C’era una volta…Carlo Gozzi e i giovanissimi

A cura di Laura Musso
Concludiamo il nostro percorso Libri per crescere, dedicato all’importanza fondamentale delle fiabe per lo sviluppo psicologico del bambino (Libri per crescere – 1, Libri per crescere – 2 Libri per crescere – 3 e Libri per crescere – 4) con una analisi dell’allestimento de L’Amore delle tre melarance (Carlo Gozzi, 1760) realizzata da giovanissimi nella veste di autori e attori che hanno partecipato al progetto Laboratorio Teatrale Gabrielli (Roma), guidati da Roberto Gandini in qualità di coordinatore artistico e regista, e Attilio Marangon, come autore.
L’ Amore delle tre melarance
Nella versione originale la vicenda ha inizio in un regno immaginario governato dal monarca Silvio, detto re di Coppe perché i suoi abiti imitano quelli dei re delle carte da gioco. Tartaglia, suo figlio ed erede al trono, ormai da dieci anni soffre di malinconia e depressione causate, secondo il parere dei medici, dall’ipocondria: l’unico rimedio per la guarigione è riuscire a farlo ridere di nuovo.
Molti i tentativi fatti ma tutti vani. Celio, mago di corte, suggerisce di convocare Truffaldino, un noto e irresistibile comico, per allestire uno spettacolo e far divertire il principe. Assai preoccupati della possibile guarigione di Tartaglia sono Clarice, sua cugina ed erede al trono, se egli fosse morto, e Leandro, cavallo di Coppe, primo ministro: questi avrebbe sposato Clarice e sarebbe salito al trono al suo fianco.
La coppia chiede aiuto alla maga Morgana, nemica sia di Celio, sia di re Silvio. Morgana avrebbe partecipato allo spettacolo e con ogni possibile maledizione, stregoneria e sortilegio, avrebbe impedito la guarigione di Tartaglia provocandone così la morte.
La rappresentazione ha inizio: entra in scena Morgana travestita da vecchierella; mentre Truffaldino si rivolge a lei con lazzi e scherzi di ogni genere, questa cade a gambe levate sul palcoscenico, al vederla cadere il principe scoppia a ridere: finalmente la tanto attesa guarigione.
Morgana con furia rabbiosa lancia una maledizione: il principe si sarebbe perdutamente innamorato delle tre melarance fatate e sarebbe partito alla disperata ricerca dei frutti. Il giovane e Truffaldino iniziano l’avventuroso viaggio per raggiungere il castello della gigantessa maga Creonta dove, secondo la leggenda, i frutti erano custoditi. Un diavolo soffia con un mantice e un vento fortissimo li trasporta magicamente al castello di Creonta: qui con l’aiuto di Celio superano le quattro prove e riescono a sottrarre i frutti. Morgana non si arrende: con un incantesimo, separa Tartaglia da Truffaldino, poi tormenta quest’ultimo fino a provocargli una tale sete e fame, da indurlo a tagliare una delle melarance. Truffaldino non ricordando l’ammonimento di Celio, di aprire le melarance solamente vicino ad una fonte, taglia il frutto.
Appare una bellissima fanciulla che chiede disperatamente un po’ di acqua per placare la sete e non morire, al fine di aiutare la fanciulla Truffaldino apre la seconda melarancia per farle bere il succo del frutto: ma ne esce un’altra fanciulla e anche lei implora di avere un po’ di acqua; Truffaldino è disperato, non sa cosa fare e purtroppo entrambe le fanciulle muoiono. ‘Balordo per istinto’ avrebbe tagliato anche l’ultima melarancia se non fosse arrivato Tartaglia in tempo a fermarlo: taglia il frutto e disseta subito la terza fanciulla che rivela di essere Ninetta, figlia di Concul, re degli Antipodi; narra che la crudele Creonta, aveva condannato lei e le sue sorelle ad essere rinchiuse nel guscio di una melarancia.
Tartaglia promette solennemente a Ninetta di sposarla, quindi parte per la vicina città per tornare con abiti adatti al suo rango. La maga Morgana, nuovamente pronta a colpire, incarica Smeraldina, la sua servetta mora, affinché faccia scomparire la principessa: Smeraldina punge Ninetta con uno spillone magico, la fanciulla si trasforma in una bianca colomba e Smeraldina si sostituisce a lei. Tartaglia fa ritorno con suo padre e la corte al seguito, ma rimane assai perplesso nel trovare una sconosciuta al posto dell’amata. Smeraldina giura di essere lei la principessa che Tartaglia aveva lasciato lì ad attenderlo: re Silvio ordina al figlio di mantenere la parola data e sposare la mora, Tartaglia non ha scampo, tristemente obbedisce al re.
Verso il lieto fine
Truffaldino, nominato cuoco reale si occupa del banchetto nuziale, ma mentre è intento a cucinare un arrosto, per ben tre volte compare una colomba bianca: ogni volta è assalito da un pesante sonno, si addormenta e l’arrosto si incenerisce. Arriva nuovamente la colomba, ma Truffaldino riesce a prenderla; accarezzandola delicatamente vede uno spillone conficcato nel suo capo, lo estrae e subito riprende le sue sembianze umane.
Re Silvio si reca nelle cucine e si rivolge duramente a Truffaldino per il ritardo nel servire gli ospiti. Giunge anche Tartaglia che subito riconosce la sua vera amata. Ella narra l’accaduto e, all’udire tale racconto, re Silvio emette prontamente il suo giudizio: condanna Smeraldina al rogo; Clarice, Leandro e Brighella – loro complice – sono riconosciuti colpevoli di tradimento e tentativo di usurpare il trono e pertanto mandati al confino.
La favola termina secondo la tradizione con il lieto fine: tutti si rallegrano e si celebrano le nozze reali.
Un copione per mettersi in gioco
Una fiaba può anche avvicinare i ragazzi al teatro: dal canovaccio di Carlo Gozzi a un copione teatrale con nuovi personaggi e un linguaggio vicino al mondo dei ragazzi. La recitazione come gioco, ma anche per mettersi in gioco.
Roberto Gandini, Attilio Marangon e Giorgio Scaramuzzino hanno riscritto L’Amore delle tre melarance (2018) di Gozzi in forma di copione adatto ad adolescenti, per guidarli alla messa in scena della fiaba.
La trama è fedele a quella della fiaba veneziana, l’antico si unisce al moderno, ci sono nuovi personaggi, il linguaggio rispecchia quello dei ragazzi di oggi. Il testo è strutturato in tre Atti con un Prologo e un Epilogo.
Il Prologo si apre con una scena notturna, l’azione si svolge in una piazza italiana: gli spazzini sono al lavoro, una statua è al centro della piazza, la luna la illumina con il suo chiarore, un ragazzo è seduto ai piedi del monumento. La statua si rivolge al ragazzo che, incredibilmente, non mostra stupore che questa parli. Tra i due inizia un dialogo fatto di battute brevi, ma pungenti ed efficaci. Il ragazzo è triste, risponde, la statua scende dal piedistallo, inizia a lamentarsi che non può mai chiacchierare con qualcuno perché nessuno può sentire le sue parole, cosa incredibile invece lui la può sentire. Indaga se il motivo della tristezza sia una ragazza, ma lui non risponde. La statua gli propone di ascoltare la storia de L’Amore delle tre melarance: il ragazzo è piuttosto scettico, risponde in modo brusco ma accetta di ascoltare. La statua inizia il racconto e, imitando il tono di comando del re, chiama il capitano delle guardie e il maggiordomo: arrivano subito, aiutano la statua a indossare un mantello regale, poi escono e le guardie trasformano la piazza nella sala del trono di un palazzo reale. Il re ordina che sia convocato l’astronomo reale.
Il I atto inizia con il dialogo tra i due: l’astronomo scruta il cielo con un cannocchiale: le stelle non annunciano un oroscopo favorevole. Il re si abbandona alla più nera disperazione: Tartaglia, suo unico figlio soffre di “lagnosite precox”, una gravissima malattia che lo condurrà alla morte, a meno di riuscire a farlo ridere. L’astronomo suggerisce di far chiamare Truffaldino, un comico alle cui battute nessuno riesce a trattenersi dallo scoppiare a ridere: il re ordina che sia organizzata una grande festa con ogni possibile divertimento con l’obiettivo di indurre il principe a ridere. Come nella fiaba originale, Clarice e Leandro auspicano la morte del principe per salire al trono. I due coinvolgono Brighella e Smeraldina – già a loro servizio – e con l’aiuto della maga Morgana, tramano per raggiungere il loro scopo.
Una peculiarità del personaggio di Smeraldina. La servetta si esprime con uno strano linguaggio, usato da Dario Fo, che si chiama Gramelot: unalingua teatrale strutturata su suoni, onomatopee e parole inventate, ma comprensibile. La festa ha finalmente inizio e Tartaglia fa il suo ingresso in scena su un carretto spinto da alcune suore: si lamenta e si commisera; ha freddo, detesta la confusione e protesta energicamente che vuole tornare a casa. Truffaldino come ultima risorsa per far ridere il principe, sistema una botte orizzontalmente, si prepara a salirci sopra per cercare di restare in equilibrio, ma la botte inizia a muoversi da sola: il comico guarda dentro la botte e urla terrorizzato. Esce la maga Morgana, alla sua vista, Tartaglia scoppia a ridere e con lui tutti i presenti, ma la vendetta della maga è immediata e infuriata scaglia la sua maledizione.
La storia prosegue secondo l’intreccio originale di Gozzi e si arriva all’agnizione finale e al ricongiungimento degli innamorati, come nella fiaba veneziana.
Nell’Epilogo si assiste a un breve duello verbale tra Celio e Morgana ma durante l’animato dialogo entra un ambulante che spinge un carretto con delle cassette di frutta e, in malo modo, caccia Morgana accusandola di occupare il suo posto. Rientrano la statua con il ragazzo, quest’ultimo commenta che il lieto fine è proprio adatto a una favoletta intanto chiede al venditore un’arancia e recita:
RAGAZZO: Per favor seduta stante, mi si dia da ber veloce, o la morte in un istante via con sé mi porterà.
Poi si rivolge alla statua e aggiunge:
RAGAZZO: Ah, statua, magari funzionassero le arance!
Guarda l’arancia che ha in mano, guarda la statua, scrolla le spalle e sbuccia il frutto: intanto arriva la sua ragazza che gli chiede preoccupata dove fosse stato. Il ragazzo si giustifica dicendo che è rimasto a chiacchierare tutta la notte…con le stelle, lei lo guarda incredula ed escono di scena. La statua ha sentito le parole del ragazzo e candidamente guarda il cielo: fra se mormora di non avere mai pensato a parlare con le stelle, si rivolge a Sirio – la stella più luminosa – l’appuntamento è per la sera stessa…con una nuova storia. Intanto la piazza si è riempita di carretti e bancarelle perché durante il giorno c’è il mercato.
Un finale a sorpresa dove fiaba e realtà si confondono: il ragazzo rientra insieme alla statua forse ha vissuto realmente per una notte in una fiaba o era un sogno? Le arance però funzionano, ne ha sbucciata una e la sua ragazza come per magia è comparsa accanto a lui: la quête è terminata, il ragazzo torna alla vita reale, anche lui ha trovato la sua melarancia. La statua ricorda quella di Calmon, presente nella fiaba gozziana Augellin belverde, il cui ruolo èdi aiutantee guida che indica la strada da compiere, come affrontare e superare gli ostacoli e le prove.
La scelta de L’Amore delle tre melarance è motivata dalla libertà di interpretazione del canovaccio originale, tanto da poterlo adattare in un contesto contemporaneo: la fiaba – liberata dai temi della parodia e della polemica – presenta una trama semplice, divertente per la presenza delle maschere, desta stupore e meraviglia di fronte alla magia e al fiabesco.
Il lavoro ha dato origine a un fascicolo simile a un vero e proprio copione teatrale: il testo è presentato sulla pagina destra, la pagina sinistra è riservata agli appunti personali e di regia, con alcuni consigli tecnici e operativi. La sezione Suggerimenti e schede è dedicata a riflessioni e tracce per imparare ad affrontare e interpretare il proprio personaggio.
I tre autori propongono la recitazione come gioco, ma come ogni gioco prevede delle regole da rispettare dal singolo, in quanto parte di un gruppo, al fine di sentirsi tutti protagonisti, coinvolti insieme nell’allestimento di uno spettacolo. É anche mettersi in gioco, superare le proprie paure di non essere capaci svolgere il ruolo scelto o assegnato, imparare a conoscere e accogliere l’altro, il diverso, liberare il corpo nel movimento, scoprire le emozioni, imparare a comunicare e a lavorare sia individualmente, sia in gruppo.
L’idea di riscrivere un testo d’autore per avvicinare i ragazzi al teatro come spettatori, ma anche come momento educativo, è nata dall’esperienza dei tre autori: Giorgio Scaramuzzino che ha contribuito con suggerimenti e note di scena; Roberto Gandino che collabora con il Laboratorio Teatrale Integrato Piero Gabrielli in qualità di coordinatore artistico e regista; Attilio Marangon che ne fa parte come autore. I loro spettacoli sono rivolti a un pubblico giovane e coinvolgono tra gli attori anche persone con disabilità. La mission del Laboratorio Gabrielli è favorire l’inclusione dei ragazzi con problemi di comunicazione affinché possano superare gli ostacoli che possono incontrare nella scuola, nel mondo del lavoro, nella vita. Il Laboratorio è attivo in vari progetti, con la collaborazione e l’impegno di professionisti e specialisti; è inoltre garantito da un accordo inter-istituzionale che coinvolge Roma Capitale, il Teatro di Roma e l’Ufficio Scolastico Regionale per il Lazio.
BIBLIOGRAFIA
- Bettelheim, Bruno (1975), The uses of enchantment. The Meaning and Importance of Fairy Tales, Random House, New York.
- Gandini, Roberto/ Marangon, Attilio (2018), L’Amore delle tre melarance dalla fiaba teatrale di Carlo Gozzi, Giunti, Firenze, Milano.
- Gozzi, Carlo (1984), Beniscelli, Alberto, a cura di, Fiabe teatrali, Garzanti, Milano.
- Gozzi, Carlo (1994), Bosisio, Paolo, a cura di, Fiabe teatrali, Bulzoni, Roma.
- Gozzi, Carlo (1939), Le tre melarance, Edizioni Educative Economiche, Milano.
- Mango, Lorenzo (2019), Il Novecento del teatro. Una storia, Carocci, Roma.
- Mic, Constant (1927), La Commedia dell’arte ou le théâtre des comédiens italiens des XVIe, XVIIe & XVIIIe siècles, Pléiade, Paris.
- Propp, Vladimir Jakovlevic (1966), Morfologia della fiaba, Einaudi, Torino.
- Propp, Vladimir Jakovlevic (1972), Le radici storiche sei racconti di fate, Bollati Boringhieri, Torino.
- Sanguineti, Edoardo (2001), L’amore delle tre melarance un travestimento fiabesco dal canovaccio di Carlo Gozzi, il melangolo, Genova.
- Zipes, Jack (2012), La fiaba irresistibile. Storia culturale e sociale di un genere, Donzelli, Roma.