Disturbo Post Traumatico da Stress: il trauma

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Il Disturbo Post Traumatico da Stress (DPTS) è una condizione psicopatologica caratterizzata da una sintomatologia di tipo ansioso-depressivo che compare conseguentemente al vissuto di un episodio di tipo traumatico.

Quando parliamo di Disturbo Acuto da Stress (DAS), facciamo invece riferimento ad una complessa reazione e condizione psicologica che può svilupparsi nella persona che vive un grave evento traumatico e che può presentarsi con sintomi dissociativi, marcato evitamento degli stimoli che evocano ricordi associati al trauma e iper-arousal. Come nel disturbo post traumatico da stress, anche questi sintomi si associano a sofferenza clinicamente significativa e compromissione del funzionamento lavorativo e/o sociale, che durano da due giorni ad un mese.

In genere in questo caso i sintomi appaiono entro le prime 24 ore dopo il trauma, sebbene possano svilupparsi in qualsiasi momento durante il mese successivo all’evento. La presenza dei sintomi di stress acuto è un predittore del Disturbo Post Traumatico da Stress fino a due anni dopo l’esperienza traumatica (Connor e Butterfield 2003).

La maggior parte delle persone che vive una situazione traumatica presenta una reazione con peculiari aspetti di cambiamento e di adattamento che sono in stretto rapporto sia con la drammaticità dell’evento vissuto sia con le capacità, risorse e abilità individuali nel farvi fronte, e con il tempo dovrebbe riuscire gradualmente a riprendersi e a riorganizzare la propria vita (Ranzato 2005).

È importante notare come non tutti coloro che vivono una situazione traumatica poi sviluppano un Disturbo Post Traumatico da Stress: è possibile infatti che per alcune persone gli eventi a valenza traumatica, così come le perdite, stimolino un processo di cambiamento personale, ovvero l’esperienza traumatica può anche stimolare la resilienza individuale e la riorganizzazione della propria esistenza, ridefinendo valori, obiettivi e priorità secondo una differente prospettiva.

Un chiaro esempio di ciò è quello di alcuni sopravvissuti a catastrofi ambientali, i quali sono riusciti a trarre da questa esperienza anche conseguenze, in un certo senso, positive, come l’aver imparato a fronteggiare efficacemente situazioni critiche improvvise e il sentirsi migliorati dopo aver affrontato una condizione evidentemente estrema.

D’altra parte, invece, molte persone in seguito ad un evento traumatico sviluppano una condizione psicopatologica di disturbo post-traumatico (Fullerton e Ursano 2001).

Riuscire a mantenere il controllo di sé e della propria vita al presentarsi, talvolta improvviso, di situazioni dall’impatto talmente grave da comportare cambiamenti drastici, richiede una ristrutturazione cognitiva rapida e profonda dei propri punti di riferimento, ristrutturazione che evidentemente non può sempre verificarsi agevolmente.

Alla luce delle considerazioni fin qui svolte, si evidenzia come sia necessario focalizzarsi non solo sulla natura dell’evento traumatico vissuto, ma anche sulle differenze individuali di chi vive un trauma, che rappresentano i fattori di rischio e i fattori protettivi della persona (Ardino 2006).

Oltre al DPTS e al DAS, sembra esistere anche un’altra forma di Disturbo Post Traumatico da Stress, ovvero il DPTS complesso, che si presenta come condizione conseguenziale e a lungo termine di abusi prolungati e ripetuti che hanno inizio in un’età precoce. In questi casi si configurano quadri clinici più gravi e complessi, in cui è possibile osservare una comorbilità con il Disturbo Borderline di Personalità: sono presenti infatti sintomi di disregolazione affettiva, dissociazione, somatizzazione, alterazioni nelle relazioni interpersonali e percezioni alterate di sé e degli altri (Connor e Butterfield 2003; Adshead 2000).

Tutti i quadri clinici descritti hanno comunque in comune il vissuto di un’esperienza di tipo traumatico, per cui è importante che il clinico effettui una diagnosi differenziale di queste diverse forme di psicopatologia che non trascuri la valutazione dei fattori individuali di protezione e/o di rischio, finalizzata alla pianificazione e alla realizzazione di interventi psicoterapeutici idonei alle specifiche condizioni psicopatologiche (Fullerton e Ursano 2001; Andrews et al. 2003).

Le condizioni psicopatologiche legate al trauma sono state inserite nel manuale diagnostico dell’American Psychiatric Association (DSM) nel 1980, ma già nella letteratura del Novecento se ne trovano descrizioni con termini differenti come “nevrosi da guerra”, “cuore del soldato”, “shock post-traumatico”, tutti ad indicare una patologia che insorge acutamente in conseguenza dell’esposizione ad eventi stressanti di gravità estrema che minacciano la propria o l’altrui incolumità.

Tuttavia mentre nei primi anni Ottanta si faceva riferimento quasi esclusivamente alle conseguenze psicologiche osservabili in soggetti esposti a operazioni di guerra, attualmente le situazioni potenzialmente in grado di portare allo sviluppo del DPTS sono aumentate, mantenendo tuttavia in comune il criterio di “gravità oggettiva estrema” della situazione.

Più nello specifico, nella definizione di trauma viene fatto riferimento a eventi vissuti direttamente, come una aggressione personale violenta, un rapimento, disastri naturali o provocati, gravi incidenti automobilistici, diagnosi di grave malattia. Traumatici sono anche eventi vissuti in qualità di testimoni, come l’osservare il ferimento grave o la morte innaturale di un’altra persona, o anche eventi vissuti da altri ma di cui si è venuti a conoscenza, come aggressione personale violenta, grave incidente o gravi lesioni subite da un familiare o da un amico stretto.

Nel definire quindi un evento come “traumatico”, la nosografia psichiatrica si basa attualmente anche sulla qualità della reazione soggettiva all’evento, risposta che tuttavia comprende una paura intensa e sentimenti d’impotenza o d’orrore.

I sintomi psicopsicologici che seguono l’esposizione al trauma comprendono il rivivere mentalmente continuamente ed intrusivamente l’evento traumatico, sintomi del re-experiencing come i ricordi spiacevoli e intrusivi sotto forma d’immagini, pensieri o percezioni, incubi, l’agire o il sentire come se l’evento si stesse ripresentando, disagio psicologico e reattività fisiologica intensi all’esposizione a fattori scatenanti interni o esterni che rievocano l’evento.

A livello comportamentale vi è l’evitamento persistente degli stimoli associati con il trauma, dei pensieri, sentimenti o conversazioni che riguardano l’evento, l’evitamento di situazioni, luoghi o persone che possono ricordare il trauma.

Può esserci un’amnesia per qualche aspetto importante dell’evento, una marcata diminuzione dell’interesse o della partecipazione ad attività prima piacevoli, oltre al sentirsi distaccati o estranei nei confronti delle altre persone, una marcata riduzione della capacità di provare emozioni, un senso di diminuzione delle prospettive future.

La reazione al trauma può comprendere anche sintomi costanti di aumentato arousal: difficoltà ad addormentarsi o a mantenere il sonno, irritabilità o scoppi di collera, difficoltà a concentrarsi, ipervigilanza e esagerate risposte d’allarme.

È possibile inoltre che si presenti un peculiare sentimento di colpa per il fatto di essere sopravvissuti e, a differenza di altri vicini a sé, di “aver avuto la meglio”.

Relativamente ai fattori di vulnerabilità alcune evidenze sembrano suggerire che vi sia un rischio maggiore di sviluppare Disturbo Post Traumatico da Stress (DPTSnelle persone con un livello di istruzione e socioeconomico basso, con difficoltà relazionali, una storia di pregressi disturbi psichiatrici e/o di personalità.

Anche variabili di tipo sociale possono avere una loro influenza sulle risorse della persona nel fronteggiare uno stressor traumatico tra cui: l’indigenza, la trascuratezza, la presenza di disturbi mentali nelle figure di accudimento, una storia familiare di comportamento antisociale, la precoce separazione dai genitori (Carlson 2005; Andrews et al. 2003; Connor e Butterfield 2003).

Alcune ricerche (True et al. 1993) hanno inoltre evidenziato che una parte della varianza nelle risposte al trauma dipende da fattori genetici, sebbene il meccanismo di influenza non sia ancora del tutto chiaro: una possibile spiegazione è che la soglia oltre cui si resta traumatizzati dalla paura e dal senso di impotenza varia da una persona all’altra in parte a causa di differenze genetiche nelle risposte fisiologiche ed emozionali agli stressor, specialmente nella predisposizione alle risposte ansiose.

E’ stata avanzata anche l’ipotesi di una predisposizione biologica non genetica, ossia fattori ambientali ed esperienze di vita possono produrre cambiamenti biologici permanenti: è probabile infatti che le persone con una predisposizione biologica all’ansia sviluppino reazioni più gravi se esposte a un trauma (Carlson 2005).

A cura della dott.ssa Eugenia Ferrovecchio