Studio: la motivazione e le strategie didattiche
Nell’ambito dei contesti educativi, a prescindere dalla disciplina di insegnamento, giocano un ruolo fondamentale non solo l’attivazione di una positiva relazione educativa, tramite la quale vengono veicolati i processi cognitivo-affettivi legati all’apprendimento e allo studio, ma anche l’azione didattica volta a potenziare la motivazione all’apprendimento.
Il tema della motivazione vede al proprio interno differenti teorizzazioni attinenti la psicologia della personalità ma anche la pedagogia e metodologia didattica: è assolutamente intuitivo infatti come possa avere un ruolo basilare e veicolare positivamente l’insegnamento e l’apprendimento.
La motivazione coincide con il desiderio ed il bisogno di conoscere, scoprire cose nuove, connotato di elementi emozionali. Inoltre il livello della motivazione viene influenzato dalla curiosità, dalla propria autostima e senso di autoefficacia, ovvero dalla percezione personale circa il possedere abilità e risorse rispetto ad un compito.
Considerata quindi la grande importanza di tale aspetto nell’efficacia dell’apprendimento è senz’altro utile soffermarsi su alcuni autori che in ambito pedagogico hanno curato, tra gli altri, anche i meccanismi motivazionali e valutare quali possano essere, di conseguenza, le strategie didattiche più efficaci ad incrementarla negli studenti.
Una prima considerazione è che ciò che accomuna le varie teorizzazioni e ricerche a riguardo è l’aspetto centrale attribuito alla collaborazione attiva e al coinvolgimento diretto degli studenti sul materiale di apprendimento, che non sia pertanto solo veicolato tramite una trasmissione di contenuti. L’idea portante è che proprio nella partecipazione risieda un apprendimento ottimale.
In “Democrazia ed educazione” del 1916, John Dewey, le cui teorie pedagogiche, ma non solo, hanno illuminato ed influenzato notevolmente la cultura dell’educazione, parla di “Learning by doing” ovvero dell’ “Imparare facendo”.
Sottolineando la stretta interconnessione tra teoria ed esperienza, dove l’una è in grado di alimentare l’altra e viceversa, Dewey evidenzia come l’apprendimento attraverso il fare, così come la riflessione sull’esperienza stessa, assumono una valenza peculiare nell’organizzazione della conoscenza che la sola lezione frontale o lettura di un testo non possono fornire.
Di certo il materiale didattico, le lezioni e i libri di testo sono strumenti imprescindibili, ma a questi va aggiunto il fare e l’applicazione e pratica, ove possibile, dove lo studente possa avere modo di cimentarsi con le sue personali risorse.
In tale prospettiva, il “Learning by doing” è in grado inoltre di favorire lo sviluppo delle potenzialità creative, e quindi la motivazione degli studenti.
Quando invece parliamo di “Mastery Learning” facciamo riferimento all’“Apprendimento per padronanza” ovvero ad una procedura di apprendimento, inquadrabile nell’ambito del Comportamentismo, che fu proposta dapprima da John Carroll nel 1963 e successivamente ripresa da Benjamin Bloom.
L’obiettivo del “Mastery Learning” è far in modo che l’insegnamento di una data disciplina abbia come effetto sulla maggior parte degli studenti il raggiungimento di un buon livello padronanza della disciplina stessa.
Ciò vuol dire che una strategia di Mastery Learning deve: mettere a punto le metodologie e gli strumenti volti alla riduzione del tempo che occorre ad ogni studente per apprendere. Questo ambito di ottimizzazione delle risorse è strettamente attinente alle metodologie didattiche. Deve inoltre specificare le modalità di cui avvalersi per determinare il tempo necessario ad ogni studente per apprendere: questo ambito è invece attinente all’aspetto organizzativo dei curricoli.
La procedura del “Mastery Learning” prevede sostanzialmente che il percorso di studio di una disciplina venga scomposto in diverse unità di apprendimento. Ciascuna di tali unità prevede a sua volta al proprio interno l’acquisizione da parte dello studente della terminologia o dei fatti specifici della materia, la comprensione di idee complesse ed astratte, la formazione di concetti e di principi con la loro relativa applicazione.
Al termine di ciascuna unità, Bloom prevede una valutazione formativa, quale parte integrante del processo di insegnamento-apprendimento, che in tal senso si distingue da una valutazione di tipo sommativo: mentre infatti la valutazione sommativa è una valutazione finale, la valutazione formativa avviene in itinere, ovvero durante tutto lo svolgimento del percorso di studio della disciplina, tra un’unità e la successiva.
Nell’ottica di tale metodologia, quando quest’ultimo tipo di valutazione avviene frequentemente, si possono avere alcuni vantaggi: lo studente ha infatti possibilità di ricevere diversi feedback circa il proprio livello di apprendimento, pertanto è in grado di giudicare se la modalità di studio che adopera è produttiva o se vada al contrario modificata.
L’insegnante dal canto suo ha preziosi riscontri circa l’efficacia della sua azione didattica.
L’aspetto più prettamente motivazionale risiede nella valenza di rinforzo che lo studente ha, che dovrebbe incrementare in lui la motivazione ad uno studio ottimale che tenga anche conto nel suo svolgimento delle risorse a sua disposizione.
Jerome Bruner pone l’accento sull’importanza di apprendere ciò che può essere utile ai contesti di vita: se si tratta di apprendere un’abilità specifica, l’insegnamento è incentrato su compiti che dovrebbero essere il più possibile simili a quelli per i quali si sta apprendendo, in questo caso si parla di “transfer specifico”, ossia di un apprendimento che sarà poi applicato in un compito diverso, ma pur sempre riconducibile a quello affrontato in precedenza.
Se si tratta invece di concetti, di un’idea fondante, in grado di far maturare un’attitudine generale, allora si parla di “transfer non specifico”. L’apprendimento in questo caso può essere considerato la base che pone nelle condizioni di riconoscere i successivi problemi da affrontare, come casi specifici di quell’apprendimento generale.
Nell’individuare gli strumenti e le azioni didattiche che possono nello specifico motivare gli studenti, Bruner indica l’uso delle nuove tecnologie, degli audiovisivi e di altri strumenti a supporto dell’apprendimento, notando tuttavia come possono in un primo momento enfatizzarne gli aspetti “ludici”, ma come questo tipo di motivazione sia destinata a declinare rapidamente nello studente.
Un altro modo di motivare l’allievo è quello classico, di matrice comportamentista, che consiste nel creare un sistema di ricompense e punizioni, tuttavia anche in questo caso c’è il rischio di rendere l’alunno passivo verso la disciplina e verso l’insegnante.
In questo caso infatti l’apprendimento è eterodiretto, venendo a mancare la corrispondenza con le peculiari attitudini soggettive.
Al contrario la spontanea scoperta delle idee fondanti di una disciplina e delle modalità in cui possano essere collegate tra di loro, è già di per sé un incremento alla motivazione intrinseca, in quanto lo studente riconosce l’utilità di ciò che apprende perché ha modo di riutilizzarlo spesso e in contesti di vita differenti.
A cura della dott.ssa Eugenia Ferrovecchio