DSA: Screening precoce e potenziamento degli apprendimenti

a cura di Chiara Heinrich

I Disturbi Specifici dell’Apprendimento

Sono stati numerosi i tentativi di delineare la complessità del labirinto dei Disturbi Specifici dell’Apprendimento (D.S.A.), partendo innanzitutto dalle diverse definizioni dei processi di apprendimento stessi che, a seconda dell’approccio teorico, hanno caratteristiche proprie.

È il 1990 l’anno in cui Hammil introduce l’assunto di learning disabilities, in riferimento ad un gruppo eterogeneo di disordini che raccolgono un’ampia gamma di problematiche dello sviluppo cognitivo, non però imputabili ad handicap mentali, piuttosto definibili come l’assenza del raggiungimento dei requisiti di apprendimento attesi rispetto alle potenzialità generali. Tuttavia, la traduzione in Disturbo dell’Apprendimento si riferisce più alla problematica che alla persona, evitando così la sua patologizzazione. Il disturbo si distingue dall’espressione generica di “difficoltà scolastica”, in quanto non si tratta solo di una prestazione insufficiente bensì di una specifica condizione accertata da diagnosi. Dunque, è lecito chiedersi: quando comincia il disturbo e quando invece la difficoltà? Le due condizioni possono sovrapporsi, e per quanto sia difficoltoso scindere le problematiche in questione, è funzionale identificare quali caratteristiche possono appartenere ad un profilo compromesso e quali, invece, ad un rallentamento nell’acquisizione di conoscenze e competenze scolastiche.

L’impotenza appresa

L’esperienza che vive frequentemente un alunno con DSA è caratterizzata da critica, rifiuto, aumento della frustrazione, laboriosità nello svolgere in autonomia attività scolastiche considerate banali, insieme alla difficoltà nell’ottenere un’immagine di sé soddisfacente e alla percezione di impossibilità. Il rischio è quello di trovarsi di fronte ad un senso di sfiducia persistenze e totalizzante, che si configura come «un’impotenza appresa» (Hiroto & Seligman, 1975, pp. 311327), un modello comportamentale che implica una risposta disadattiva caratterizzata dal collasso delle strategie di problem solving. È pertanto necessaria un’azione pedagogica a supporto dell’autoefficacia e del riequilibrio dell’autostima dello studente con DSA, insieme alla compensazione dell’abilità deficitaria presente.

Evoluzione e Screening

Nell’ambito dei Disturbi Specifici di Apprendimento l’azione di screening ha come obiettivo il prevedere dell’insorgere del disturbo al fine di prevenirlo o ridurne gli effetti e che l’esordio della condizione patologica possa essere rilevato prima del suo reale manifestarsi. L’importanza di un intervento simile poggia sul presupposto che esistano degli indicatori che anticipino la comparsa del DSA: i primi di un possibile rischio d’insorgenza del disturbo sono le difficoltà nelle competenze comunicativolinguistiche, motorioprassiche, uditive e visuospaziali, riscontrabili già in età prescolare. Per un intervento precoce, gli screening «andrebbero condotti all’inizio dell’ultimo anno della scuola dell’infanzia con l’obiettivo di realizzare attività didattichepedagogiche mirate» (AID, 2019, pp. 5152). Durante il primo anno di scuola primaria è opportuno che gli insegnanti realizzino delle osservazioni sistematiche e periodiche delle competenze di letturascrittura, in quanto è possibile assistere alla manifestazione di segni che portano all’individuazione degli studenti “a rischio”, i quali possono presentare una o più delle seguenti caratteristiche:

  • Difficoltà nell’associazione grafemafonema o viceversa;
  • Mancato raggiungimento del controllo sillabico in lettura e scrittura;
  • Lentezza eccessiva nella lettura e scrittura;
  • Incapacità a produrre le lettere in stampato maiuscolo in modo riconoscibile;
  • Mancinismo in associazione alle sopraindicate difficoltà.

Il metodo preferibile per l’individuazione dei fattori di rischio è quello della ricercaazione (Trombetta & Rossella, 2000), una procedura riconducibile a Kurt Lewin, teorizzata secondo il noto paradigma pianificare agire osservare ripianificare agire osservare, in cui professionisti diversi affrontano il caso condividendo la progettualità e verificandone gli effetti nel tempo. Alcuni esempi di strumenti di indagine precoce del rischio DSA possono essere:

  1. PACSI: uno strumento composto da 11 prove che valutano le aree di consapevolezza fonologica, memoria a breve termine e di lavoro, denominazione e abilità visuospaziali. Le prove permettono di calcolare la probabilità del bambino di incontrare difficoltà di apprendimento della lingua scritta alla fine della prima primaria, e pianificare gli interventi didattici preventivi o di migliorare la previsione del rischio (Scalisi et.al., 2009);
  2. IPDA: si tratta di un questionario composto da 43 item, suddivisi in abilità generali e specifiche: le prime, attinenti all’appropriatezza dell’apprendimento in generale, riguardanti la valutazione degli aspetti comportamentali, motricità, comprensione linguistica, metacognizione, espressione orale e altre abilità cognitive; mentre le seconde, quelle specifiche, concernenti i prerequisiti della lettoscrittura e della matematica (Terreni et.al., 2011);
  3. PRCR2: tale strumento permette di rilevare in modo rapido il livello dei prerequisiti specifici e di esecuzione dei processi parziali implicati nell’attività di decodifica di lettura e scrittura. Con l’utilizzo del test è possibile indagare, mediante compiti diversi, le aree di analisi visiva, lavoro seriale da sinistra a destra, discriminazione uditiva e ritmo, memoria uditiva sequenziale e fusione uditiva, integrazione visivouditiva e globalità visiva (Cornoldi et.al., 2009);
  4. CMF: consente di soppesare lo sviluppo delle competenze metafonologiche mediante prove di fusione e segmentazione sia sillabica che fonemica, di classificazione di sillabe e fonemi iniziali e rime, di manipolazione quali spoonerismo e delezione sillaba iniziale e finale (Marotta et.al., 2008);
  5. CoPS: si tratta di un software progettato per l’esaminazione psicometrica di bambini in età compresa tra i 4 e i 7 anni ed è costituito da nove prove game–based, che permettono di vagliare le abilità cognitive per l’apprendimento, evidenziando i punti di forza e di debolezza. Valuta direttamente memoria sequenziale visivo/spaziale (spazio/temporale), memoria visivo/ verbale (simbolica), memoria associativa uditivo/visiva, memoria sequenziale uditivo/verbale, apprendimento associativo visivo/verbale, consapevolezza fonologica, discriminazione uditiva e cromatica e, indirettamente, velocità di processamento motorio e delle informazioni (Stella & Landi, 2010).

L’evidenza che accomuna questa serie di strumenti di screening è l’indagine di quelle abilità o prerequisiti ritenuti previsori del successivo apprendimento della lettoscrittura, come le competenze linguistiche, la working memory; la capacità di denominazione rapida e le componenti visuospaziali.

L’intervento precoce

Alla luce di quanto emerso, è senza dubbio di estrema importanza porre l’attenzione degli insegnanti e dei genitori sulla prevenzione e l’intervento precoce, in quanto queste due componenti hanno la potenzialità di essere più efficaci rispetto a rimedi spostati nel tempo. In certi casi, un intervento tradivo può determinarsi come probabile responsabile di danni irreversibili nello sviluppo, pertanto l’individuazione, e di conseguenza l’intervento tempestivo, assumono un ruolo positivo nell’evoluzione dei DSA e, in generale, nella vita del bambino (Baker & Smith, 1999, pp. 239253).

  1. I prerequisiti cognitivi

Gli apprendimenti scolastici di base sono essenzialmente: la lettura e la scrittura in quanto abilità strumentali; la lettura come comprensione; la scrittura come competenza espositiva; il calcolo e le abilità trasversali di meta–memoria e attenzione. Ciascuno dei quali necessita di un prerequisito cognitivo che vi sottenda: per le abilità strumentali, essi sono la memoria fonologica e a breve termine, la fusione e segmentazione fonemica, la coordinazione oculo manuale, la discriminazione visiva e uditiva, l’associazione visivo verbale e l’accesso lessicale rapido; la comprensione del testo, sarà invece supportata da requisiti quali la memoria di lavoro, la conoscenza lessicale e la comprensione delle strutture sintattiche. La competenza espositiva come apprendimento scolastico corre parallela alla competenza oratoria come requisito cognitivo. Il calcolo, invece, necessità di associazione tra simbolo numericografico e nome del numero, corrispondenza biunivoca, conoscenza della numerosità, capacità di seriare per dimensione e quantità. Il prerequisito fondamentale a supporto della metamemoria è la capacità di adottare strategie di apprendimento metacognitivo, ed infine, l’attenzione viene sostenuta dalle abilità di concentrazione.

  1. Il potenziamento degli apprendimenti

Relativamente ai DSA e in ambito scolastico, è necessario parlare di abilitazione, come di sviluppo della funzione deficitaria, volta a favorire l’acquisizione e lo sviluppo tipico della stessa, attraverso

interventi pedagogici. Con potenziamento degli apprendimenti si intende, così, un piano di attività che ha il fine di rinforzare le abilità carenti di lettura, scrittura e calcolo, grazie al quale gli alunni possono incorrere nel superamento della difficoltà percepita. Per un intervento precoce, a partire dalla scuola primaria, e prima ancora da quella dell’infanzia, è possibile porre in essere una serie di strategie, le quali, lavorando per aree, aiutano ad acquisire gli apprendimenti scolastici di base, ovvero le abilità strumentali e trasversali, la comprensione e la competenza espositiva.

  1. Tutoring: accompagnare, incoraggiare, modellare

Il tutoring nella relazione educativa scolastica si configura come una competenza professionale che supporta il bambino nell’affrontare compiti di acquisizione e sviluppo – scaffolding – verso l’acquisizione progressiva dell’autonomia – fading – (Collins, Brown, Newman, 1995, pp. 181231). L’obiettivo principale di un percorso efficace, è quello in cui il discente non necessita più della guida del tutor. La valenza emotiva consiste nello stimolare il bambino ad apprendere, agendo sulla sua autostima e senso di autoefficacia: il bambino e la bambina vengono considerati «capaci e non meno dell’adulto di riflettere sul loro stesso pensiero […] in breve vengono visti non solo come discenti, ma come degli epistemologi» (Bruner, 1997, p. 35). Per avere un quadro chiaro e sistemico delle dimensioni di azione del tutoring, propongo i cinque elementi identificati da Bruner:

  1. Reclutamento, intesa come fase iniziale di motivazione del bambino alle attività;
  2. Riduzione dei gradi di libertà, indica la semplificazione che il tutor opera su aspetti dell’attività di modo che siano alla portata del bambino;
  3. Mantenere la direzione, vale a dire guidare il soggetto inesperto nell’esecuzione proponendo obiettivi più semplici, pur mantenendo l’attenzione sull’obiettivo;
  4. Individuare gli aspetti cruciali, dando indicazioni circa cosa è rilevante e cosa non lo è per il raggiungimento della consegna;
  5. Modeling: il tutor mostra come fare, aspettandosi che il bambino impari attraverso l’esempio.

Adaptive teaching

Il punto focale dello scaffolding sta nella comprensione e nel monitoraggio degli aspetti che rendono difficile, o al contrario facilitano, l’apprendimento del bambino, prendendo decisioni momento per momento attraverso una metodologia adaptive–teaching (Dumont, 2018, pp. 5456).

Per riportare una chiara definizione, l’insegnamento adattivo è:

«[…] insegnamento che organizza le condizioni ambientali per adattarsi alle differenze individuali degli studenti. Man mano che gli studenti acquisiscono attitudine attraverso l’esperienza rispetto agli obiettivi didattici, tale insegnamento si adatta diventando meno invadente. Meno intrusioni, meno insegnante o mediazione educativa, aumentano l’elaborazione delle informazioni e gli oneri comportamentali del discente, e con ciò la necessità di una maggiore autoregolamentazione del discente» (Corno & Snow, 1986).

L’approccio dell’insegnamento adattivo emerge come una soluzione promettente per affrontare la diversità presente in una classe di studenti. Tuttavia, il carattere di eterogeneità rende estremamente complesso generalizzare su quali strategie siano più efficaci per specifici discenti. Questo poichè l’insegnamento adattivo è un approccio che incorpora molte pedagogie come l’istruzione diretta, interventi specifici, miglioramenti motivazionali, l’apprendimento cooperativo, la modellazione di pratiche guidate, lo studio indipendente e discovery learning. Quale di queste pedagogie dovrebbe entrare in gioco al meglio dipenderà dalle caratteristiche e dai bisogni specifici di ogni discente, sotto valutazione del tutor.

  1. Macro e microadattamenti

L’adaptive–teaching sorge come risposta a questa complessità, riconoscendo il tutor come la figura più competente nel prendere decisioni istante per istante, personalizzando l’approccio educativo per ciascuno studente. Ciò rende necessario un continuo adattamento in termini di riduzione della presenza del tutor, man mano che il discente diventa più competente e percepisce sé stesso e le sue potenzialità con sicurezza. Si tratta di Macro e microadattamenti (Corno & Snow, 1986): mentre a volte possono verificarsi macroadattamenti, ovvero programmi didattici modellati da valutazioni formali, i microadattamenti come aggiustamenti momento per momento in risposta alle differenze individuali degli studenti, valutati in modo informale, sono al centro di un tutoring adattivo.

  1. Feedback rapido delle prestazioni

Quanto ai feedback frequenti, i divari di rendimento possono essere colmati attraverso il cosiddetto feedback rapido delle prestazioni: un modello di istruzione individualizzato e strutturato, in cui allo studente vengono presentati compiti impegnativi ma non troppo difficili, in modo che abbia un’alta probabilità di ricevere una valutazione positiva sulle prestazioni su base giornaliera.

Bibliografia

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