Corsi di formazione

Alimentazione, Psiche ed Emozioni: la stretta relazione

Quando le emozioni dirigono la fame

Questa seconda lezione si concentrerà sul rapporto che lega cibo ed emozioni. Si parlerà quindi di fame emotiva, ovvero quella fame che nasce da esigenze di tipo emotivo e che spinge verso il consumo di comfort-food. Vedremo infatti anche le conseguenze di questo comportamento che molto spesso conduce a sperimentare senso di colpa. Si parlerà anche poi del caso opposto, ovvero quello in cui lo stress e la vita frenetica conducono a non portare attenzione all’alimentazione e al cibo.

Eccoci qua a parlare di fame emotiva. Si parla di fame emotiva quando sono le emozioni che fanno mangiare. E la fame emotiva viene anche detta da Jan Chozen Bays “la fame del cuore” proprio perché è una fame che non nasce da un’esigenza biologica quindi di colmare il vuoto dello stomaco, ma nasce dall’esigenza di colmare un vuoto emotivo. Infatti la fame emotiva è un vero e proprio impulso che arriva immediatamente così senza preavviso ed è diretta verso cibi specifici, verso quei cibi che sono investiti di un valore affettivo o di un significato simbolico di tipo affettivo ed è una fame difficilmente controllabile e in un certo senso è anche difficile smettere di mangiare quando prende la fame emotiva proprio perché il vuoto da colmare è un vuoto emotivo e difficilmente attraverso il cibo si potrà mettere a tacere un’emozione perché per esempio la tristezza ha bisogno della sua risposta per diventare meno disturbante e non è attraverso il cibo che si può rispondere alla tristezza. Ma questo succede perché fin da piccoli abbiamo sperimentato che c’è un mezzo molto veloce per ottenere la gratificazione che è mangiare. Mangiare nello specifico i cibi per le loro proprietà intrinseche organolettiche sono in grado di attivare i circuiti del piacere e della ricompensa quindi di attivare le sostanze del piacere come per esempio la serotonina e soprattutto (questo è vero per i carboidrati) e quindi fin da piccoli abbiamo imparato appunto che attraverso il cibo è possibile provare piacere. Questo poi nel corso della vita può diventare una modalità per trovare sollievo a delle emozioni difficili da gestire.

Quindi cosa succede? Nel corso del tempo avviene l’intesa un interiorizzata azione ben precisa ovvero che il cibo è un “regolatore di emozioni” perché il cibo per un breve momento può riuscire a far allontanare la mente o comunque ad allontanarsi dal malessere delle emozioni negative. Ecco perché nel momento in cui si avverte malessere si va alla ricerca di cibo, di un particolare tipo di cibo. Quindi ogni emozione (la noia, la rabbia, l’ansia, la tristezza) possono attivare la fame emotiva perché non è una fame reale, non è una fame biologica ma è una necessità di rispondere alle emozioni e lo si fa attraverso il cibo. Queste associazioni quindi, unite poi alle proprietà intrinseche dei cibi come per esempio i dolci, creano dei veri circoli viziosi dai quali è difficile uscirne proprio perché è difficile esserne consapevoli. Questo significa che molto spesso si avverte un’emozione disturbante, un’emozione negativa e si va alla ricerca di cibo quindi si mangia si mangia in maniera incontrollata, ci si accorge di stare ancor più male perché quelle emozioni è ancora lì, quell’emozione non è andata via e tendenzialmente non andrà via ma anzi se ne sono aggiunte altre come per esempio il senso di colpa, la vergogna per non essersi limitati e per non essersi controllati in questo in questa voracità e questo può determinare un ulteriore impulso a mangiare e quindi un altro attacco di fame emotiva. Ecco perché si parla proprio di circolo vizioso. La fame emotiva è diretta verso cibi specifici dicevamo e questi cibi specifici sono i comfort-food che sono i cibi-coccola, quei cibi che hanno un valore affettivo che sono associati a delle emozioni positive. I comfort food sono i cibi confortanti considerati consolatorii, spesso nostalgici perché ad essi è ancorato un ricordo piacevole spesso proprio derivante dall’infanzia quindi nell’infanzia si creano molto spesso queste associazioni di emozioni positive che riguardano specifici eventi e specifiche situazioni e i cibi presenti in quelle situazioni in cui gli eventi vengono investiti di emozioni quindi investiti a livello affettivo.

Questi cibi sono investiti quindi di significati emotivi e sono quei cibi che coccolano, che gratificano, che rassicurano, che calmano e a volte anestetizzato dalle emozioni ingombranti, anestetizzato ma solo per un breve momento perché poi ben presto ci si rende conto che l’emozione è ancora lì, che l’emozione non è andata via e che non è il cibo il modo giusto per fronteggiare. I cibi-coccola (i comfort-food) non sono necessariamente cibi spazzatura non sono infatti da confondere con il junk food. I comfort-food possono essere in realtà anche cibi genuini proprio perché la loro prerogativa, la loro peculiarità, la caratteristica principale è il fatto che sono investiti di un significato emotivo quindi sono associati a un’emozione. E’ poi vero che alcuni cibi più di altri si prestano a diventare comfort-food proprio perché hanno queste caratteristiche intrinseche e organolettiche che portano anche ad attivare il circuito della ricompensa, del piacere, della serotonina e quindi a livello proprio fisiologico portano al piacere quindi a sperimentare questa sensazione di benessere. Per esempio questo accade col cioccolato. Quindi i comfort-food sono quei cibi che soddisfano dei bisogni prettamente emotivi, che soddisfano la fame del cuore. Ben presto si passa dal comfort-food (in alcuni casi all’abuso del comfort-food) al senso di colpa la fame emotiva abbiamo detto che spinge verso i comfort-food, verso cibi ben specifici e l’attacco di fame emotiva prevede anche un mancato controllo rispetto a cosa e quanto si mangia in alcuni casi; cioè si tende a mangiare in maniera incontrollata, inconsapevole, quasi automatica proprio perché in quel momento si avverte solamente l’emozione e finchè la si sente così forte e così ingombrante si continuerà a mangiare fino a sentirsi sgradevolmente sazi.

In alcuni casi infatti si arriva a delle vere e proprie abbuffate. Queste abbuffate poi, anziché portare benessere, portano malessere. Il primo motivo è perché non riescono a spegnere quelle emozioni che invece si voleva anestetizzare e poi perché nascono i sensi di colpa. I sensi di colpa per essersi buttati in maniera così vorace e incontrollata sul cibo. E poi la vergogna, quindi una serie di emozioni negative che vanno a sommarsi a quelle precedenti. Questi sentimenti spesso poi acuiscono lo stress e paradossalmente possono spingere nuovamente a mangiare creando così un circolo vizioso. E il problema poi in realtà è che rendersi conto di questo meccanismo non è affatto semplice perché quando si è vittime (diciamo così) di emozioni negative non non si è oggettivi, si è come in balìa di un turbine affettivo e quindi non si riesce ad avere il controllo totale della situazione proprio perché l’emozione è tanto forte da non permettere un pensiero nel qui ed ora. Il rischio però è che se si utilizza in maniera abituale il cibo come conforto affettivo la conseguenza è l’instaurarsi di un’alimentazione disordinata che in alcuni casi può far perdere la connessione con il corpo e con la capacità di riconoscere e ascoltare i segnali fisici di fame e sazietà.

Quindi il protrarsi per lungo tempo di questa modalità di approccio al cibo può davvero determinare un disapprendimento riguardo i segnali di fame e sazietà perché non si riesce più a capire quando la fame è vera; quando c’è, quando non c’è e quando invece la fame è un impulso quindi è la fame emotiva. E qui il malessere può raggiungere anche alti livelli in questi casi.

Per Informazioni

Se vuoi richiedere informazioni sulle promozioni di uno o più corsi di formazione in catalogo, inviaci una richiesta. Una nostra consulente ti contatterà appena possibile. Grazie

PROPOSTE FORMATIVE: