AUTISMO: EPIDEMIOLOGIA, CLASSIFICAZIONE E TRATTAMENTO.

a cura di Marco Corsetti

Le prime descrizioni di disturbi quali autismo e patologie correlate sono state formulate da ricercatori i quali hanno riscontrato alcuni elementi apparentemente comuni tra i bambini con gravi e complesse difficoltà di sviluppo. Negli ultimi decenni la ricerca ha assunto un ruolo centrale nella definizione dei criteri diagnostici e delle categorie stesse apportando una serie di modifiche alle prime descrizioni del disturbo. A partire dalla sua prima definizione ad opera di Kanner la definizione della condizione autistica fu oggetto di studio da parte di ulteriori ricercatori quali Hans Asperger o anche Michael Rutter, quest’ultimo ne propose una definizione molto più affine a quella oggi conosciuta caratterizzata da un ritardo nello sviluppo generale, nelle abilità linguistiche, sociali; in associazione ad interessi ristretti e comportamenti ripetitivi. I disturbi dello spettro autistico presentano ad oggi una prevalenza stimata, in Italia, di circa 1 bambino su 77 di età compresa tra 7 e 9 anni, con un tasso maggiore nel sesso maschile. L’eziologia esatta del disturbo è tutt’ora ignota anche se sono stati identificati alcuni dei fattori causali. La condizione autistica accompagna l’individuo per l’intera durata dell’arco di vita; ad ora non è ottenibile una risoluzione completa, sebbene vi sia un’ampia disponibilità di trattamenti in grado di impattare positivamente sugli esiti a lungo termine del disturbo attraverso una riduzione della disabilità associata ed un miglioramento della qualità di vita.

EPIDEMIOLOGIA E CLASSIFICAZIONE

Gli studi epidemiologici internazionali documentano negli ultimi anni un incremento generalizzato della prevalenza di Disturbi dello Spettro Autistico (ASD) in relazione ad una maggior consapevolezza degli operatori sanitari, socio-sanitari ed educativi; all’aumentata conoscenza da parte della popolazione generale, nonché alle modifiche dei criteri diagnostici e all’affinamento degli strumenti e delle stesse tecniche diagnostiche. (SINPIA; 2022)

Attualmente la prevalenza del disturbo è stimata intorno ad 1 bambino su 54 (8 anni di età), ossia all’1,85%, negli Stati Uniti d’America, 1 su 160 ossia lo 0,62% in Danimarca e Svezia, 1 su 86 ovvero l’1,16% in Gran Bretagna. Nel panorama Italiano i dati stimati nell’ambito del ‘’Progetto Osservatorio per il monitoraggio dei disturbi dello spettro autistico’’ co-coordinato dall’Istituto Superiore di Sanità e dal Ministero della Salute evidenziano come il disturbo interessi circa 1 bambino su 77, pari all’1,29% con maggior prevalenza nel sesso maschile in un rapporto 4,4 volte superiore al genere femminile. (Ministero della Salute; 2024)

Fattori in grado di influenzare i dati di prevalenza della diagnosi sono il genere e l’età della diagnosi. Sebbene possa essere diagnosticato intorno ai 24 mesi, vari studi testimoniano come l’ età vari tra i 36 ed i 120 mesi con un età media riportata intorno ai 55 mesi (4,5 anni) con diagnosi ancor più tardive (9/11 anni) nelle forme più lievi. Le forme più gravi si associano tipicamente a diagnosi in età prescolare. Gravità ed espressione delle caratteristiche della condizione possono, pertanto, influenzare il momento della diagnosi. (Nadir S. et Al; 2022).

In seguito alla prima definizione di autismo ad opera di Kanner, l’interesse per questa condizione aumentò gradualmente. Una delle linee principali di ricerca si focalizzò sulla possibilità che all’origine dell’autismo vi fosse una qualche psicopatologia dei genitori (Bettleheim, 1967). Per alcuni decenni si credette anche che l’autismo fosse una delle prime manifestazioni della psicosi infantile o schizofrenia. Studi successivi ( kolvin e Rutter, 1972) iniziarono a chiarire la differenza tra autismo e schizofrenia in termini di esordio, caratteristiche cliniche e anamnesi familiare (Volkmar et al; 2014). A partire dal 1980 la categoria ‘’autismo infantile’’ fu inserita ufficialmente tra le diagnosi riconosciute nel DSM-III. Successivamente con il DSM-IIIR (1987) si passò alla definizione di ‘’disturbo autistico’’ identificando 16 criteri diagnostici raggruppati in 3 macroaree principali: compromissione qualitativa nell’interazione sociale reciproca, compromissione qualitativa nella comunicazione, limitazione nel repertorio di attività ed interessi. La successiva pubblicazione del DSM IV fu caratterizzata dall’ampliamento della categoria diagnostica dei disturbi del neurosviluppo con l’introduzione di altri tra i quali quello di Asperger. Appartenevano a tale categoria diagnostica anche il disturbo disintegrativo della fanciullezza e la sindrome di Rett.

La successiva pubblicazione del DSM V (2013) introdusse una serie di modifiche rispetto alla precedente versione del manuale. Quanto al caso dei disturbi del neurosviluppo il nuovo manuale ha introdotto la denominazione di ‘’disturbi dello spettro autistico’’, eliminando definitivamente le differenti diagnosi indicate nel DSM IV, quali: Disturbo autistico, Sindrome di Asperger, Disturbo pervasivo dello sviluppo non altrimenti specificato, disturbo disintegrativo dell’infanzia. L’introduzione della nuova categoria diagnostica è da ricercare nel somiglianza dei sintomi base delle varie manifestazioni, componenti di un clsuter sintomatologico a diverso grado di variabilità nelle differenti epoche di sviluppo. Il termine ‘’spettro’’ sta, dunque, a rappresentare un termine ‘’ombrello’’ in grado di racchiudere le molteplici ed eterogenee manifestazioni cliniche.

EZIOLOGIA

Nel corso degli ultimi due decenni si è assistito ad un progressivo incremento della prevalenza dei disturbi dello spettro autistico, tuttavia non sono emersi marcatori diagnostici chiari. Sulla base di studi familiari e di popolazione è emerso che l’ereditarietà del disturbo dello spettro autistico è pari al 50% di quella della malattia mentale, dato ancor più elevato nei gemelli. Ad oggi la causa genetica della presenza di un suddetto disturbo è chiara nel solo 20% dei casi. Nonostante gli sforzi fatti in campo di ricerca eziologia e meccanismo d’azione restano sconosciuti poiché nella sua patogenesi sono coinvolti molteplici geni e fattori di rischio ambientale.

Tra le varianti genetiche più studiate si osservano quelle a carico delle ‘’neurexine’’, in particolare il CNTNAP2, proteina sinaptica che svolge un ruolo cruciale nello sviluppo neurale. Mutazioni a carico del suddetto gene possono essere correlate alle anormalità comportamentali del disturbo attraverso un’alterazione della neurotrasmissione sinaptica, della connettività neuronale e dell’attività della rete neuronale stessa. (Lazaro MT. et al; 2019)

Tra gli altri geni suggestivi di un aumentato rischio di sviluppo della condizione autistica vi sono: l’MTHFR, con particolare riferimento al polimorfismo C667T associato ad una ridotta attività enzimatica in grado di influenzare il metabolismo dei folati e conseguentemente lo sviluppo fetale del cervello. L’OXTR, anch’esso frequentemente studiato, o il RELN codificante per una proteina considerata coinvolta nella migrazione neuronale, nella costruzione della struttura cerebrale, nella formazione di sinapsi e nella stabilità durante lo sviluppo neuronale. In questi ultimi due casi non si è riusciti a rintracciare sufficienti prove d’efficacia.

Un ruolo chiave potrebbe essere svolto anche dal gene VDR della vitamina D implicata nell’omeostasi del cervello, nello sviluppo neurologico e nella modulazione immunologica la cui carenza è stata spesso segnalata nei bambini con autismo. Nel particolare il polimorfismo rs731236 del VDR che sembrerebbe poter influenzare il rischio di disturbo dello spettro autistico. (Shuang Q. et al 2022)

Quanto all’evidenza di una correlazione tra fattori ambientali e autismo questa si è rafforzata negli ultimi decenni. È ormai noto come tra i più importanti vi siano: l’esposizione a sostanze tossiche, assunzione di farmaci in gravidanza, diabete gestazionale materno, complicazioni da parto, ipertensione gestazionale, infezioni virali materne, sanguinamento materno durante la gravidanza. Tra l’esposizione a sostanze chimiche specifiche si annovera in particolare l’acido valproico (VPA) ampiamente utilizzato come antiepilettico e stabilizzante del tono dell’umore. Diversi studi clinici hanno evidenziato un aumento del rischio di numerosi difetti del tubo neurale, malformazioni extracerebrali, ritardi dello sviluppo, deterioramento cognitivo e autismo quando esso viene assunto nel periodo gestazionale. Un studio effettuato sulla popolazione danese ha rivelato un aumento di 2 volte nella prevalenza dei disturbi dello spettro autistico tra 508 bambini esposti prenatalmente al VPA. L’esposizione ad elevate dosi della sostanza porta all’assottigliamento della corteccia prefrontale iniziale, dell’amigdala basolaterale e dell’ippocampo. Anche l’attivazione immunitaria materna è stata associata ad un aumentato rischio di sviluppare autismo. Gli studi testimoniano che l’attivazione stessa porta ad un’alterazione dei livelli di molteplici fattori simili all’interleuchina nel cervello fetale in grado di determinare alterazioni morfologiche in diverse aree del cervello. (Wan. L. et al; 2023)

Un’altra meta-analisi focalizzata sul periodo perinatale e neonatale ha identificato diversi potenziali fattori di rischio tra cui: la presentazione fetale, complicanze del cordone ombelicale, sofferenza fetale, lesioni o traumi alla nascita e basso peso alla nascita. (Chaste P., Leboyer M., 2022)

Si è poi molto dibattuto sull’ipotesi che vaccinarsi con il vaccino MMR, moribllo – parotite – rosolia, avesse potuto determinare l’insorgenza del disturbo. Tuttavia, esiste oggi un certo consenso scientifico sul fatto che non esista in realtà una correlazione diretta, ossia un nesso causale, tra vaccini contenenti thimerosal e autismo. È invece maggiormente probabile che altri fattori succitati possano contribuire allo sviluppo della condizione. (Parker S.K., et al; 2004).

MODELLI TEORICI

Nel corso dei decenni sono stati inoltre elaborati alcuni modelli teorici esplicativi dell’autismo, nel tentativo di studiare, dal punto di vista cognitivo, individui con disturbo dello spettro. I modelli interpretativi più accreditati sono: La Teoria della mente (ToM), La Teoria della Coerenza Centrale ed un deficit a carico delle Funzioni Esecutive (FE).

  • Con il termine Teoria della Mente (ToM) si sta ad indicare la capacità di riflettere su emozioni, desideri, credenze ed intenzioni; e la capacità di attribuirli a se stessi e agli altri. È la capacità di comprendere che gli altri hanno stati mentali diversi dai nostri. Si tratta di una capacità

cognitiva che viene appresa progressivamente nel tempo realizzandosi intorno ai quattro anni di età. Secondo questo approccio l’autismo sarebbe legato all’incapacità del bambino ad accedere alla ToM collocandosi in una condizione di ‘’cecità mentale’’ (Baron-Cohen, 1995). Il bambino sarebbe pertanto incapace di comprendere e riflettere su stati mentali propri ed altrui mostrando incapacità nel prevedere e comprendere il comportamento degli altri.

  • Con ‘’Coerenza centrale’’ si sta ad indicare la capacità del soggetto di sintetizzare in un tutto coerente le molteplici esperienze che investono il sistema sensoriale. Essa è deputata all’elaborazione delle informazioni percettive permettendo di raggrupparle per costruire

sempre più alti livelli di significato, Secondo il modello della Debole coerenza centrale il funzionamento mentale di tipo autistico si caratterizza per una frammentazione dell’ambiente circostante a cui non viene attribuito alcun significato. Ciò porta il bambino a rimanere ancorato a dati parcellizzati con una incapacità nel cogliere il significato dello stimolo nel complesso. (Happé e Frith, 1996)

  • Le Funzioni Esecutive (FE) rappresentano una serie di abilità cognitive complesse che includono: la memoria di lavoro, la pianificazione, la flessibilità cognitiva, il controllo inibitorio, pianificazione e controllo dell’attenzione. In soggetti con disturbi dello spettro

autistico si riscontrano tipicamente problemi nella memoria di lavoro, nella pianificazione, inibizione, flessibilità cognitiva ecc. Molti comportamenti potrebbero essere espressione di un deficit di tali abilità, come ad esempio è il caso dell’impulsività derivante da un’incapacità di inibire risposte inappropriate; o l’iperselettività come incapacità di percepire il tutto restando ancorati al particolare.

CARATTERISTICHE CLINICHE

Il termine autismo deriva dal greco autòs, ossia ‘’se stesso’’; parola utilizzata per la prima volta da Eugeb Bleuler per descrivere comportamenti tipici della schizofrenia quali chiusura, isolamento ed evitamento sociale (Maatz et al; 2015). Fu poi Leo Kanner (1943) ad utilizzare per la prima volta la definizione di ‘’autismo infantile precoce’’ conseguentemente all’osservazione di comportamenti tipici in un gruppo di 11 bambini di età compresa tra i 2 e i 10 anni. Kanner era dell’opinione che oltre all’autismo, ossia alla tendenza ad isolarsi, i bambini con questa sindrome facessero fatica ad affrontare i cambiamenti nel mondo non sociale definendo per la prima volta ‘’l’insistenza sull’immutabilità’’.Osservò inoltre che tre dei soggetti non parlavano affatto e che altri presentavano anomalie del linguaggio come ad esempio l’ecolalia, o difficoltà nell’uso dei pronomi.

Per la diagnosi di Autismo si fa oggi riferimento al Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, DSM- 5, (disponibile dal febbraio 2023 in versione aggiornata DSM – 5TR). Secondo il DSM5 il disturbo dello spettro autistico si caratterizza per la presenza di:

  1. Deficit persistenti della comunicazione sociale e dell’interazione sociale in molteplici contesti, presenti attualmente o nel passato.
  2. Pattern di comportamento, interessi o attività ristretti, ripetitivi e/o stereotipati.
  1. I sintomi devono essere presenti nel periodo precoce dello sviluppo.
  1. I sintomi causano compromissione clinicamente significativa del funzionamento in ambito sociale, lavorativo o in altre aree importanti.

Gli individui presentano tipicamente deficit nella reciprocità socio-emotiva (es. approccio sociale anomalo, ridotta condivisione di interessi, emozioni o sentimenti), deficit riguardanti i comportamenti comunicativi non verbali come una comunicazione verbale e non verbale scarsamente integrata, anomalie nel contatto visivo o mancanza di espressività facciale. Sono tipicamente presenti difficoltà nello sviluppo, gestione e comprensione delle relazioni. Il linguaggio è spesso unilaterale, privo di reciprocità sociale ed utilizzato per avanzare richieste piuttosto che per condividere sentimenti o conversare. Una caratteristica precoce del disturbo è una compromissione dell’attenzione congiunta manifestata con scarsa capacità di indicare, mostrare o portare a sé oggetti per condividerne un interesse con altri, oppure dalla difficoltà o incapacità nel seguire ciò che viene indicato o lo sguardo di qualcuno. Quanto al criterio B è possibile osservare, frequentemente, movimenti, uso degli oggetti o eloquio stereotipati o ripetitivi (es. mettere in fila i giocattoli), aderenza alla routine priva di flessibilità (immodificabilità) o rituali di comportamento; interessi molto limitati anomali per intensità o profondità. Non di rado è osservabile un iper o ipo-reattività a stimoli sensoriali. Molti adulti con disturbo dello spettro senza disabilità intellettive o di linguaggio imparano a reprimere i comportamenti ripetitivi in pubblico.

Il momento in cui la compromissione funzionale diviene manifesta varia in base alle caratteristiche dell’individuo e del suo ambiente. Le manifestazioni del disturbo variano ampiamente in base al livello di gravità della condizione, al livello di sviluppo e all’età cronologica; da cui la definizione di ‘’spettro’’. I sintomi in genere vengono identificati nel secondo anno di vita (12-24 mesi) ma possono essere osservati anche prima dei 12 mesi in presenza di gravi ritardi dello sviluppo. Le caratteristiche comportamentali iniziano a diventare evidenti nella prima infanzia con uno scarso interesse per le interazioni sociali già nel primo anno di vita. I primi sintomi del disturbo comportano frequentemente uno sviluppo ritardato del linguaggio. Il disturbo dello spettro dell’autismo non è un disturbo degenerativo ed è tipico che apprendimento e compensazioni progrediscano per l’intero arco di vita. I sintomi appaiono spesso più marcati nella prima infanzia e nei primi anni di scuola con un guadagno evolutivo nella tarda infanzia. Una piccola percentuale di individui mostra n peggioramento durante l’adolescenza mentre molti migliorano. Soltanto una minoranza di individui con disturbo dello spettro dell’autismo vive e lavora in maniera autonoma durante l’età adulta. (APA, DSM-5; 2013)

Esistono ad oggi tre differenti livelli di gravità della manifestazione clinica (L1, 2, 3); definita in base al livello di supporto richiesto dalla persona in ciascuna delle due aree psicopatologiche di riferimento (comunicazione sociale e comportamenti ristretti, ripetitivi).

  • L1 – ‘’E’ necessario un supporto’’: In assenza di supporto la persona potrebbe presentare difficoltà ad avviare le interazioni sociali con risposte atipiche e/o infruttuose alle aperture sociali. L’individuo potrebbe mostrare scarso interesse per le interazioni sociali. È presente

difficoltà nel passare da un’attività all’altra con annessi problemi di organizzazione e pianificazione.

  • L2 – ‘’E’ necessario un supporto significativo’’: Presenza di deficit marcati nelle interazioni sociali verbali e non con compromissioni visibili anche in presenza di supporto. Reazioni ridotte o anomale alle aperture degli altri. L’inflessibilità del comportamento appare evidente,

la persona mostra difficoltà nell’affrontare i cambiamenti. Sono presenti comportamenti ristretti/ripetitivi che interferiscono con il funzionamento nei diversi contesti.

  • L3 – ‘’E’ necessario un supporto molto significativo’’: La persona presenta gravi deficit nelle abilità di comunicazione verbale e non, con conseguenti gravi compromissioni del

funzionamento. L’avvio delle interazioni è marcatamente limitato, minime sono le aperture sociali. Rispetto ai comportamenti ristretti/ripetitivi la persona presenta una marcata inflessibilità di comportamento con estrema difficoltà nell’affrontare il cambiamento. Comportamenti ristretti e ripetitivi, frequenti, interferiscono con il funzionamento nelle diverse aree. (APA; 2013)

Non essendo disponibili test di laboratorio o esami strumentali la diagnosi di Disturbo dello Spettro Autistico si basa essenzialmente sull’osservazione clinica, sul colloquio e sulla somministrazione di strumenti standardizzati in grado di raccogliere informazioni quanto più possibile dettagliate. L’ADOS-2 (Autism Diagnostic Observation Schedule- second edition) rappresenta il Gold standard per la diagnosi di autismo in grado di fornire un quadro estremamente accurato dei sintomi relativi al disturbo basando sull’osservazione ‘’in tempo reale’’. Il suo utilizzo è particolarmente suggerito nei casi in cui al termine dell’osservazione e del colloquio clinico vi siano incertezze sulla corretta diagnosi. Altri strumenti suggeriti nel supporto alla diagnosi sono: la scala CARS (Childhood Autism Rating Scale) basata sull’osservazione diretta del comportamento e dei parametri di frequenza, intensità, particolarità e durata che lo caratterizzano. Il suo utilizzo, come nel caso del’ADOS-2, è suggerito quando al termine dell’osservazione vi siano ancora incertezze relative alla diagnosi. A supporto del processo diagnostico possono essere inoltre utilizzati strumenti strutturati e standardizzati rivolti ai genitori del bambino. Tra essi si annoverano: la Checklist for Autism Spectrum Disorder (CASD) e l’Autism Spectrum Rating Scales (ASRS). Al contrario, non è suggerito l’utilizzo dell’ADI-R – Autism Diagnostic Interview-Revised così come il Diagnostic Interview for Social and Communication Disorder (DISCO).

Il Panel ritiene che la diagnosi clinica effettuata attraverso l’osservazione clinica e colloquio rappresenti il riferimento privilegiato per osservare e raccogliere i sintomi nucleari necessari ad effettuare una diagnosi di autismo secondo i criteri previsti dai sistemi di classificazione internazionale riconosciuti. (ISS; 2023)

TRATTAMENTO

Le strategie di gestione primaria per bambini ed adolescenti con disturbi dello spettro autistico prevedono l’attuazione di interventi terapeutici e abilitativi/riabilitativi al fine di migliorare i sintomi principali, promuovere la qualità della vita e fornire adeguato supporto alle famiglie. Gli interventi abilitativi/riabilitativi per bambini ed adolescenti variano in base alla cornice teorica di riferimento, alle procedure operative e ai contesti di attuazione. Sono state codificate dagli esperti ben sette tipologie di intervento precoce: interventi comportamentali, interventi evolutivi, interventi comportamentali evolutivi naturalistici (ICEN), Treatment and Education of Autistic and Communication Handicapped Children (TEACCH), interventi sensoriali, interventi assistiti con animali e interventi basati sulla tecnologia. In relazione all’ambito di applicazione gli interventi possono essere classificati in ‘’interventi comprensivi’’, rivolti cioè ad una vasta gamma di abilità sia esse cognitive, linguistiche, sensomotorie e di adattamento; e in ‘’interventi focalizzati’’ ovvero rivolti a comportamenti specifici. (ISS; 2023)

  • INTERVENTI COMPORTAMENTALI BASATI SUI PRINCIPI DELL’APPLIED BEHAVIORAL ANALYSIS:

L’approccio basato sui principi ABA è un tipo di trattamento terapeutico riabilitativo/abilitativo di ormai ampia e dimostrata efficacia basato sui principi del comportamentismo che utilizzando diverse tecniche, tra cui il condizionamento classico ed il condizionamento operante, favorisce il cambiamento di comportamenti di rilevanza sociale. La strategia d’intervento fu proposta per la prima volta da Ivar Lovaas nel 1987 e prevede che le competenze ‘’target’’ siano scelte in base alle aree funzionali e di bisogno della persona. Le attuali linee guida per il trattamento dei disturbi dello spettro autistico suggeriscono, ad oggi, di utilizzare interventi sia focalizzati (Discrete Trial Training e Positive Behavior Support) che comprensivi (Early Intensive Behavioral Intervention – EIBI) basati sui principi ABA in bambini e adolescenti con il suddetto disturbo pur riconoscendo che le prove esaminate sono relative ad una popolazione di bambini fino agli undici anni di età nel primo caso e sette anni nel secondo.

  • INTERVENTI EVOLUTIVI COMPORTAMENTALI NATURALISTICI (ICEN):

L’ICEN è una tipologia di intervento basato sia su principi comportamentali che evolutivi. L’approccio enfatizza molto l’apprendimento in ambienti naturali con preferenza per il gioco e/o la routine giornaliera rispetto all’insegnamento in ambienti più strutturati. Modelli comportamentali ICEN propongono l’applicazione sistematica di strategie di modificazione del comportamento. Alcuni esempi di intervento sono: Incidental Teaching, Pivotal Response Training (PRT), Early Start Denver Model (ESDM), Social Communication/Emotional Regulation/Transactional Support (SCERTS). (Schreibman et al., 2015; Tiede & Walton, 2019)

Anche in questo caso le attuali linee guida suggeriscono di utilizzate gli interventi Naturalistici Evolutivi Comportamentali (ICEN) sia essi comprensivi individuali che focalizzati individuali in bambini ed adolescenti con disturbo dello spettro autistico. (ISS; 2023)

  • INTERVENTI EDUCATIVI COMPRENSIVI INDIVIDUALI:

Appartengono a questa categoria di interventi i trattamenti sviluppati secondo le metodologie TEACCH. Ideato da Schopler nel 1971 si tratta di un intervento che modifica e struttura l’ambiente per poter fronteggiare le difficoltà legate alla condizione. Il programma ha come fine lo sviluppo del miglior grado possibile di autonomia nella vita personale, sociale e lavorativa, attraverso strategie educative finalizzate al potenziamento delle capacità della persona. L’intervento si struttura su una serie di principi basilari, quali: l’organizzazione fisica dell’ambiente riducendo al minimo le distrazioni, organizzazione e strutturazione visiva del ‘’tempo’’ al fine di incrementare la conoscenza e prevedibilità degli eventi, sistemi di lavoro che consentono di lavorare in modo indipendente seguendo uno schema di lavoro, mostrare chiaramente i passi da dover seguire per il completamento del compito. L’efficacia dell’intervento è stata sintetizzata da alcuni studi e all’interno di diversi contesti sociali fornendo risultati positivi e soddisfazione dei genitori. Le linee guida suggeriscono l’applicazione dell’intervento nel trattamento del disturbo dello spettro autistico pur riconoscendo la limitatezza delle prove d’efficacia. (ISS; 2023)

  • INTERVENTI EVOLUTIVI INDIVIDUALI:

Gli approcci evolutivi sottolineano l’importanza l’importanza dell’esperienza affettiva emotiva ed emozionale in cui il bambino è immerso e degli interventi precoci che possono riorientare la traiettoria evolutiva del bambino. L’approccio evolutivo è centrato sul bambino e gli obiettivi dell’intervento sono fissati sulla base delle abilità in cui lo stesso si è dimostrato carente. Appartengono a questa categoria: il modello DIR, Developmental, Individual difference, Relationship based model; l’RDI ossia il Relationship Development Intervention.

  • INTERVENTI COSGNITIVO-COMPORTAMENTALI:

Diverse metanalisi hanno esaminato l’efficacia della CBT per i disturbi d’ansia ed il disturbo ossessivo compulsivo in individui affetti da disturbo dello spettro autistico. Si è concluso che la CBT e gli interventi ad essa associati per il trattamento dell’ansia nei bambini sembrano promettenti. Poche sono le evidenze sull’applicazione a lungo termine. Le LG suggeriscono di usare la CBT in bambini e adolescenti con disturbo dello spettro con disturbi d’ansia e senza compromissioni cognitive significative.

  • INTERVENTI PER I GENITORI:

E’ ormai noto come i genitori dei bambini con disturbi dello spettro autistico sperimentino elevai livelli di stress ed una netta riduzione della qualità della vita; essenzialmente correlati alle difficoltà socio-comunicative del bambino ed alle altre caratteristiche comportamentali associate al disturbo come: alterata sensorialità, rigidità cognitiva o problematiche del linguaggio. Gli interventi diretti a genitori e/o caregiver risultano, pertanto, fondamentali per sostenere la relazione genitore – bambino e nel migliorare qualità di vita e benessere percepito dai familiari. È importante che l’attuazione dei percorsi avvenga già nei primi anni di vita. Gli obiettivi primari dell’intervento sono: incrementare le abilità genitoriali nella gestione quotidiana del bambino, ridurre il livello di stress della famiglia, ridurre il carico assistenziale, promuovere capacità e risorse della famiglia; aumentare le conoscenze sulle caratteristiche del disturbo, sulle terapie disponibili, sulle modalità di accesso ai servizi e sull’importanza di un’accurata programmazione ed attuazione di un intervento terapeutico/educativo. (ISS; 2023)

Ulteriori tipologie di intervento suggerite dalle più recenti linee guida relativamente alla comunicazione e all’interazione sociale, ma sostenute da prove di efficacia più variabili e frammentarie rispetto ai sovramenzionati interventi terapeutici abilitativi/riabilitativi, sono: Comunicazione aumentativa alternativa (AAC)- Picture Exchange Communication System (PECS), Verbal Behavior Therapy, Social stories , Theory of mind training, Social Skills Groups.

Non esiste ad oggi una terapia farmacologica specifica per i disturbi dello spettro autistico. Le LG sottolineano che qualsiasi intervento farmacologico per bambini ed adolescenti dovrebbe essere limitato alla gestione clinica dei sintomi associati tenendo in considerazione gli interventi precedentemente descritti.

CONCLUSIONI

I disturbi dello spettro autistico rappresentano ad oggi una condizione ad incidenza crescente che può essere in parte spiegata dall’aumentata consapevolezza sul disturbo tra la popolazione generale e gli operatori sanitari che ne ha determinato una maggior identificazione dei sintomi; ma una probabile correlazione andrebbe anche ricercata nei progressi in campo di ricerca così come nell’affinamento delle tecniche diagnostiche stesse. Il disturbo, ad eziologia multifattoriale, accompagna l’individuo per l’intera durata dell’arco di vita. Non esistono terapie in grado di determinare una risoluzione completa della condizione autistica ma molteplici sono i trattamenti ritenuti efficaci sia nel miglioramento dei sintomi principali che nella promozione della qualità di vita non soltanto della persona ma anche dei suoi familiari. Precocità diagnostica e corretta programmazione/attuazione degli interventi riabilitativi/abilitativi rappresentano importanti determinanti rispetto alla prognosi. È fondamentale, dunque, richiedere quanto prima un intervento specialistico, sia esso diagnostico e/o terapeutico-riabilitativo, qualora si osservino manifestazioni attribuibili alla sintomatologia ‘’core’’ dell’autismo.

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