Educatore di prima infanzia: promotore di creatività.
A cura di: Francesca Satragno
INTRODUZIONE
L’articolo vuole proporre una riflessione in merito all’importanza delle competenze trasversali, le soft skills, caratteristiche base per un educatore di prima infanzia che si relaziona con piccoli educandi: i bambini. In questo articolo ci si focalizzerà, in particolare, sulla creatività, soft skills essenziale per la gestione e per una risposta efficace ai cambiamenti.
1. Definizioni di Creatività
Negli anni ’60-’70 sono state proposte diverse definizioni di creatività, ma la maggior parte di esse consisteva in definizioni molto vaghe e poco circoscritte.
La creatività si può definire come “capacità di svolgere attività produttive particolari” (Bianchi, Di Giovanni, 2005). Come sosteneva il poeta Gianni Rodari nella Grammatica della fantasia (1973) “È creativa una mente sempre al lavoro, sempre a far domande, a scoprire problemi dove gli altri trovano risposte soddisfacenti, a suo agio nelle situazioni fluide nelle quali gli altri fiutano solo pericoli, capace di giudizi autonomi e indipendenti, che rifiuta il codificato, che rimanipola oggetti e concetti senza lasciarsi inibire dai conformismo”.
Lo scrittore evidenzia l’importanza di questo potenziale che permette al bambino di formarsi grazie alle diverse esperienze che incontra nel suo percorso evolutivo. Rodari usa termini di “creatività” e “immaginazione” e “fantasia” come sinonimi creando una sorta di metodologia per educare alla creatività, adoperando il genere narrativo, la struttura della fiaba e della favola (Bertolini, Contini, 2012).
Tali terminologie nell’ambito dell’Educazione sono termini correlati tra loro, che rappresentano basi rilevanti per un educatore che svolge il suo agire educativo volto a lavorare sui processi di apprendimento al fine di favorire un pensiero inventivo.
La creatività, come sosteneva William James in “Principi di Psicologia” (1890), è “una transizione da un’idea a un’altra, una inedita combinazione di elementi, una avuta capacità associativa e analogica”.
È una caratteristica presente in tutti gli esseri umani, in misura differente ed è il “risultato della complementarietà tra ragione ed immaginazione, tra emozione e riflessione tra pensiero divergente e convergente” (Biasion, 2017).
È importante evidenziare quattro requisiti che permettono di nominare un prodotto o un progetto creativo:
- Novità: attività che porta ad individuare soluzioni di problemi non conosciute o scelte di forme non tradizionali
- Originalità: azione e risultato inconsueto e talvolta unico
- Qualità: un progetto o un prodotto per essere di valore deve essere anche pregiato e di alta qualità
- Apprezzabilità: alcune attività creative sono riconosciute e apprezzate. È sufficiente che dispongano di quelle caratteristiche condivise oggettive per essere riconosciute (Bianchi A., Di Giovanni, 2005).
1.1 Creatività e cervello
Jean Piaget ha evidenziato come la conoscenza dipendesse da una costruzione di un’immagine della realtà scaturita dal processo creativo, in cui venivano prodotti tasselli importanti durante il periodo dell’infanzia. Attraverso la sua creatività e atteggiamenti esplorativi, il bambino mette insieme modalità diverse di rappresentarsi e di cambiare la realtà.
Nei primi anni di vita il bambino presenta l’emisfero destro più sviluppato, responsabile della creazione di immagini mentale e analogie, mentre quello sinistro non ancora adeguatamente formato, in quanto strutturato da regole più logiche e consequenziali. La corteccia cerebrale si sviluppa negli anni lentamente ed è a livello funzionale completa lo sviluppo durante la maggiore età. Tale processo di maturazione consente di vivere le esperienze e modificare le reti neuronali sulla base degli stimoli ambientali e culturali (Oliviero, 2011).
Alcuni studi hanno esaminato il ruolo dell’asimmetria degli emisferi cerebrali, sostenendo che l’emisfero destro fosse l’area utilizzata maggiormente da persone creative mentre l’emisfero sinistro fosse utilizzato più da persone razionali (Sternberg, 1999). Per merito di diversi studi è possibile affermare ’esistenza di più conclusioni, al contrario di una sola univoca definizione di creativa: l’individuo impegnato in un processo creativo attiverebbe più regioni del cervello in diversi processi cognitivi, coinvolgendo anche le emozioni.
2. Pensiero divergente e creatività
L’educatore, essendo regista dell’azione educativa attraverso un pensiero divergente, è e sarà quel soggetto che veicola idee, possibilità e limiti ai bambini. Il ruolo dell’adulto nei contesti educativi della prima infanzia ha una valenza di straordinaria importanza in quanto detiene per gran parte la responsabilità di promuovere o meno l’importanza della creatività.
2.1 Guilford
Negli anni ’50 Guilford, massimo esponente della Gestalt, ha sottolineato l’importanza della distinzione tra pensiero divergente e convergente a seguito di studi condotti mediante test psicometrici. Il pensiero convergente si manifesta quando la soluzione è chiusa durante problemi e che ammettono un’unica soluzione corretta. Il pensiero divergente, invece, si manifesta quando la soluzione è aperta e ammette possibili e molteplici risposte, rilevanti.
Guilford ha analizzato inoltre i fattori che compongono l’intelligenza umana e come questi ultimi si organizzano nella loro produttività. A seguito di diversi esperimenti, egli sottolinea come le abilità divergenti siano indipendenti da quelle convergenti: un soggetto può essere ad un ottimo livello nelle une e non nelle altre.
Egli scompose il pensiero in tre fattori:
- fluidità: la capacità e ricchezza del flusso di idee scaturite da uno stimolo
- flessibilità: la rapidità e facilità con cui si passa da un schema all’altro
- originalità: la misura in cui le espressioni prodotte so allontano dalle quelle ricorrenti.
2.2 Köhler e Wallas
Nell’ambito dell’altro filone degli studi della creatività, legato all’approccio cognitivista, Köhler introdusse il concetto dell’Insight, definibile come un’intuizione, illuminazione, momento in cui vi è comprensione istantanea nella risoluzione di un problema attraverso un pensiero innovativo. Egli aveva constatato dai suoi studi che tipicamente l’atto intelligente avvenisse una volta, preceduto da fasi specifiche in cui il soggetto sembra muoversi senza una meta o resta fermo come segno di rassegnazione.
Nel 1926 tale studio fu ripreso da Wallas, il quale evidenziò gli stadi tipici del un processo creativo:
- Preparazione: fase in cui il soggetto individua i suoi interessi e comincia ad esplorare le possibilità e le difficoltà del lavoro.
- Incubazione: fase variabile che può durare anno finì pochi minuti. L’interesse è messo da parte ed il soggetto si dedica ad altro.
- Insight: illuminazione improvvisa, soluzione del problema. Fase in cui il progetto è compiuto e realizzabile: il pensiero divergente ha un ruolo primario.
- Verifica: fase in cui si svolge un esame attento e critico delle idee, soluzioni e risultati.
- Esecuzione: fase in cui il progetto viene messo in atto (Bianchi, Di Giovanni, 2005).
Come sosteneva Rinaldi (2020): “La capacità di costruire tra pensieri e oggetti muove connessioni che portano innovazione e cambiamento prendendo elementi conosciuti per creare nuove interpretazioni […] Basta ascoltare il bambino per capire che cosa intende per creatività la scuola stessa diventa un atelier, metafora di un luogo dove la costruzione della conoscenza del singolo bambino è un processo in cui i linguaggi scientifici espressivi, logico-matematici, svolgono un ruolo strutturante l’episteme stesso della conoscenza”.
È rilevante che all’interno di un contesto di prima infanzia si educhi alla creatività e che non venga pensata solo in termini di un ‘fare artistico’, e collegando tale processo a materie artistiche, letterarie o attività grafico/pittoriche. Educare alla creatività oggi vuol dire promuovere un fare innovativo, divergente, alternativo.
3. Educare alla creatività
L’educatore, nel suo agire educativo, è promotore di creatività: è importante che stimoli il bambino affinché diventi lui stesso protagonista attivo raccogliendo risultati positivi dalle sue esperienze.
Nel 2000 alcuni contesti educativi, al fine di apportare migliorie e consapevolezza, si chiedono se sia più importante insegnare in modo creativo o insegnare ai piccoli ad essere creativi.
Il National Advisory Committee on Creative and Cultural Education ha evidenziato che insegnare ad essere creativi coinvolge l’insegnante a lavorare creativamente: di conseguenza, questa soft skills viene trasmessa implicitamente. Jeffrey e Craft (2004) affermano: “è necessario elicitare nei bambini e nei ragazzi delle esperienze di apprendimento che facciano leva sia sulle caratteristiche personali, sia sull’abilità di trarre nuove soluzioni da ciò che viene loro insegnato“.
3.1 Il Reggio Emilia Approach
Nel Reggio Emilia Approach, che vede come massimo esponente il pedagogista e psicologo Loris Malaguzzi, la creatività viene percepita come valore e qualità di una pensiero predisposto alla pedagogia dell’ascolto e della relazione (Martini, Missoni, Gilioli, Rustichelli, 2020). Egli crede nelle potenzialità del bambino e del valore dell’educazione ritenendo il soggetto portatore di una ricchezza intrinseca, il compito principale della pedagogia e quella di svilupparla e farla emergere.
Il punto centrale della sua teoria è racchiuso in queste parole: “quando gode di libertà sufficienti è ancora di buona sorte può correre tra adozioni e restauri, supportare errori e ritardi e azzardare intuizioni e scelte di qualche originalità. L’importante è non essere prigioniera di troppe certezze, così da essere sempre pronta a rendersi conto della relatività dei suoi poteri, delle estreme difficoltà di tradurre in pratica le formulazioni ideali”
Secondo Malaguzzi la scuola deve essere un luogo vivibile, amabile seguendo il motto “niente senza gioia”, inteso come luogo piacevole sin dal primo giorno per un bambino. Il pedagogista attribuisce molto valore all’ambiente in cui era immerso il bambino: esso rappresenta infatti “il terzo educatore” che, mediante una cura e attenzione dei luoghi e degli spazi, si è creato un luogo di lavoro, di manipolazione e di sperimentazione che permette al bambino di esprimersi (Simone, 2011).
3.2 L’Atelier
L’atelier è stato introdotto nella seconda metà degli anni sessanta, presente in ogni nido e scuola dell’infanzia di Reggio Emilia. L’obiettivo era quello di costruire un luogo dove ogni bambino potesse “affinare tutte le percezioni e dove poteva indagare ed esplorare con mente e mani contemporaneamente: un luogo dove, attraverso le azioni, si rendono visibili i concetti e le idee.. un luogo di osservazione e documentazione privilegiata dei processi dei bambini, dove l’esplorazione di diversi strumenti, tecniche e materiali era, ed è ancora oggi, collocata all’interno di contesti di significato in cui la strumentazione e la tecnica diventano linguaggio di comunicazione ed espressività” (Vecchi, 2010).
L’atelier era gestito da una persona con formazione artistica: l’atelierista, educatore e artista. Attraverso l’atelier i bambini fanno esperienza completa, utilizzando differenti linguaggi a partire da quello musicale a quello visivo, da quello verbale a quello della corporeità, intrecciando emozioni ed empatia con la razionalità. Uno spazio aperto che promuove e stimola l’invenzione, nel quale i bambini scoprono nuovi concetti con strumenti e materiali differenti. Elaborando pensieri, idee, immagini che sono il risultato dei linguaggi che hanno a disposizione (Edwards, Gandini, Forman, 2014).
L’atelier evidenzia gli aspetti cognitivi legati a quelli emotivi, sottolineando come sia l’emozione a stimolare nel bambino la volontà nel conoscere. Gli educatori, pertanto, hanno il compito in sinergia collaborativa con l’atelieristi, di creare una programmazione e progettazione tesa a sviluppare la creatività di ogni bambino seguendo queste semplici ed efficaci indicazioni:
- Tollerare gli errori: durante attività strutturate e destrutturate L’educatore è importante che sia flessibile e accetti comportamenti.
- Non sovrastare i piccoli educandi con le nostre idee: l’adulto deve essere capace di contenere positivamente l’esuberanza e che non impartisca delle soluzioni.
- Finalizzare le attività educative: per favorire una creatività libera e consapevole è importante pianificare e sviluppare attività che danno spazio sia allo spontaneismo ma che promuovano l’importanza dell’impegno, del faticare e del lavoro (Bianchi, Di Giovanni, 2005).
CONCLUSIONI
In sintesi si può affermare che il “pensiero creativo dei bambini si mostra nella capacita di elaborare metafore e analogie, d’operare trasformazioni simboliche, di generare teorie e interpretazioni, nella creazione di storie e scenari immaginari e nei processi di problem solving” (Martini, Missoni, Gilioli, Rustichelli, 2020)
In conclusione è importante che chi educa o chi ha la responsabilità nell’azione educativa nei confronti di un bambino, pensi creativo e divergente, al fine di promuovere un agire di innovazione, di cambiamento e di crescita.
BIBLIOGRAFIA
- Rodari G. “Grammatica della fantasia. Introduzione di inventare storie.” Torino: Einaudi 1973
- James W. “Principi di Psicologia” USA: Dover Publication 1890
- Biasion I. rivista “Il cervello e la creatività: le basi neurali e molecolari del processo creativo” State of Mind 2017
- Bertolini C. Contini A. “Munari, Rodari e Malaguzzi nell’educazione della creatività” in R. Cardello
- A. Gariboldi “Pensare la creatività. Ricerche nei contesti educativi prescolari”, Parma: Junior -Spaggiari Edizioni 2012
- Sternberg J. “Handbook of Creativity”. USA: Cambridge University Press, 1999
- Creatività National Advisory, “Committee on Creative and Cultural Education” London: Department of Education and Employment 1999
- Oliviero A. rivista “Mente & Cervello”, Le Scienze 2011
- Vecchi, V. Intervista di Gandini, L. in Edwards et al. 2010
- Bianchi A., Di Giovanni P. “Psicologia oggi,” Torino: Paravia 2005
- Martini D., Missoni I., Gilioli C., Rustichelli F. “Progetto e/è ricerca”, Parma: Edizioni junior 2020
- Educatore degli Asili Nido – Manuale preparazione concorsi IX Edizione Arzano: Edizione Simone 2011
- Edwards C. Gandini L. Forman G. “I cento linguaggi dei bambini. L’approccio di Reggio Emilia all’educazione dell’infanzia” Parma: Edizioni junior 2014
- Jeffrey e Craft rivista “Educatori Creativi” 2004 https://boa.unimib.it/retrieve/handle/10281/257258/373568/Villa_Strumenti_di_lavoro_gennaio20.pdf