LA GAMIFICATION NELLA GESTIONE DELLE RU

A cura di: Giorgia Balzan
INTRODUZIONE
“Dobbiamo cominciare a rendere il mondo reale più simile ad un gioco. […] Penso che questo sia esattamente il modo in cui usiamo i giochi al giorno d’oggi. Usiamo i giochi per sfuggire alla sofferenza del mondo reale. Usiamo i giochi per allontanarci da tutto ciò che non funziona nel nostro ambiente reale, da tutto ciò che non ci soddisfa della vita reale, e otteniamo ciò di cui abbiamo bisogno dai giochi”. Jane McGonigal è una game designer. Nel suo Ted Talk racconta del suo gioco curativo chiamato “SuperBetter”. Dopo una commozione cerebrale i cui sintomi (perdita di memoria, confusione mentale, nausea) si potevano curare solo con il riposo assoluto (“Per me questo significava non leggere, non scrivere, non giocare, niente alcool, niente caffeina. In altre parole – e credo che sappiate dove andiamo a parare – nessun motivo per vivere”), inizia ad ideare il suicidio (“è abbastanza comune in casi di trauma cranici. Succede in un caso su tre, ed è successo a me. Il mio cervello ha cominciato a dirmi: Jane, tu vuoi morire. Diceva: “Non ti sentirai mai meglio, il dolore non finirà mai”. E queste voci sono diventate così insistenti e persuasive che ho cominciato giustamente a temere per la mia vita”).
Da quel momento, grazie alle sue conoscenze sui giochi e ad una forte resilienza, è riuscita a trasformare questo suo vissuto doloroso in un gioco (“Ma perché un gioco? Sapevo da più di 10 anni, da ricerche sula psicologia dei giochi, che quando giochiamo – e si tratta di letteratura scientifica – affrontiamo le sfide più difficili con maggiore creatività, maggiore determinazione, maggiore ottimismo, ed è più probabile che ci rivolgiamo ad altri per farci aiutare”).
Ha così creato il gioco “Jane che Ammazza il Trauma Cranico”, coinvolgendo la sua gemella e, successivamente, suo marito, i suoi “alleati” che la aiutavano a combattere i “cattivi”, ovvero tutto ciò che poteva scatenarle i sintomi: “Cose come coccolare il mio cane per 10 minuti, o alzarmi dal letto e fare il giro dell’isolato almeno una volta. Il gioco era molto semplice: assumere un’identità segreta, reclutare alleati, combattere i cattivi, attivare i super-poteri. Anche con un gioco così semplice, dopo solo un paio di giorni, quel velo di ansia e depressione era sparito, svanito. È stato come un miracolo. (…) Ma anche quando avevo ancora i sintomi, anche quando sentivo ancora dolore, ho smesso di soffrire”.
Questa scoperta le ha permesso di aiutare molte altre persone che soffrivano di cancro, depressione e perfino malati terminali di SLA. Jane, e il motivo per cui è stata citata, aiuta a comprendere quanto sia importante non sottovalutare il ruolo del gioco in sé, i suoi effetti benefici.
1. La gamification: definizioni
Il concetto di gamification è nato nel 2008; tuttavia, la sua accettazione e popolarità hanno attirato molta attenzione a partire dal 2010 (Bozkurt & Durak, 2018). Sebbene sia stata utilizzata per la prima volta per scopi di marketing, è stata successivamente adottata in molti altri campi, tra cui istruzione e didattica, salute e benessere, affari e gestione delle risorse umane. Lo scopo fondamentale dell’utilizzo di questo strumento è aumentare la motivazione degli utenti e fornire esperienze più efficaci, efficienti, coinvolgenti, durature e divertenti (Bozkurt & Durak, 2018).
Sono state proposte numerose definizioni, riportiamo qui di seguito le più significative:
- “Utilizzo di elementi di game design in contesti diversi dal gioco” (Deterding, Dixon, Khaled & Nacke, 2011);
- “Utilizzo di meccaniche basate sul gioco, estetica e il pensiero ludico per coinvolgere le persone, motivare l’azione, promuovere l’apprendimento e risolvere i problemi” (Kapp, 2012);
- “La gamification è stata impiegata per consentire un cambiamento di atteggiamento e un aumento della motivazione degli utenti. Si riferisce all’aggiunta di elementi di gioco ai sistemi esistenti in contesti non di gioco, spesso puntando ad aumentare il valore di un servizio o di un prodotto aziendale oltre il suo valore, nonché per aumentare il coinvolgimento (engagement) degli utenti, lealtà e soddisfazione o qualsiasi cosa influisca comportamento di utilizzo” (Ašeriškis e Damaševi?ius, 2014);
- “Un approccio alla gestione delle performance che utilizza la tecnologia per creare accesso in tempo reale alle informazioni sulle prestazioni e rendere le attività più piacevoli” (Cardador, Northcraft e Whicker, 2017).
La gamification determina effetti interessanti su determinati outcomes, quali: soddisfazione, motivazione, engagement, abilità di problem-solving, lealtà ed apprendimento.
1.1 Gli elementi della gamification
Dalla metanalisi condotta da Klock, Gasparini, Pimenta, Hamari (2020), sono stati ripresi i principali elementi caratteristici:
- Personalizzazione. Auto-espressione degli utenti attraverso creazione e decorazione del proprio spazio virtuale, del proprio avatar e di alcuni aspetti dell’interfaccia del sistema
- Badge. Rappresentazione visiva dei risultati dell’utente
- Sfida. Varietà di situazioni da affrontare o comprendere, boss battle o qualsiasi azione che richieda uno sforzo per essere compiuta
- Livello. Supporto agli utenti per il monitoraggio dei progressi
- Competizione. Permette il confronto sociale tra utenti: conflitti personali, duelli, gare
- Classifica (Leaderboard). Ordina gli utenti secondo alcuni criteri per permetterne il confronto
- Punti. Feedback numerico dato in seguito ad un’azione compiuta
- Premio. Qualsiasi ricompensa che l’user riceve per un’azione (bonus, combo, boosters)
- Feedback. Fornisce informazioni rilevanti all’utente, utile anche per l’auto-monitoraggio dello stato di gioco
1.2 Modelli teorici e gamification
In base alla rassegna di Krath, Schürmann & von Korflesch (2021), si riassumeranno le principali teorie riguardanti il fenomeno della gamification: SDT, teoria del flusso, goal-setting theory, TAM, teoria dell’apprendimento sociale ed infine la teoria del carico cognitivo.
- SDT (Ryan & Deci, 2000): gli autori distinguono diversi tipi di motivazione, in base alle ragioni od obiettivi che determinano un’azione, ovvero motivazione intrinseca, fare qualcosa perché intrinsecamente interessante, e motivazione estrinseca, fare qualcosa perché porta a un risultato. Krath et al., (2021) sostengono che i tre bisogni psicologici di base – il bisogno di competenza, di autonomia e di relazione – sianola base della motivazione umana, asserendo che la gamification è collegata a questi tre bisogni;
- Flow theory (Csikszentmihalyi): il flusso è “una sensazione olistica che le persone sentono quando agiscono con totale coinvolgimento” e questo stato mentale “è caratterizzato da un’intensa concentrazione, fusione di azione e consapevolezza, perdita di autocoscienza e distorsione dell’esperienza temporale” (Krath et al. 2021);
- Teoria del goal-setting (Locke & Latham): nasce dalla considerazione che gli obiettivi difficili producono un prestazioni più elevate rispetto agli obiettivi facili. Inoltre, ci sono sei moderatori che influenzano la relazione tra obiettivi e performance: impegno verso l’obiettivo (goal commitment), feedback, complessità del compito, vincoli situazionali, personalità, stato d’animo (affect) ed abilità (Krath et al., 2021). Questa teoria, continuano gli autori, è importante nell’ambito della gamification in quanto gli obiettivi designati influenzeranno la performance successiva dei partecipanti;
- TAM (technology acceptance model) di Davis, Vroom, Bandura, Tornatzky, Klein, Payne, Swanson, Larcker e Lessig: tale modello implica che l’atteggiamento, che a sua volta influenza l’intenzione comportamentale ad utilizzare la tecnologia, dipenda da delle credenze: l’utilità percepita e la facilità d’uso percepita (Krath et al., 2021): più un individuo percepisce che una tecnologia è utile e facile da usare, più sarà predisposto positivamente verso l’uso e l’adozione di questa;
- Teoria dell’apprendimento sociale (Skinner e Bandura): le persone spesso apprendono tramite osservazione (modeling); quindi, il comportamento può essere appreso prima che la persona abbia la possibilità di eseguirlo (Krath et al., 2021);
- Teoria del carico cognitivo (Sweller): l’apprendimento e la risoluzione dei problemi possano dipendere dall’“attenzione selettiva” e la capacità di elaborazione (“carico cognitivo”). La riduzione del carico consente un aumento delle risorse all’interno della memoria di lavoro, determinando un miglioramento dell’apprendimento. È pertanto importante che i giochi proposti vengano progettati in modo da ridurre il carico cognitivo estraneo e volti a favorire l’apprendimento (Krath et al., 2021).
2. La selezione del personale
Il processo di assunzione è una fase molto delicata, di fondamentale importanza per le organizzazioni, in un’ottica di soddisfazione e prosperità nel lungo termine. Il ruolo del recruiter non si limita più solo all’individuazione della persona più “adeguata” per una determinata posizione, ma è il responsabile di un processo che tiene conto di molte variabili: oggi, oltre alla formazione ricevuta ed a quelle che vengono definite come “hard skills” – competenze prettamente tecniche e formative come il livello degli studi, abilità linguistiche, abilità informatiche – diventano di particolare rilievo le caratteristiche personali, caratteriali e comportamentali possedute.
2.1 Recuiter come “Cupido delle carriere”
Il recruiter viene definito da Leutner, Akhtar, & Chamorro-Premuzic (2022) come “il Cupido delle carriere”, ovvero colui che si basa su ricerche psicologiche al fine di spiegare perché ci piacciono certi lavori ed altri no, perché siamo bravi in alcune cose e meno in altre, e cosa ciò implica per la carriera e le relative scelte professionali.
Gli autori specificano: “Quando non interveniamo (noi recruiter) si ottiene quello che di solito succede: persone che fanno scelte professionali casuali in base a ciò che suggerivano la zia o lo zio, o ciò che prescrivono i genitori: ‘Perché non vai a fare il dottore come il tuo padrino’, oppure ‘Perché non studi informatica, così puoi guadagnare bene?’. Nell’ambito delle relazioni, ciò equivale a sposare qualcuno dopo un incontro da ubriachi al bar, o sulla base di un matrimonio prestabilito, ma con minori probabilità di successo. Sì, i matrimoni prestabiliti spesso sopravvivono ai matrimoni “liberi” o autodeterminati, anche perché i tassi di divorzio nel mondo ricco si aggirano intorno al 50%, quindi l’asticella è piuttosto bassa, ma c’è ancora un modo molto migliore per essere abbinati, sia nel regno dell’amore che del lavoro: vale a dire, capire chi sei veramente e dove i tuoi talenti ed il tuo potenziale sono meglio dispiegati”.
Il ruolo di questa figura professionale appare dunque determinante sia per i singoli individui in cerca di una nuova occupazione che per le aziende, contribuendo alla creazione di un benessere aziendale che – come sappiamo – è imprescindibile dal benessere di ogni singolo lavoratore che vi appartiene e ne influenza il clima aziendale.
2.2 L’importanza delle soft skills
Ed ecco che, in mezzo a tutti questi cambiamenti all’interno del mondo aziendale, iniziano dunque a diffondersi delle terminologie riferite a delle abilità individuali, quali creatività, empowerment, team working, empatia, resilienza, abilità di problem-solving, flessibilità, etc., tutte competenze personali che fanno parte delle “soft skills”, indispensabili in un CV che voglia destare l’interesse da parte di un’azienda ed a differenziarsi significativamente da quello degli altri candidati.
Da tali premesse, si può altresì evidenziare come tutti questi cambiamenti abbiano determinato uno spostamento di focus da un’ottica centrata sul “bisogno” ad un’ottica che fa luce su un concetto di natura del tutto inversa, ovvero quello di “desiderio”: si tratta di un passaggio da un’accezione negativa, tipica del passato – che considerava le mancanze, i problemi, gli ostacoli – ad una focalizzata sui punti di forza di un individuo, sulle sue potenzialità. L’importanza di tenere in considerazione i desideri individuali (concetto di “Io desiderante”) permette di avere un maggior senso di controllo sulla propria vita, elemento chiave per il successo personale e, conseguentemente, lavorativo (Castagna, 2010).
2.3 Il capitale intellettuale e gli “high flyers”
La selezione è il processo che mira a valutare le abilità possedute dai candidati, i loro punti di forza e di debolezza, al fine di permettere all’organizzazione di raggiungere quel quid distintivo che fa la differenza con le concorrenti, ovvero le risorse umane.
Esse costituiscono il vero vantaggio competitivo che un’azienda immette nel mondo del mercato, ciò che le permetterà di distinguersi e differenziarsi dalle altre presenti. Questo vantaggio competitivo andrà a formare il cosiddetto “capitale intellettuale” (Gandolfi, 2015), ovvero tutte quelle risorse che forniscono e determinano il valore di un’entità, che possono essere di tipo:
- “umano”: conoscenze e competenze espresse dalle risorse umane;
- “strutturale/organizzativo”: capacità di innovazione, efficienza dei processi e delle procedure di business;
- “relazionale”: relazioni che l’impresa ha instaurato con il mercato, i clienti, i fornitori, etc.
Tale vantaggio competitivo verrà fornito da coloro che Gandolfi definisce “high flyers”, ovvero individui ad alto potenziale. L’obiettivo sarà quello di creare team in cui i componenti possiedono diverse competenze, complementari, in modo da creare un insieme equilibrato di forze che si compensano vicendevolmente (Byers et al., 2019).
Nel suo testo intitolato “Technology ventures” è presente un’ottima metafora per spiegare come un buon team può essere uno strumento efficace (p. 258): “Le oche che si dirigono a sud per l’inverno volano in una formazione a V. Quando ogni uccello sbatte le ali, crea sollevamento per l’uccello che lo segue immediatamente. Volando in formazione a V, l’intero stormo può volare almeno il 71% più lontano rispetto che se ogni uccello volasse da solo. Le persone che condividono una direzione comune possono arrivare dove stanno andando più rapidamente e facilmente se collaborano. Ogni volta che un’oca esce dalla formazione, sente la resistenza di provare ad andare da sola e si rimette rapidamente in formazione per sfruttare il volo con lo stormo. I team lavoreranno con altri che stanno andando allo stesso modo. Quando l’oca di testa si stanca, ruota di nuovo nella formazione e un’altra oca vola sulla punta. Vale la pena fare a turno i lavori pesanti per la squadra. Forse le oche che suonano il clacson da dietro sono anche la squadra esultante per incoraggiare coloro che sono davanti a mantenere la loro velocità” (Muna et al., 2005).
3. Selezione e gamification: i GBA
Un trend emergente delle risorse umane è l’uso di approcci basati sui giochi (GBA), adottati al fine di migliorare il processo di selezione. I GBA sono giochi che permettono alle aziende di misurare le conoscenze, abilità, valori, personalità, motivazione o abilità dei candidati. L’introduzione dei GBA, all’interno ha contribuito ad aumentare il volume delle candidature ed a ridurre i tassi di abbandono, e possono aiutare a mantenere un impegno (committment) elevato durante il processo di valutazione.
Inoltre, nei GBA, è probabile che sia meno evidente e comprensibile ad un candidato quali elementi i ricercatori desiderano misurare; determinando una maggiore probabilità di ottenere risposte autentiche (Stanescu, Tosca & Ionita, 2018).
Tale approccio, è interessante notare, ha catturato l’interesse di molte organizzazioni – come Unilever ed AXA Group (Stanescu et al., 2018). Alcune organizzazioni, continuano gli autori Bina et al. (2021), hanno anche creato giochi brandizzati (branded games) per attirare candidature verso le proprie opportunità – come nel caso di Marriott Hotel.
3.1 Marriott Hotel
La multinazionale americana Marriott hotel, con il suo gioco “My Marriott Hotel”, adotta la gamification per il reclutamento delle proprie risorse umane, fornendo agli utenti l’esperienza virtuale di lavorare in un vero e proprio hotel, in cui i partecipanti devono occuparsi della gestione di una cucina privata o
gestione di altre parti dell’hotel, come camere da letto, reception, ecc. Le sfide sono proposte sotto forma di limiti temporali, e la ricompensa avviene attraverso l’attribuzione di un punteggio. Il “My Marriott Hotel” fornisce una panoramica dei dipendenti che lavorano attualmente nell’azienda ed a coloro che sono interessati a lavorare al Marriott Hotel (Saleh, Endramanto & Wang, 2020).
CONCLUSIONI
La letteratura afferma che l’adozione di metodi di selezione gamificati potrebbe portare ad un maggiore livello di engagement dei potenziali candidati verso l’organizzazione, oltre ad un miglioramento dell’employer branding (Georgiou, Gouras, Nikolaou, 2019).
L’employer branding permetterebbe a sua volta di attrarre candidati e dipendenti verso l’azienda, portando alla fidelizzazione (Küpper et al., 2021). La gamification infine aumenterebbe il livello di soddisfazione percepita, tutti elementi essenziali per la retention ed il benessere aziendale a lungo termine.
BIBLIOGRAFIA
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