AFFRONTARE LE DISUGUAGLIANZE DI GENERE IN FAMIGLIA: SFIDE E PROSPETTIVE PER UNA SOCIETÀ PIÙ EQUA E INCLUSIVA
A cura di: Incoronata Ricciardi
INTRODUZIONE
La stretta correlazione tra lavoro retribuito e la responsabilità della cura familiare rappresenta ancora oggi un nodo cruciale che condiziona l’inclusione delle donne nel mercato del lavoro. Le disuguaglianze persistenti nella divisione dei compiti di cura possono pesare sulla partecipazione delle donne, generando divari di genere profondamente radicati.
Affrontare questa disparità richiede l’implementazione di politiche mirate che favoriscano una più equa distribuzione dei carichi di cura. Inoltre, è fondamentale potenziare l’accesso a servizi di assistenza all’infanzia e supportare i genitori attraverso l’istituzione di congedi parentali obbligatori e altre disposizioni legislative che agevolino la conciliazione tra vita lavorativa e familiare. Queste misure possono contribuire a creare un contesto più favorevole per le donne nel mercato del lavoro, promuovendo una maggiore equità di genere e un miglior benessere familiare.
LE CARATTERISCHICHE DEL LAVORO NON RETRIBUITO
Con l’avvento del capitalismo, nel XIX secolo, il lavoro non retribuito è gradualmente scomparso dall’attenzione economica, considerato privo di valore contabile significativo. In un contesto capitalistico, il lavoro è valutato come produttivo non tanto per la creazione di beni di consumo, ma per la produzione di merci il cui valore copre i costi di produzione e genera un surplus destinato a profitti e investimenti. Negli ultimi decenni si è assistito a una maggiore consapevolezza del valore sociale ed economico del lavoro di cura non retribuito, ciò ha portato l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO) a ridefinire il concetto di lavoro nel 2013, includendo attività non retribuite finalizzate alla produzione di beni o servizi per uso proprio o altrui. Le donne continuano a portare avanti la maggior parte di queste responsabilità. Questo squilibrio influisce direttamente sulle opportunità di partecipazione delle donne al mercato del lavoro e sui loro livelli di reddito. Ci sono stati dei progressi per quanto riguarda la genitorialità, anche se si continua a parlare di “penalizzazione occupazionale della maternità” è un fenomeno diffuso che si riscontra in tutti i Paesi del mondo, colpendo le donne con figli piccoli e diventando più evidente nei Paesi a medio reddito. Questo fenomeno, noto come “motherhood penalty” (Angelov et al. 2016) o “child penalty”, si traduce in nuovi svantaggi sul posto di lavoro per le madri rispetto alle donne senza figli, includendo una diminuzione della retribuzione, della percezione della competenza e dei benefici sul lavoro, il che può diventare strutturale nel lungo periodo.
L’effetto della maternità si riflette anche sulla differenza di occupazione tra uomini e donne, poiché l’occupazione femminile tende a diminuire con l’aumentare dei figli, mentre quella maschile rimane sostanzialmente invariata. Questa penalizzazione occupazionale legata alla maternità è particolarmente rilevante in Italia, dove il divario occupazionale tra madri e padri è significativo. Ad esempio, il tasso di occupazione delle donne con figli minori è notevolmente inferiore rispetto a quello degli uomini nella stessa situazione. Quando si analizzano le dinamiche del lavoro nelle coppie, è importante considerare diversi modelli in cui il sostentamento familiare può dipendere da entrambi i partner o principalmente da uno solo. Ad esempio, nel modello tradizionale in cui il marito o il compagno lavora e la donna si occupa delle faccende domestiche, siamo di fronte al modello del male breadwinner/female caregiver. Se uno dei partner lavora a tempo parziale mentre l’altro a tempo pieno, si tratta del modello male breadwinner/female part time earner. Quando entrambi i coniugi lavorano per perseguire le proprie carriere, siamo di fronte alle dual earner couples, mentre più raramente, la donna può essere l’unica a contribuire al reddito familiare, caratterizzando il modello female breadwinner.
Secondo le analisi condotte dall’Istat nel 2019, in Italia i modelli di coppia più comuni sono il male breadwinner/female caregiver e le dual earner couples. In modo particolare in Italia, la situazione si rivela critica anche per quanto riguarda la cura e l’assistenza agli anziani, data la crescente domanda di cure e la carenza di servizi disponibili, specialmente nelle aree rurali.
IL LAVORO NON RETRIBUITO IN ITALIA: ANALISI DEI DATI ISTAT SULL’USO DEL TEMPO
In Italia, le informazioni sul lavoro non retribuito sono raccolte dall’Istat tramite l’Indagine sull’Uso del Tempo. Secondo i dati più recenti disponibili del 2014, i residenti italiani di età pari o superiore a 15 anni dedicano in media 3 ore e 46 minuti al giorno al lavoro non retribuito, principalmente legato alla cura della casa e delle persone che vi risiedono, ma anche al volontariato, aiuti informali e spostamenti legati a queste attività.
Le donne rappresentano la maggioranza del lavoro non retribuito, con circa il 71% del totale svolto da loro. Le casalinghe e le persone anziane che hanno cessato l’attività professionale retribuita contribuiscono significativamente a questa forma di produzione. Gli occupati, invece, dedicano meno tempo a questo tipo di lavoro, poiché sono maggiormente impegnati nel lavoro retribuito. L’Italia si distingue all’interno dell’Europa per il tempo dedicato al lavoro non retribuito, con le donne italiane tra le prime per quantità di tempo impiegato in queste attività. Tuttavia, persiste un notevole divario di genere, con le donne che dedicano significativamente più tempo di uomini a questo tipo di lavoro. Sebbene vi siano stati lievi segnali di cambiamento, con una riduzione del contributo femminile e un aumento di quello maschile, il ritmo di questo cambiamento è ancora troppo lento per prevedere un equilibrio a breve o medio termine. Nel 2014, una parte significativa del lavoro non retribuito in Italia era dedicata alle attività domestiche con un impegno quotidiano di 1 ora e 56 minuti, rappresentando il 51,3% del totale del lavoro non retribuito e il 69% del lavoro domestico totale.
Questo tipo di attività mostra ancora una volta forti differenze di genere: le donne sono più coinvolte nelle attività ripetitive, mentre gli uomini preferiscono attività più flessibili. Anche nell’ambito della cura dei bambini e degli adulti conviventi, si osservano differenze di genere. Nel 2014, il 16,7% della popolazione svolgeva attività di cura verso bambini conviventi, con una partecipazione maggiore delle donne rispetto agli uomini. Tuttavia, gli uomini dedicano più tempo a queste attività rispetto al passato, sebbene le donne rimangano ancora più coinvolte. La produzione familiare generata dal lavoro non retribuito nel 2014 ha rappresentato un valore economico significativo, pari a circa 557 miliardi di euro. Questo valore è aumentato rispetto al 2008, principalmente a causa dell’aumento della popolazione con più di 15 anni e dell’incremento della retribuzione. Il lavoro domestico e le attività di cura rappresentano la maggior parte del lavoro non retribuito, con la preparazione dei pasti e la cura della casa che assorbono la maggior parte del tempo e del valore economico.
Le differenze di genere sono evidenti in tutte le funzioni della produzione familiare, con le donne che sono più coinvolte nelle attività domestiche e di cura, mentre gli uomini tendono a dedicarsi maggiormente al volontariato organizzato. La disparità di genere registrata dagli indicatori ha un impatto significativo sulla gestione del tempo di vita e sulle opportunità quotidiane di uomini e donne, influenzando anche la partecipazione al lavoro retribuito e al tempo libero.
Questa disparità di genere è stata oggetto di riflessione nel contesto degli studi femministi e dei women’s studies, che hanno evidenziato il ruolo cruciale del lavoro riproduttivo familiare nel perpetuare lo sfruttamento e il dominio patriarcale sulle donne che si trovano ad affrontare maggiori difficoltà nel trovare e mantenere un impiego retribuito, con tassi di inattività e di disoccupazione più elevati e tassi di occupazione più bassi rispetto agli uomini.
Questa disparità è particolarmente evidente in Italia, dove lo scarto tra i tassi di inattività e di occupazione delle donne e degli uomini è significativamente ampio, soprattutto nel Mezzogiorno. La maternità aggrava ulteriormente la situazione, con una significativa riduzione del tasso di occupazione tra le lavoratrici madri, mentre tra gli uomini si osserva spesso un aumento del tasso di occupazione in presenza di figli. La tendenza al lavoro a tempo parziale è più diffusa tra le donne, soprattutto nei paesi in cui le disparità di genere nei tempi di lavoro totale sono più accentuate. Anche nei paesi in cui ci si avvicina maggiormente alla parità di genere nei tempi di lavoro totale, come Norvegia, Germania, Austria e Paesi Bassi, si osserva comunque una forte presenza del lavoro a tempo parziale tra le donne, confermando la persistenza della divisione dei ruoli tra chi lavora e chi si occupa della cura familiare.
Nei paesi in cui le disparità di genere nei tempi di lavoro totale sono più pronunciate, come Italia, Grecia, Romania e Spagna, la situazione è ancora più critica, con un’ampia parte della popolazione che segue modelli tradizionali di divisione del lavoro. In sostanza, la disparità di genere nei tempi di lavoro retribuito e non retribuito persiste in molti contesti, influenzando le opportunità economiche e sociali delle donne e perpetuando i ruoli di genere tradizionali.
ANALISI DEL LEGAME TRA LAVORO DI CURA E PARTECIPAZIONE AL MERCATO DEL LAVORO
I dati, che fanno riferimento all’anno 2021, raccolti dall’indagine Inapp-PLUS, forniscono un quadro dettagliato delle disparità di genere nei compiti di cura non retribuiti, confermando gli schemi pregressi. I risultati mostrano una forte prevalenza dell’impegno femminile nelle attività di cura della casa e delle persone. Sebbene ci siano segni di una maggiore partecipazione maschile, soprattutto nelle generazioni più giovani, le differenze di genere rimangono ampie in tutte le fasce d’età.
Rispetto alla cura dei figli, i dati indicano un quadro meno sbilanciato, con una partecipazione maschile più significativa rispetto ad altre attività di cura. Tuttavia, mentre alcuni progressi sono evidenti, soprattutto tra i padri più giovani, le madri rimangono ancora le principali responsabili della cura dei figli.
Le differenze di genere diventano più accentuate nelle attività legate alla gestione domestica, come la preparazione dei pasti e le pulizie quotidiane. Anche la gestione degli aspetti finanziari e amministrativi della casa è maggiormente associata agli uomini. Tuttavia, nei dati disaggregati per fasce d’età, si osserva una tendenza alla maggiore condivisione dei carichi di cura tra uomini e donne nelle generazioni più giovani. Questo suggerisce che, mentre ci sono progressi nella riduzione delle disparità di genere, le donne continuano ad affrontare un carico maggiore, soprattutto nelle classi di età più avanzate.
In particolare, la differenza tra uomini e donne diventa più ampia nella fascia d’età in cui si diventa genitori. Questo conferma che le donne continuano a essere responsabili principali delle attività di cura della casa e della famiglia, nonostante il cambiamento sociale e culturale che ha portato a una maggiore partecipazione degli uomini. Anche quando si considera la condizione occupazionale, le differenze di genere nella gestione delle attività domestiche persistono. Le donne inattive dedicano significativamente più tempo alla cura dei figli rispetto agli uomini inattivi, confermando che il caregiving rimane una responsabilità principale per le donne anche quando non sono occupate. Inoltre, emerge chiaramente che l’aiuto dei nonni è una risorsa centrale per la gestione dei bisogni di cura dei figli, soprattutto nelle regioni del Sud e nelle Isole: ciò riflette la carenza di servizi educativi per la prima infanzia, particolarmente evidente nel Mezzogiorno; anche la fruizione dei congedi parentali conferma le asimmetrie di genere nella divisione del lavoro familiare: le donne, soprattutto nel settore pubblico, sono più propense a usufruire dei congedi parentali rispetto agli uomini, confermando la centralità del ruolo femminile nella gestione della genitorialità.
EQUILIBRIO TRA LAVORO E VITA FAMILIARE: POLITICHE DI WORK-LIFE BALANCE E IL RUOLO DEL DECRETO LEGISLATIVO N. 105/2022 IN ITALIA
La ricerca di una maggiore parità di genere nel mercato del lavoro si scontra spesso con lo squilibrio nei compiti di cura non retribuiti, che ricadono principalmente sulle donne. Questa consapevolezza ha catalizzato l’adozione di politiche volte a promuovere un maggiore equilibrio tra vita lavorativa e vita personale, le cosiddette politiche di work-life balance, sempre più popolari sia nel contesto europeo che nazionale.
Negli ultimi trent’anni, l’Unione europea ha sviluppato una serie di strumenti e misure legislative culminanti nella direttiva UE 2019/1158 sull’equilibrio tra attività professionale e vita familiare per genitori e prestatori di assistenza. Questa direttiva rappresenta un passo avanti significativo nella promozione della partecipazione femminile al lavoro e nella distribuzione più equa delle responsabilità di cura. L’Italia, con il decreto legislativo 30 giugno 2022, n. 105, ha migliorato alcuni aspetti della normativa preesistente. Nonostante presenti dei limiti, ad esempio, la mancanza di disposizioni per garantire un reale incentivo economico per i padri a usufruire del congedo, il decreto rappresenta, sicuramente, un primo passo verso la promozione della conciliazione tra lavoro e vita familiare in Italia. Il Decreto Legislativo n. 105/2022 ha apportato importanti modifiche al congedo di paternità:
- Durata del Congedo di Paternità: La durata complessiva del congedo di paternità è stata aumentata da 6 a 9 mesi. Questo significa che i padri hanno diritto a un periodo più lungo di astensione dal lavoro per prendersi cura del neonato.
- Indennità: Durante il congedo di paternità, i padri hanno diritto a un’indennità pari al 30% della retribuzione. Questo è un miglioramento rispetto alle disposizioni precedenti, che potrebbe incentivare più padri a usufruire del congedo di paternità.
- Trasferibilità del Congedo: È stato confermato che il congedo di paternità non è trasferibile alla madre, garantendo così al padre un periodo dedicato esclusivamente alla cura del neonato.
Tuttavia, è necessario un impegno continuo per superare gli stereotipi di genere e garantire una distribuzione più equa delle responsabilità di cura, al fine di promuovere una maggiore parità di genere nel mercato del lavoro e nella società nel suo complesso. ll Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) riconosce la necessità di promuovere l‘equità di genere e l’accesso ai servizi educativi per l’infanzia in Italia, specialmente nel Mezzogiorno.
La maternità continua ad influenzare l’occupazione femminile, con impatti più pronunciati nel Sud. Il PNRR mira a migliorare l’occupazione femminile tramite sostegno all’imprenditoria e alla presenza femminile nei settori STEM, oltre al potenziamento dei servizi per l’infanzia. L’obiettivo è raggiungere il 33% di copertura dei servizi per l’infanzia entro il 2026, seguendo gli standard del Consiglio europeo di Barcellona. Tuttavia, l’attuazione del PNRR richiede un coinvolgimento efficace degli enti locali, soprattutto nei comuni più piccoli o con risorse limitate. È cruciale garantire un monitoraggio costante per ridurre le disuguaglianze territoriali e assicurare un accesso equo ai servizi educativi.
CONCLUSIONI:
In conclusione, affrontare le disuguaglianze di genere in famiglia richiede politiche e iniziative mirate che promuovano un maggiore coinvolgimento degli uomini nei compiti domestici e una maggiore flessibilità nei luoghi di lavoro per entrambi i sessi. È essenziale cambiare le norme sociali e culturali che perpetuano i ruoli di genere tradizionali e promuovere una visione più equa e inclusiva della famiglia e del lavoro. Sebbene il PNRR offra un’opportunità per migliorare l’equità di genere e l’accesso ai servizi educativi per l’infanzia, è necessario affrontare le sfide implementative e garantire una distribuzione equa dei servizi su tutto il territorio nazionale per assicurare pari opportunità a tutte le famiglie italiane.
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