre può programmare in modo permanente la struttura e la fisiologia della prole focalizzando la propria attenzione sulle modificazioni che la denutrizione in utero apporta in modo permanente sulla struttura, la fisiologia e il metabolismo del corpo (Baker D.J., 2007).
La denutrizione, anche per brevi periodi durante la vita intrauterina, porta a cambiamenti persistenti nella pressione sanguigna, nel metabolismo del colesterolo, nella risposta dell’insulina al glucosio e in un’ampia gamma di parametri metabolici, endocrini e immunitari che portano ad un aumento delle malattie coronariche e ictus nella vita adulta (Baker D.J., 1997).
Gli studi più famosi in merito sono quelli che hanno indagato gli effetti dell’esposizione prenatale alla carestia olandese del 1944-45 dimostrando un aumento della mortalità entro i 50 anni tra i soggetti esposti alla carestia nella tarda gestazione (Roseboom T.J. et al., 2001).
La denutrizione materna durante la gestazione ha dimostrato avere effetti importanti sulla salute della prole in età avanzata e tali effetti dipendono dai tempi di esposizione alla carestia nel corso della gestazione.
L’esposizione alla carestia durante qualsiasi fase della gestazione è stata associata ad alterata tolleranza al glucosio; l’esposizione ad inizio gestazione è stata associata ad un aumento delle malattie coronariche, ad un profilo lipidico più aterogenico, disturbi della coagulazione, maggiore reattività allo stress e obesità; mentre l’esposizione a metà gestazione sembra correlata a microalbuminuria e malattie ostruttive delle vie aeree (Roseboom T., de Rooij S. et Painter R.; 2006).
Nel corso degli ultimi due decenni i ricercatori hanno ampliato tale filone di ricerca indagando un’ampia gamma di malattie croniche adulte a possibile eziologia fetale dimostrando che tutte le esperienze positive o negative del feto durante il periodo intrauterino possono influenzare il suo futuro stato di salute (Öztürk H.N.O. et Türker P.F., 2021).
L’esposizione intrauterina ad uno stile alimentare scorretto (sia in termini di bilanciamento che in termini di quantità), a sostanze tossiche, alcool, tabacco, interferenti endocrini e infezioni congenite può scatenare una rimodulazione dei processi epigenetici che possono a loro volta comportare un aumento della frequenza delle malattie coronariche, disregolazione endocrina, sovrappeso, obesità e disturbi del metabolismo glicidico, sindrome metabolica e aumento del rischio di insulino-resistenza, invecchiamento precoce, malattie neurodegenerative, ritardi nel linguaggio, diminuzione delle capacità cognitive e disturbi mentali e dello sviluppo neurologico.
Basi biologiche dell ipotesi DOHaD
L’ipotesi dell’origine fetale delle patologie croniche adulte è basata essenzialmente su fenomeni biologici diffusi nel mondo animale come ad esempio il fenomeno della plasticità dello sviluppo e della crescita compensativa (Barker D.J., Eriksson J.G., Forsén T. et Osmond C., 2002)
Il fenomeno della “plasticità fenotipica” consente ad un genotipo di dare origine ad un’ampia gamma di fenotipi in risposta alle diverse condizioni ambientali che possono insorgere durante lo sviluppo; tale fenomeno permette all’individuo il vantaggio di adattarsi meglio all’ambiente in cui vive (es. crescita fetale commisurata alle dimensioni del bacino materno).
In ambito biologico è stato inoltre evidenziato che quando la denutrizione durante le prime fasi dello sviluppo è seguita da una migliore nutrizione, molti animali e piante registrano una crescita accelerata o “compensativa” che però comporta tra gli svantaggi la riduzione della durata della vita che è verosimilmente legata al fatto che un tasso più elevato di divisione cellulare provoca un accorciamento più rapido delle estremità protettive dei cromosomi (telomeri) che accelera la morte cellulare.
Esistono diverse teorie che possono spiegare perché il basso peso alla nascita è biologicamente associato all’origine delle patologie croniche adulte (Barker D.J., 2004).
In primis la cosiddetta “teoria della storia della vita” che afferma che, durante lo sviluppo, una maggiore allocazione di energia verso un organo (es. cervello) riduce necessariamente l’allocazione verso altri tessuti e processi, tra cui i processi di riparazione tissutale, con conseguente vulnerabilità alle malattie successive.
Un’altra ipotesi è quella del “fenotipo parsimonioso” che postula che un bambino abituato ad un ambiente nutrizionale inadeguato adotta un modo “parsimonioso” di gestire il cibo; dal punto di vista metabolico infatti, si determina iposecrezione di insulina da parte delle cellule beta pancreatiche che non può essere invertita nemmeno con un successivo nutrimento adeguato (Kwon E.J. et Kim Y.J., 2017).
Inoltre le osservazioni sugli animali mostrano che l’ambiente durante lo sviluppo modifica in modo permanente non solo la struttura e la funzione del corpo, ma anche le sue risposte agli influssi ambientali incontrati in età avanzata.
Un altro modello postulato è il “modello predittivo adattativo”che prevede che in risposta ad uno stimolo ambientale l’organismo può attivare sia delle risposte il cui il beneficio è immediato, sia risposte in previsione di un beneficio futuro; si parla in questo ultimo caso di risposte adattive predittive (PAR).
Sembrerebbe che tali risposte vengano realizzate durante la fase di plasticità dello sviluppo fetale per ottimizzare il fenotipo al probabile ambiente in cui vivrà l’organismo maturo
al fine di ottimizzare la possibilità di sopravvivenza e riproduzione dell’adulto (Gluckman P.D. et Hanson M.A., 2004).
Qualora si verifichi una corrispondenza tra l’ambiente maturo previsto e quello effettivo, cioè se l’ambiente postnatale è come previsto durante lo sviluppo prenatale, queste risposte adattive predittive risultano appropriate e aiutano la sopravvivenza; se la previsione prenatale si rivela errata, le risposte adattative predittive sono inappropriate ed aumentano il rischio di malattia. Pertanto, qualsiasi aspetto della plasticità dello sviluppo che può essere influenzato in modo irreversibile dall’ambiente può essere considerato una risposta adattiva predittiva se conferisce un vantaggio di sopravvivenza a lungo termine quando gli ambienti futuri previsti e reali coincidono (Gluckman P.D. et Hanson M.A., 2004).
Dal punto di vista dei fenomeni epigenetici è da riportare che la metilazione dell’acido desossiribonucleico (DNA) svolge un ruolo cruciale nello sviluppo embrionale e fetale, in particolare nello stabilire e mantenere l’identità cellulare (Öztürk H.N.O. et Türker P.F., 2021).
Diversi studi sugli esseri umani, partendo dal concetto generale che i geni di organismi originati da infezioni batteriche e virali possono influenzare la fisiologia di altri organismi, supportano l’ipotesi che propone che un gene materno o paterno possa influenzare la fisiologia di un discendente senza essere presente in quel particolare individuo (Hocher B., 2014).
I primi 1000 giorni di vita
Con il termine primi 1000 giorni di vita si intende quel lasso di tempo che comprende il periodo preconcezionale, la gravidanza e il periodo post natale fino al compimento del secondo anno di vita; questo periodo rappresenta una finestra critica di crescita e di sviluppo in quanto l’esposizione a fattori di stress dietetici, ambientali, ormonali e di altro tipo durante questo periodo è stata associata a un aumento del rischio di esiti avversi per la salute.
Come affermato dal Ministero della Salute nel documento “Investire precocemente in salute:
azioni e strategie nei primi mille giorni di vita” predisposto dal “Tavolo tecnico in materia di tutela e promozione della salute nei primi 1000 giorni di vita: dal concepimento ai due anni di età”, gli interventi preventivi, protettivi e curativi attuati in questa delicata fascia di età possono indurre risultati di salute positivi a breve, medio e lungo termine nel bambino, nei genitori, nella comunità e possono perfino trasferirsi alle generazioni future.
Ne sono un esempio il trattamento profilattico periconcezionale con integratori di acido folico per la riduzione del rischio di difetto del tubo neurale, la riduzione dell’esposizione materna a sostanze tossiche e interferenti, l’identificazione in epoca prenatale delle anomalie congenite che consente di pianificare una corretta assistenza ostetrica e neonatale, la promozione dell’allattamento materno esclusivo e di una corretta alimentazione, ecc.
Nella Dichiarazione di Minsk (WHO, 2015) viene sottolineato come “un bambino che viene curato, nutrito e stimolato, adeguatamente nutrito e protetto nelle prime fasi della vita, diventa un adulto con maggiori possibilità di vita, un migliore sviluppo cognitivo e fisico, risultati scolastici superiori e una maggiore produttività” pertanto la tutela della salute materno-infantile diventa un obiettivo prioritario di politica sanitaria e le scelte politiche dei Governi devono sviluppare azioni strategiche per la sua promozione.
Tra le azioni prioritarie da avviare nei contesti nazionali vengono inserite la promozione di informazioni e servizi preconcezionali di qualità e assistenza alla gravidanza, la promozione, il sostegno e la protezione dell’allattamento al seno, il sostegno delle famiglie nello sviluppo delle capacità genitoriali e la promozione di una copertura sanitaria universale per l’assistenza alla maternità.
I benefici socio-economici degli investimenti effettuati nei primi 1000 giorni sono enormi; “è stato stimato che il ritorno economico dei programmi socio educativi per la prima infanzia arrivi a 7 volte il costo dell’investimento e che i vantaggi economici a medio termine dei programmi di promozione della lettura in famiglia arrivino a 25 volte il costo del programma”.
Come stimato dal Tavolo tecnico in materia di tutela e promozione della salute nei primi 1000 giorni di vita: dal concepimento ai due anni di età, in Italia la distribuzione dell’offerta di prevenzione e cura risulta disomogenea e di conseguenza anche gli esiti in salute a breve e lungo termine ad essa correlati.
Nurturing care
Partendo dal presupposto che le esperienze precoci impattano in maniera importante sulla salute, sullo sviluppo e sul comportamento dei bambini e di riflesso anche sul benessere e la produttività sociale, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha coniato il termine “nurturing care” che può essere letteralmente tradotto in “cure che nutrono”.
Con il termine “nurturing care” si fa riferimento a quelle cure che promuovono salute, nutrizione, protezione, sicurezza, cure responsive e opportunità di apprendimento precoce ai bambini. “Nutrire i bambini” infatti non significa solo assicurare nutrizione, ma anche promuovere la loro salute e la loro sicurezza, prestare attenzione e rispondere ai loro bisogni e interessi, incoraggiarli ad esplorare l’ambiente e interagire con i caregiver e gli altri (WHO, 2018).
Per sviluppare tutto il loro potenziale i bambini hanno bisogno di tutte le cinque
componenti della nurturing care: buono stato di salute, alimentazione adeguata, genitorialità responsiva, opportunità di apprendimento precoce e protezione e sicurezza.
Conclusioni
La letteratura ha dimostrato nel corso degli ultimi decenni che i migliori investimenti in ambito sanitario sono quelli avviati in ambito preventivo e che di questi quelli che evidenziano maggiori benefici a breve, medio e soprattutto a lungo termine sono quelli che interessano il periodo periconcezionale e i primi 1000 giorni di vita.
BIBLIOGRAFIA
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- The biology of the first 1,000 days / [edited by] Crystal D. Karakochuk, Kyly C. Whitfield, Tim J. Green, and Klaus Kraemer. Other titles: Biology of the first thousand days | Oxidative stress and disease ; 42. © 2018 by Taylor & Francis Group, LLC
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- World Health Organization. Regional Office for Europe. (?2015)?. The Minsk Declaration: the life-course approach in the context of Health 2020. World Health Organization. Regional Office for Europe.
- Nurturing care for every newborn: thematic brief. ISBN 978-92-4-003520-1 (electronic version) © World Health Organization and the United Nations Children’s Fund (UNICEF), 2021.
- World Health Organization, United Nations Children’s Fund, World Bank Group. Nurturing care for early childhood development: a framework for helping children survive and thrive to transform health and human potential. Geneva: World Health Organization; 2018. Licence: CC BY-NC-SA 3.0 IGO.