Con il termine Training Autogeno si fa riferimento ad una tecnica di rilassamento di interesse psicofisiologico, un metodo di aiuto psicosomatico elaborato dallo studioso di origine berlinese J.H. Schultz e dal suo stesso fondatore definita come un “metodo di autodistensione da concentrazione psichica”.
La stessa etimologia del termine rimanda ad una pratica del tutto particolare: allenamento che si genera (dal greco, Genos) da sè (dal greco, Autos; allenamento che si genera da sè).
Il training autogeno (T.A.) consiste nell’apprendimento graduale di una serie di esercizi di concentrazione psichica passiva che permettono progressivamente il realizzarsi di spontanee modificazioni di funzioni involontarie (tono muscolare, funzionalità vascolare, attività cardiaca e polmonare, equilibrio neurovegetativo, stato di coscienza). (Presson, 1975)
Questo stato di “commutazione autogena” genera una deconnessione psichica permettendo appunto il passaggio da uno stato di veglia ad uno stato di metabolismo di base simile al sonno (Schultz, 1986).
Il concetto di “commutazione” a cui Schutzl si riferisce, rimanda al concetto di cambiamento, modificare uno stato di cose ormai stabilmente strutturato.
Da un punto di vista fisiologico, nella pratica del T.A., effettivamente cambiano le relazioni fra le strutture del sistema nervoso, in modo tale da dare alla funzionalità dell’organismo, soprattutto relativamente al sistema neurovegetativo, un diverso assetto.
Dal punto di vista psicologivo commutare significa cambiare atteggiamenti di vita radicati, abbandonare inveterate abitudini, usare in modo diverso il pensiero, l’ attenzione, la concentrazione. Nel caso del Training Autogeno significa “allenarsi” in modo diametralmente opposto dal consueto concetto di allenamento. Negli allenamenti di vita quotidiana infatti, ci si addestra a fare qualcosa, nel T.A. ci si addestra a “non fare”. Conquistiamo piano piano la capacità di staccarci dalla nostra suprema passione: quella di agire, di operare sulla realtà, per trasformarla e adattarla ai nostri fini; dunque nella pratica del T.A. “ci si allena a non allenarsi”.
Pur avendo una matrice comune con la pratica ipnotica, il T.A. si differenzia sia dalle tecniche autoipnotiche che eteroipnotiche poiché le realizzazioni somatopsichiche sono attivamente indotte dal soggetto e non dal terapeuta, nel T.A. infatti il soggetto diviene man mano del tutto autonomo.
Oltre che dalle tecniche ipnotiche, gli esercizi del training autogeno si differenziano sostanzialmente dai comuni esercizi ginnici, in quanto, con questi ultimi si tende a particolari scopi, ci si allena attivamente per migliorare determinate prestazioni, in conclusione si vuole raggiungere qualcosa nell’attività più totale. Gli esercizi del T.A. hanno invece lo scopo di farci raggiungere lo stato autogeno che è una condizione di passività assoluta, priva di atti volitivi, realizzata nella indifferente contemplazione di quanto spontaneamente accade nel proprio organismo e nella propria mente.
In conseguenza dell’apprendimento di questo nuovo ed insolito atteggiamento si sviluppano spontaneamente modificazioni psichiche e somatiche che sono di senso opposto a quelle provocate nella nostra mente e nel nostro corpo da uno stato di tensione, di ansia, di stress.
Di fronte ad una situazione-stimolo che, sia a livello psicologico che somatico, superi una certa soglia di tolleranza, l’unità biopsichica reagisce, a seconda dell’intensità dello stimolo, con tensione muscolare, spasmo viscerale, sensazione di freddo per il corpo, alterazione funzionale nei meccanismi neurovegetativi, endocrini, umorali. Si può inoltre avvertire sensazioni di calore al capo, l’impressione di essere sopraffatti dalle proprie emozioni e dai pensieri che si affollano nella mente.
L’allenamento alla realizzazione di uno stato di sempre maggiore passività, consente invece all’unità biopsichica, di reagire gradualmente, in modo opposto. Si determinano allora distensione muscolare e vascolare, rilasciamento viscerale, sensazione di calore per il corpo, regolarizzazione funzionale nei meccanismi neurovegetativi, endocrini, umorali; infine sensazione di fresco alla fronte che corrisponde a uno stato di calma, di benessere, di pace interiore.
Nonostante lo stesso Schultz definì il proprio metodo “Yoga occidentale” e l’ esistenza di molte affinità fra le due tecniche, possiamo riscontrare una nel soggetto che le realizza uno stato di concentrazione totalmente differente: nel T.A. essa è passiva e si orienta su sensazioni somatiche, mentre nelle tecniche orientali è attiva e si avvale di spunti meditativi a contenuto religioso.
a caratteristica fondamentale di questo metodo e’, appunto, la possibilità di ottenere, attraverso esercizi che potremmo considerare “mentali”, delle reali modifiche corporee, che a loro volta sono in grado di influenzare la sfera psichica dell’individuo.
Ciò è possibile proprio perchè l’organismo umano si configura come unità biopsichica, in cui mente e corpo sono strettamente correlati, in un rapporto di influenza reciproca e costante; è pertanto possibile attraverso semplici attività mentali produrre modificazioni delle funzioni organiche e viceversa.
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