Apprendimento cooperativo: i fondamenti e i concetti chiave di una metodologia democratica

A cura di: Elisa Gosso

INTRODUZIONE

L’apprendimento cooperativo consiste in un insieme di metodologie didattiche che, come dice il nome stesso, prevede (e mira a) un approccio educativo svolto in piccoli gruppi che passi attraverso uno – e forse il principale – fra quelli che potrebbero essere definiti i suoi elementi chiave: la cooperazione.

Come riportato dall’Enciclopedia Treccani, la voce “cooperare”, dal tardo latino cooperari, significa «operare insieme con altri, contribuire con l’opera propria al conseguimento di un fine» (“Cooperare”, s.d.), ed è un termine strettamente connesso a quello, affine e maggiormente concreto, di “collaborare”, che indica partecipare effettivamente alla realizzazione di un’opera o un lavoro insieme ad altri. Entrambi presentano il prefisso co-, derivante da con-, a sua volta dal latino cum, designante proprio l’idea di unione.

L’approccio cooperativo si caratterizza in effetti per il suo intento di far lavorare gli studenti assieme, al fine del raggiungimento di un obiettivo, mediante l’esaltazione delle caratteristiche personali di ciascuno, che in tal modo viene ad assumere un compito specifico e fortemente interconnesso con quello degli altri. In questo contesto, l’insegnante non deve ricoprire il ruolo di semplice osservatore, ma deve porsi come facilitatore del lavoro di gruppo. 

1. Approcci e caratteristiche principali dell’apprendimento cooperativo

Sulla base dell’elemento centrale della cooperazione, da un punto di vista pratico e metodologico, l’apprendimento cooperativo (in lingua inglese conosciuto come Cooperative Learning) è stato declinato in diversi approcci, tra gli anni Settanta e gli anni Novanta del Novecento, a partire dal celebre Learning Together sviluppato negli Stati Uniti dai fratelli David, Roger e Edythe (Holubec), passando per lo Student Team Learning o Success of All dello psicologo statunitense Robert E. Slavin, per lo Structural Approach di Miguel e Spencer Kagan, per il Group Investigation degli psicologi israeliani Yael e Shlomo Sharan, fino ancora al Complex Instruction presentato da Elizabeth G. Cohen, docente all’Università di Stanford (USA).

Secondo l’approccio dei fratelli Johnson (1975), tutte le tecniche di apprendimento in gruppo che possono rispondere al nome di “apprendimento cooperativo” devono presentare almeno cinque elementi di fondo, efficacemente riassunti da Cardellini e Felder (1999) nei seguenti punti:

  • “positiva interdipendenza” fra i collaboratori per raggiungere l’obiettivo prefissato (p. 19);
  • “responsabilità individuale”, per cui il lavoro di ognuno è necessario all’obiettivo (ibid.);
  • “interazione faccia a faccia”, che implica un tipo di lavoro inevitabilmente interattivo (ibid.);
  • “uso appropriato delle abilità nella collaborazione”, per cui ognuno deve essere in grado di applicare una serie di abilità sociali necessarie alla gestione delle relazioni interpersonali (ibid.);
  • “valutazione del lavoro”, da effettuarsi non solo al raggiungimento dell’obiettivo, ma anche in fieri, per poter eventualmente rimodulare il lavoro al fine di migliorarlo (ibid.).

2. Precursori e fondamenti teorici dell’apprendimento cooperativo

2.1. Il tutoraggio fra studenti tra Sette e Ottocento

L’efficacia della cooperazione nell’apprendimento non è una scoperta del tutto recente. Al di là di precedenti tentativi isolati, nel Settecento alcuni pionieri nel campo dell’educazione intrapresero esperimenti, organizzati in maniera maggiormente organica, che si fondavano sul mutuo insegnamento. Possiamo ricordare il cappellano anglicano Andrew Bell e il quacchero Joseph Lancaster, britannici, che alla fine del XVIII secolo proposero e istituirono, indipendentemente fra loro ma in maniera simile, un sistema in cui il maestro si trovava al vertice e sotto di lui, per ciascuna classe in cui era suddiviso l’istituto – tutte riunite in un unico locale e in taluni momenti simultaneamente al lavoro –, erano presenti una serie di figure, tra cui i monitori, allievi particolarmente dotati che fungevano da aiutanti del maestro stesso, dirigendo le attività da quest’ultimo impartite (cfr. Tinembart, 2020).

Bell elaborò il proprio metodo in maniera sperimentale, applicandolo durante il suo soggiorno in India come cappellano militare. Nel 1789 a Madras, odierna Chennai (India), Bell diventò sovrintendente del Madras Military Male Orphan Asylum, istituto di accoglienza ed educazione per bambini britannici orfani. Qui la struttura scolastica fu organizzata da Bell con un insegnante a capo di più classi e un assistente insegnante per ogni classe. Ciascun gruppo di alunni era poi gestito coinvolgendo fortemente gli studenti. Bell (1808) ha descritto il suo schema in questo modo: l’orfanotrofio era organizzato in moduli o classi, ognuna delle quali formata da vari studenti che avevano fatto simili progressi, riuniti assieme; ogni classe era suddivisa in tutori e alunni; il tutore rimaneva seduto accanto al suo allievo e lo assisteva nella lezione comune (p. 15).

Dalla Gran Bretagna il metodo si diffuse, in seguito, nel resto dell’Europa. Grunder (2008) osserva che il pedagogista francescano Grégoire Girard – che appoggiava l’idea alla base di tale sistema e lo importò in Svizzera nell’Ottocento – lo descrisse come «l’esatta divisione della scuola in più classi; la scelta che si fa di uno o più fanciulli della stessa scuola per istruire ciascuna classe, e infine il lavoro simultaneo di tutte le classi, nello stesso locale e negli stessi momenti» (p. 2).

2.2. Coinvolgimento e interazione: i teorici dell’approccio cooperativo tra Otto e Novecento

Tra i teorici precursori dell’approccio cooperativo dell’educazione, come metodo comprovato, possiamo senz’altro citare il filosofo e pedagogista statunitense John Dewey e lo psicologo tedesco naturalizzato statunitense Kurt Lewin, considerato come il padre fondatore del Cooperative Learning. Come fanno notare Cardoso e Comoglio (1996), anche se Dewey e Lewin non ebbero mai occasione di confrontarsi direttamente, entrambi «convennero sull’importanza dell’interazione e della cooperazione nella scuola come mezzo per migliorare la società» (p. 22). Nelle proprie riflessioni sull’esperienza educativa, Dewey (2001) introduce il concetto di “democrazia”, intesa come un modo di vivere collettivamente e di fare esperienza in maniera congiunta, oltre che una forma di governo. Se tutti partecipano a un interesse comune in modo che ciascuno debba ricondurre la propria azione a quella degli altri e contemporaneamente tenere in considerazione l’azione degli altri per dare un senso e una direzione alla propria, ciò significherà abbattere quelle barriere di classe, razza e confine nazionale che impediscono agli esseri umani di percepire la piena portata delle loro attività (ivi, p. 91).

In questo contesto l’ambiente sociale gioca un ruolo estremamente rilevante, per cui la scuola deve fornire gli strumenti per saper agire socialmente, diventando essa stessa, come nota Dewey, una forma di vita sociale, una comunità in miniatura e in stretta interazione con altre modalità di esperienza associativa al di fuori delle mura scolastiche (ivi, p. 367). Anche la scuola deve inoltre costituire un ambiente in cui agire democraticamente, valorizzando gli alunni sulla base delle loro potenzialità.

Altro importante concetto introdotto da Dewey in questa riflessione è il learning by doing, per cui gli alunni (ma in generale chiunque) imparano meglio se personalmente coinvolti nell’esperienza di apprendimento (cfr. Ord 2012): “imparare facendo”, appunto, assunto sostenuto fra l’altro anche da Maria Montessori e alla base del suo celebre metodo educativo. 

Per la definizione dell’apprendimento cooperativo, l’opera di Kurt Lewin, e quella dei suoi discepoli nonché collaboratori Ronald Lippitt e Morton Deutsch, è invece particolarmente rilevante grazie agli studi compiuti sulla dinamica dei gruppi. Il gruppo e, più nello specifico, l’organizzazione nonché le dinamiche dei gruppi-classe, costituiscono altri elementi chiave dell’apprendimento cooperativo. Comoglio e Cardoso (1996) pongono in luce il contributo di tali ricerche citando la risposta di Deutsch al quesito: “Qual è l’essenza dei fenomeni della cooperazione e della competizione?”:

Il punto cruciale delle differenze tra cooperazione e competizione si trova nella natura di come sono vincolati gli obiettivi dei partecipanti in ciascuna delle situazioni. In una situazione cooperativa gli obiettivi sono vincolati in maniera tale che tutti affondano o nuotano insieme, mentre nella situazione competitiva, se uno nuota, l’altro può anche annegare” (p. 23).

3. La centralità della cooperazione nel mondo contemporaneo fra scuola e società

3.1. La liquidità delle relazioni nella società di oggi

Al principio del Ventunesimo secolo, il celebre sociologo Zygmunt Bauman ha coniato un concetto che tenta di definire lo stato della società contemporanea: quello di “liquidità”. Bauman ne scrive come di “modernità liquida” (2000), per indicare il momento a partire dal quale il singolo e le relazioni sociali appaiono sempre più caratterizzati da individualismo, incertezza, essere in costante divenire, legami fragili e precari in rapida formazione e dissolvimento, perdita di coesione sociale, confini sfocati: nella modernità fluida, osserva Bauman, i legami che uniscono le scelte individuali ai progetti e alle azioni collettive sono in via di dissolvimento (ivi, p. 6). Lo stato di incertezza costituisce una potente forza individualizzante e gli interessi comuni perdono il loro valore, trasformandosi in un’idea sempre più nebulosa e scevra di ogni valore pragmatico (ivi, p. 148). La disintegrazione delle reti sociali e la perdita del valore della collettività costituiscono, per Bauman, i risultati dell’assetto della società moderna, e vengono percepiti come un effetto collaterale della sua leggerezza e fluidità (ivi, p. 14). Mai come in epoca presente, dunque, la cooperazione e la collaborazione sono elementi importanti e necessari per le società umane.

3.2. Sfuggire alla precarietà delle relazioni: l’approccio cooperativo

A partire dalle riflessioni più antiche – come quelle di Aristotele –, fino ad oggi, pensatori e studiosi vari hanno messo in luce il principio per cui gli esseri umani sono tendenzialmente portati alla socialità e, conseguentemente, a unirsi in aggregati sociali che, per funzionare, necessitano di almeno due elementi comuni: rapporti di vario tipo a livello di interdipendenza e interazione, nonché «forme di cooperazione, collaborazione, divisione dei compiti […]» (“Società”, s.d.). Tuttavia, non solo nell’ambito socio-economico in generale, ma anche nel contesto scolastico in particolare, ha prevalso per lungo tempo una visione fortemente destrutturante e privilegiante in maniera esclusiva la competitività. Nel mondo del mercato globale la competitività rappresenta la chiave del guadagno e la competizione, in quest’ottica, si estende e, come evidenzia De Rienzo (2011), “arriva a plasmare la nostra quotidianità e soggettività senza che ne abbiamo piena coscienza. Siamo messi in competizione con gli altri e con noi stessi, nel mondo del lavoro, ma anche nel modo con cui stiamo con gli altri, con cui educhiamo i nostri figli” (p. 153).

Anche l’educazione e il sistema scolastico finiscono spesso per rientrare in questo circuito, laddove l’apprendimento si trasforma in una gara. Per contro all’educazione alla competitività in ambito scolastico, scrive significativamente la filosofa Nussbaum (2011):

Le democrazie hanno grandi risorse di intelligenza e di immaginazione. Ma sono anche esposte ad alcuni seri rischi: scarsa capacità di ragionamento, provincialismo, fretta, inerzia, egoismo e povertà dello spirito. L’istruzione volta esclusivamente al tornaconto sul mercato globale esalta queste carenze, producendo un’ottusa grettezza e una docilità in tecnici obbedienti e ammaestrati che minacciano la vita stessa della democrazia, che di sicuro impediscono la creazione di una degna cultura mondiale” (p. 153)

Se è vero che l’elemento del conflitto può apportare nuove prospettive nella risoluzione di un problema, e costituisce dunque un fattore da tenere in considerazione nelle dinamiche interpersonali, è altresì fondamentale apprendere la gestione positiva del conflitto. Tra le cosiddette soft skills, competenze relative al saper essere più che al saper fare – sempre più importanti in contesto lavorativo – figurano proprio quelle capacità di empatia e di lavorare in gruppo, di ascolto e comunicazione, che l’approccio cooperativo consente di sviluppare.

CONCLUSIONI

A partire dalla definizione del concetto stesso e dai suoi primi teorizzatori si sono ripercorsi gli elementi principali che costituiscono l’apprendimento cooperativo. Come osservano Buchs e Butera (2015), la formazione di abilità cooperative – a livello relazionale e collaborativo – può produrre benefici sia nell’apprendimento sia nelle interazioni personali dell’individuo (p. 206). Senza voler trascurare le criticità che possono sorgere nell’applicazione di queste metodologie, insieme ai fautori di tale approccio abbiamo posto in evidenza gli effetti positivi che esso può apportare, con l’evoluzione della persona nell’ambito fondamentale della socializzazione secondaria in ambiente scolastico, fino ad arrivare alla sua utilità nel processo di formazione alla socialità nell’agire di ciascuno a diversi livelli e in diversi ambiti della società.

BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA

  1. Bauman, Z. (2000). Liquid Modernity. Polity Press.
  2. Bell, A. (1808). The Madras School, or Elements of Tuition. T. Bensley.
  3. Buchs, C., & Butera, F. (2015). Cooperative learning and social skills development. In R. Gilles (Ed.), Collaborative Learning: Development in research and practice (pp. 201-238). Nova Science. 
  4. Cardellini, L., & Felder, R. M. (1999). L’apprendimento cooperativo. Un metodo per migliorare la preparazione e l’acquisizione di abilità cognitive negli studenti. CnS La Chimica nella scuola, 21(1), 18-25. https://www.soc.chim.it/sites/default/files/cns/pdf/1999-1.pdf
  5. Comoglio, M., & Cardoso, M. A. (1996). Insegnare e apprendere in gruppo. Il Cooperative Learning. LAS.
  6. Dewey, J. (2001). Democracy and Education. An Introduction to the Philosophy of Education. The Pennsylvania State University. https://nsee.memberclicks.net/assets/docs/KnowledgeCenter/BuildingExpEduc/BooksReports/10.%20democracy%20and%20education%20by%20dewey.pdf (1st ed. 1916)
  7. Johnson, D. W., & Johnson, R. T. (1975). Learning Together and Alone: Cooperation, Competition and Individualization. Prentice-Hall.
  8. Nussbaum, M. C. (2011). Non per profitto. Perché le democrazie hanno bisogno della cultura umanistica. Il Mulino (ed. or. Not for Profit: Why Democracy Needs the Humanities, 2010)
  9. Ord, J. (2012). John Dewey and Experiential Learning: Developing the theory of youth work. Youth and Policy, 108, 55-72. https://www.youthandpolicy.org/wp-content/uploads/2017/06/ord-yandp108.pdf